Nel vecchio sestiere del Molo si trova il caruggio di vico Palla sede dell’omonima celebre osteria particolarmente apprezzata per il suo gustoso stoccafisso, nonché tempio della cucina tradizionale.
Un locale storico di cui si ha già notizia a partire dal ‘600 quando fra i suoi avventori -si racconta- ci fosse anche il pittore fiammingo Anton Van Dyck, abituale cliente durante il suo soggiorno genovese fra il 1621 e il 1628.
L’origine del toponimo del vico rimanda al tempo in cui qui si riunivano i giocatori di pallone prima e dopo le competizioni sportive.
Nel catasto del 1798 il caruggio è infatti registrato come Strada della Palla.
Il gioco del pallone praticato derivava dalla tipologia cinquecentesca detta “del bracciale” toscana, a sua volta evoluzione della duecentesca pallacorda.
A fine ‘800 la disciplina del bracciale si divise in due specialità: quella nuova del pallone piccolo o piemontese, diventata in seguito “pallone elastico” poi pallapugno, e quella tradizionale del pallone grosso o toscano che per tre secoli fu il gioco più praticato in tutta la Penisola.
A Genova dalla versione toscana si passò quindi a quella piemontese.
I giocatori indossavano un bracciale di legno (di solito noce) lungo 17 cm. con un’impugnatura all’interno e numerose punte trapezoidali all’esterno leggermente spuntate, per imprimere maggior velocità alla sfera.
Il pallone utilizzato era di pelle di manzo e aveva le dimensioni di circa 12 cm. di diametro e 340 gr. di peso.
Il campo di gioco misurava mediamente 80 metri in lunghezza e 16 metri in larghezza e poteva essere affiancato dal muro di ribattuta, alto intorno ai 16–18 metri.
A Genova il terreno principale si trovava nei pressi dell’Acquasola (più o meno all’altezza dell’odierna Via Santi Giacomo e Filippo), ma si ha notizia anche di combattute partite disputate nella zona di Albaro davanti alla chiesa di Santa Maria del Prato.
Le squadre erano composte da tre giocatori ciascuna (battitore, spalla e terzino) e il campo limitato nella parte opposta a quella del pubblico da un muro.
Al battitore spettava il compito d’iniziare il gioco con la battuta della palla che gli veniva lanciata con perfetto tempismo dal mandarino: quest’ultimo, in passato, veniva spesso reclutato tra i migliori giocatori bocce della città; la sua abilità consisteva infatti, oltreché nella suddetta scelta di tempo, anche nella precisione con la quale doveva lanciare la palla nel supposto punto d’impatto con il bracciale.
L’incontro si svolgeva nel modo seguente: battuta la palla e commesso il primo errore, la squadra che si aggiudicava il primo scambio conquistava i primi 15 punti ai quali si aggiungevano, sempre nel caso di vittoria, altri 15 punti, poi 10 e infine 10. Il punteggio veniva, pertanto, così conteggiato: 15 – 30 – 40 – 50 ma in origine era 15 – 30 – 45 – 60. Aggiudicandosi il cinquantesimo punto la squadra vittoriosa conquistava un gioco.
Il gioco ammetteva, oltreché la risposta a volo, anche quella dopo un solo rimbalzo.
I punti si facevano:
- se il pallone oltrepassava di volo il limite del campo avversario ma entro certi limiti segnalati da paletti: in tal caso si realizzava la volata;
- se il pallone, sorpassata la metà del campo, non era raccolto dall’avversario;
- se l’avversario mandava il pallone fuori dai lati maggiori;
- se l’avversario non mandava il pallone oltre la propria metà campo.
Per due giochi consecutivi la battuta spettava alla stessa squadra. Quattro giochi formavano un trampolino. L’intero incontro era costituito da tre trampolini per un totale di dodici giochi. La vittoria spettava alla squadra che totalizzava il maggior numero di giochi nei tre trampolini.
Nel XVIII secolo tale sport era cosi popolare, da essere oggetto di scommesse, causa di frequenti disordini pubblici e inesauribile fonte di risentite lamentele per i disagi arrecati.
Fonte delle notizie storiche sul gioco del Pallone tratte dal vol. n. 6 della Storia di Genova di Aldo Padovano.
Fonte delle regole:
Antonio Scaino, Trattato del giuoco della palla, Venezia, 1555.
Edmondo De Amicis. Gli azzurri e i rossi, Torino, 1897.
In Copertina: Vico Palla. Sullo sfondo le gru del porto e le Mur della Malapaga. Foto di Giovanni Cogorno.
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