In piazza Valoria 6r, sul retro del palazzo Crosa Vergagni, si trova una Madonna col Bambino del sec. XVI-XVII.
Si tratta di un’edicola con tabernacolo a tempietto classico e due particolari colonne in breccia verde.
Nel timpano curvo spezzato un piedistallo vuoto e un gancio rammentano la presenza di un fastigio andato perduto. Intorno labili tracce di disegni a fresco e di una volta blu protetta da un tettuccio di ardesia.
Sotto la base due testine di cherubini e sopra altrettante portalampade in ferro battuto, oggi scomparse.
Il cartiglio recita l’epigrafe: “Mater Pieratis/ Ora Pronobis”.
Sotto ancora una piccola lapide ormai danneggiata testimonia i lavori di restauro del 1820.
Al di là del reticolo è visibile ancora il dipinto.
Nel progetto di ampliamento trecentesco della cattedrale di S. Lorenzo le torri campanarie avrebbero dovuto essere due. Causa la morte di colui che le aveva progettate solo una, quella di destra che ancora oggi, con i suoi 60 metri domina il centro storico, venne portataa termine nei primi decenni del ‘500. Dell’altra, quella di sinistra, non rimane altro che, nella configurazione tuttora visibile, il basamento sormontato dall’elegante loggiato quattrocentesco. Come testimoniato dalla xilografia datata 1493 di Michael Wolgemut, la più antica rappresentazione della città, a quel tempo non esisteva nemmeno la cupola, progettata poi nel ‘500 dall’Alessi, ma solo, al suo posto, una curiosa copertura piramidale. Poco distante nei paraggi della Cattedrale si diramano un Vico ed una Piazza intitolati alla famiglia dei Valauri, o Valori, Piazza e Vico Valoria.
Costoro, che erano i campanari della chiesa di S. Lorenzo, vi si stabilirono e tramandarono il mestiere per oltre due secoli, probabilmente aggregandosi alle numerose maestranze normanne ed antelamiche che operarono alla cinquecentesca ricostruzione del Duomo. Sette, di epoche e provenienze diverse, le campane che i Valauri suonavano con perizia, scandendo il tempo, gli avvenimenti e le cerimonie della città.
Sull’abilità dei campanari genovesi, a dire il vero, Charles Dickens la pensava diversamente. Durante uno dei suoi soggiorni genovesi, infatti, rimase infastidito dal fracasso dei campanari delle chiese di Albaro. Nel momento in cui si era seduto al tavolo con la ferma intenzione di lavorare, era salito dalla città un tale frastuono di campane da farlo impazzire. Il vento gli aveva portato tutti i rintocchi dei campanili di Genova e le sue idee si erano messe a vorticare fino a perdersi in un turbinio di irritazione e stordimento. Scrive: «…specialmente nei giorni festivi, le campane delle chiese suonano incessantemente; non in armonia, o in qualche conosciuta forma sonora, ma in un orribile, irregolare, spasmodico den den den, con una brusca pausa ogni quindici den o giù di lì; una cosa da impazzire.»., «…avere trovato il titolo e sapere come sfruttare lo spunto delle campane è una gran cosa. Che mi assordino pure da tutte le chiese e conventi di Genova, ormai: non vedo altro che la cella campanaria di Londra in cui le ho collocate…».
Lo scrittore anglosassone ne trasse dunque ispirazione per comporre uno dei suoi celebri cinque racconti di Natale intitolato, appunto, “Campane” in cui il protagonista vede dipanarsi i principali eventi della propria esistenza, ritmati dai rintocchi, in un’atmosfera onirica, dei bronzei batacchi.
Ultima curiosità, al civico n. 4 della piazza aveva sede lo studio fotografico di Alessandro Pavia, colui che riuscì ad immortalare i ritratti di tutti i 1092 garibaldini facenti parte della spedizione dei Mille.
In Copertina: Piazza dei Valoria. Foto di Leti Gagge.