La Gru del Mandraccio

Dove oggi sorge l’area recuperata del Porto Antico un tempo pulsava il cuore laborioso della città:

“Del mare avevo un’idea approssimativa, non però della vita in un porto. Vagoni ferroviari, minacciose gru a vapore, carichi di merce e uomini lungo argini di solida muratura, funi da scavalcare. Sfuggire ai barcaioli: «Giro del porto, panorama della città!», «Le navi da guerra americane!», «I fari!», «Il mare!». Sedersi sui grossi cavi di ferro. Clima insolito. Piroscafi da Liverpool, Marsiglia, Brema, la Spagna, la Grecia, l’America. Rispetto per la grandezza del globo terrestre. Centinaia di vapori accanto a innumerevoli vaporetti, velieri, rimorchiatori. E gli uomini, poi? le figure più strane, col fez. Qui, sugli argini, emigranti, italiani del Sud, accoccolati al sole (come lumache), gesticolare da scimmie, madri con lattanti al petto, i bambini più grandicelli che giocano e si bisticciano. Un vivandiere si fa largo con un recipiente fumante di «frutti di mare». Colpisce l’odore d’olio e di fumo. Donde proviene? Poi gli scaricatori di carbone, belle figure robuste, il torso nudo, agili e veloci, col carico in groppa (in testa un fazzoletto, a riparo dei capelli), sulla lunga passerella su al magazzino, per la pesatura. Poi, liberi, per un’altra passerella giù al piroscafo, dov’è pronta un’altra cesta piena. Così in incessante giro, uomini abbronzati dal sole, neri di carbone, rudi, sprezzanti. Lì un pescatore. L’acqua schifosa non può contenere nulla di buono. Non pesca nulla, e neppure gli altri. Gli arnesi: una corda, con un sasso attaccato, una zampa di gallina, un mollusco.
Sugli argini case e magazzini. Un mondo a sé. Noi semplici oziosi. Eppure fatichiamo, almeno con le gambe”. Cit. Paul Klee.

“Lapide presso Calata Cattaneo sul muro dell’edificio del Millo che omaggia i lavoratori portuali genovesi”

La gru di Calata Mandraccio trasformata a monumento di quel tempo eroico funge da sentinella della memoria quando la Compagnia dei Caravana faticava sulle banchine dei vecchi moli.

“Ammirerai il molo opposto al mare e il porto, opera dell’uomo, di inestimabile valore e di molto lavoro, che invano colpiscono le quotidiane tempeste“. Francesco Petrarca.

La Grande Bellezza…

La Superba

“Vedrai una città regale addossata ad una collina alpestre, superba per genti e per Mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”. Appunti di Francesco Petrarca in viaggio verso Gerusalemme nel 1358.
La Grande Bellezza..

Portale in Vico della Posta Vecchia

Città scavata nella roccia con pavimentazioni in porfido e abbondanza di portali in pietra: queste le principali caratteristiche che, di primo acchito, stupivano il visitatore foresto.
E come non meravigliarsi di fronte a questo minuzioso sovrapporta del Palazzo Spinola di Vico della Posta Vecchia n. 16?
Si tratta del cinquecentesco portale che rappresenta le Virtù degli Spinola opera attribuita a Pace Gaggini: lo stemma a forma di testa di cavallo del casato è retto da putti alati trainato sul carro della gloria, scortato da armigeri.
Tutto il perimetro risulta finemente decorato e intarsiato con fregi e figure d’ogni sorta.

“Il Portale con tutto il suo intarsiato profilo”. Foto di Leti Gagge.

