Secondo alcuni storici l’origine del toponimo del caruggio e della piazzetta del Roso deriva dalla traduzione dal latino arcaico del termine giunco.
Per altri invece l’interpretazione corretta sarebbe quella legata alla lavorazione della corteccia della quercia fatta macerare e utilizzata per la concia delle pelli.
Per altri ancora invece sarebbe collegabile ad una località, appunto del Roso, sita nei pressi di Fontanegli.
Qui nella silenziosa piazzetta sul retro della trafficata Via Balbi, ormai sepolta dal progressivo inurbamento, rimane una triste edicola affiancata da una lapide abbandonata.
Testimonianza secolare della presenza dei Balbi e delle loro proprietà la tavella racconta della concessione pubblica di attingere l’acqua dal proprio pozzo fatta da Francesco.
Nella zona di Prè, imboccando Vico Inferiore del Roso ci si imbatte in un curioso bassorilievo che rappresenta, fra due scudi abrasi, un monaco inginocchiato con al fianco un pugnale, di fronte a Sant’Antonio, raffigurato vicino ad un grufulante suino.
Il monaco armato simboleggia le lotte sostenute dall’Ordine per erigere e mantenere il loro monastero.
Da tempo immemore infatti, in loco esisteva una chiesa con annesso ospitale per i pellegrini in partenza o di ritorno dalla Terrasanta che aveva ottenuto un singolare privilegio, quello di possedere un branco di maiali.
I suini pascolavano liberamente per le strade del quartiere, cibandosi degli avanzi della popolazione e fu stabilito per decreto del Senato che fosse preservata la loro incolumità e, per distinguerli dagli altri, furono dotati di un rumoroso campanellino.
Il loro numero crebbe a dismisura così si decise che, a godere di tale immunità, fossero al massimo un verro, tre scrofe e venti porcellini; quelli in esubero avrebbero potuto essere catturati ed uccisi da chiunque. I monaci protestarono e ottennero che il Papa intercedesse in loro favore per far revocare tale provvedimento.
Un giorno però, i suini ormai padroni del Borgo, attaccarono un corteo di Senatori ferendone alcuni, decretando di fatto,con questa aggressione, la loro stessa fine.
Intervennero allora i Doria che lasciarono una consistente donazione ai frati in modo che potessero provvedere ai loro bisogni alimentari ed avviare gli ormai indispensabili lavori di ristrutturazione del complesso conventuale.
Inoltre, ogni 13 dicembre, le dame della famiglia patrizia provvedevano ad elargire ai monaci, a titolo personale, cinque scudi d’oro.
L’abate di Sant’Antonio, per sdebitarsi, iniziò la tradizione per cui, ad ogni Natale, un corteo in processione si recava a San Matteo, portando in dono un maiale dell’Abbazia alla nobile casata.
Da qui, forse, l’origine della “Porchetta arrosto” come una delle portate, ormai dimenticate, della tradizione gastronomica natalizia genovese.