“Raramente la grande bellezza e la grande virtù dimorano assieme”.
(Francesco Petrarca)

A Genova succede…

Lo Sciachetrà…

Superba ardeva di lumi e cantici, nel mar morenti lontano Genova, al vespro lunare dal suo arco marmoreo di palagi” (Giosuè Carducci). Ma più che la città al poeta colpì la bontà dello Sciacchetrà (Sciachetrà nella dizione più arcaica), da lui definito “essenza di tutte le ebbrezze dionisiache”

Un vino passito già decantato da Plinio e raccontato da Boccaccio e Petrarca. D’Annunzio lo descrisse profondamente sensuale e lo volle presente nei suoi lussuriosi banchetti. Una produzione scarsa quella dello Sciacchetrà che indusse Pascoli, in difficoltà nel reperirlo, a pretenderlo “in nome della letteratura italiana”.

La fatica e la passione di chi lo produce è antica quanto l’origine del suo nome: secondo alcuni “Sciacchetrà” deriverebbe dalla primitiva parola semitica “shekar” che significherebbe bevanda fermentata. Per altri, più probabilmente, da due termini della millenaria lingua ligure “sciac”, schiacciare l’uva e ”tra” , togliere le vinacce durante la fermentazione.

“Lo spettacolare ed incomparabile scenario dei vitigni che sembrano tuffarsi nel mare”.

Tuttavia tra le strette e irte fasce in cui le viti si arrampicano per guadagnarsi il panorama sul mare circola un’antichissima leggenda, antecedente addirittura l’epoca romana, al tempo in cui gli abitanti delle Cinque Terre erano in continua lotta fra loro.

Stanchi dei frequenti scontri che impedivano di godere dei benefici della pace e di dedicarsi quindi alla vigna e alla pesca interpellarono un saggio eremita. Questi chiese a ciascun rappresentante del singolo paese gli portasse un grappolo d’uva proveniente dalla propria terra.

Qualche tempo dopo il sapiente mandò a chiamare gli interessati ed offerse loro una coppa del vino ottenuto con la miscelazione delle uve fornite.

Lo stupore e la meraviglia per quel nettare paradisiaco, generato dall’unione delle risorse dei cinque borghi, fu tale da garantire pace e concordia perenne per quelle contrade.

La lezione del savio era servita, facile come bere un bicchiere di Sciacchetrà!

 

La Colonna Infame di Vico Tre Re Magi…

Il Vico dei Tre Re Magi prende il nome dall’omonimo Oratorio raso al suolo durante la seconda guerra mondiale.

L’Oratorio fu eretto nel 1365 e poi ricostruito in forme barocche nel 1611. Nei primi decenni del Novecento venne concesso a privati ed adibito a fabbrica di mobili. Alcune opere d’arte al suo interno sono state recuperate e conservate presso il vicino museo di S. Agostino, altre purtroppo, sono andate irrimediabilmente distrutte: degli affreschi di Lazzaro Tavarone, Luca Cambiaso e di Bernardo Castello di cui parlano gli storici dell’arte, non si ha più traccia.

Le vicende di questo edificio possono essere assurte ad emblema dell’ignoranza e della superficialità con cui i cementificatori del secolo scorso hanno gestito i beni comuni e distrutto interi quartieri dalla storia millenaria, cancellando le contrade dei Lanaioli, dei Servi, della Madre di Dio e della Marina.

Forse per questo gli abitanti del centro storico proprio qui, nel cuore di Sarzano, dove tutto un giorno ebbe inizio, hanno collocato la loro “Colonna Infame”.

Posta all’angolo con Via del Dragone (nello spiazzo dietro l’abside di S. Agostino) nella prima parte omaggia la più celebre descrizione della nostra città:

“… Arrivando a Genova / Vedrai Dunque / una Città Imperiosa, / Coronata da Aspre Montagne, / Superba per Uomini e per Mura, / Signora del Mare/ Francesco Petrarca 1358, a Cura dei Genovesi / del Centro Storico / Giugno 1990

Sotto prosegue…

“Male non Fare / Paura non Avere”. 1945 1981 – A Vergogna dei Viventi e a Monito / dei Venturi Come Usava ai Tempi / della Gloriosa Repubblica di Genova / Dedichiamo Questa / Colonna Infame / all’ Avidità degli Speculatori / e alle Colpevoli Debolezze / dei Reggitori della Nostra Città. Con Vandaliche Distruzioni Hanno / Cancellato Tesori di Arte e di Storia / Eliminando Interi Quartieri / del Centro Storico Marinaro ed Artigiano / Deturpando per Sempre la Fisionomia / della Città fino all’Inaudito Gesto / di Demolire la Casa Natale di Nicolò Paganini. Essi Hanno Così Disperso la Popolazione / di Questi Quartieri con l’Infame / Risultato di Sradicare le Fiere Tradizioni / che Fecero Genova Rispettata e Potente.

I Genovesi dei / Quartieri della. “Marina” / “Via Madre di Dio” / “Via del Colle” / “Portoria” / “Sarzano e Ravecca”.

… alla base della colonna, conclude poi con le amare parole di un grande musicista:

“Non ci Sarà Mai Più un Secondo Paganini” / Franz Liszt.

“La lapide posta sotto l’edicola della casa natale di Nicolò Paganini in Vico Gattamora”.

A proposito di Paganini in Vico Gattamora sotto l’edicola che ornava la casa natale del celebre violinista era affissa una lapide che recitava:

“Alta Ventura Sortita ad Umile Luogo / in Questa Casa/ il Giorno XXVII di Ottobre dell’Anno MDCCLXXXII / Nacque / a Decoro di Genova a Delizia del Mondo / Nicolò Paganini / nella Divina Arte dei Suoni Insuperato Maestro”.

Storia di una Santa… di una profezia…

Nel 1346 Brigida la santa svedese, sulla via verso Roma dove avrebbe chiesto al Papa l’approvazione per il suo neonato ordine religioso, sostò a Genova Quarto per una settimana. Un giorno si fece accompagnare dalla parte opposta del golfo, nel ponente cittadino, per fare una passeggiata con la figlia  ed ammirare la Dominante dall’alto.

“Santa Brigida”

Fu così che, giunta sul colle del Peralto, in località Mura delle Chiappe, espresse la nefasta profezia: “Un giorno il viandante che passerà dall’alto dei colli che recingono Genova, accennando con la mano i lontani cumuli di detriti, dirà: laggiù fu Genova ”.

 

Probabilmente i genovesi non gli dovevano essere risultati troppo simpatici forse perché la Santa aveva già intravisto in loro quel carattere superbo e altezzoso che, 12 anni più tardi, nel 1358 Petrarca avrebbe scolpito nell’eternità: “Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per genti e per mura, il cui aspetto la indica signora del mare”. Non tutti sanno però che la celebre descrizione del poeta toscano proseguiva con un monito, non molto diverso nella sostanza dalla profezia della Santa “… la stessa potenza, come è già accaduto a molte città, le nuoce e le reca danno, perché offre materia alle contese e alle gelosie cittadine…” 

D’altra parte il conterraneo Sommo Dante nel canto XXIII dell’Inferno, nei versi 151-153, aveva sentenziato:
“Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogni magagna,
perché non siete voi del mondo spersi?”.

Dante, Santa Brigida, Petrarca, se tre indizi costituiscono una prova, la conferma è sugellata da un’altra predizione, parte di una raccolta di scritture notarili quattrocentesche, custodita presso l’archivio vescovile di Piacenza, opera di un anonimo scrittore:

“Tra Capo di Faro ed Albaro si erge una CIVITAS OPULENTISSIMA, che sarà distrutta dal drago, allora si dirà HIC FUIT IANUA SUPERBA”.

Il drago faceva riferimento al simbolo cittadino rappresentato sul sigillo e sulle monete della città insieme al Grifo. Forse l’anonimo non ricordava che S. Giorgio il drago lo aveva ucciso e che, il Grifone a Genova, simboleggiava la riconquistata libertà.

“Nostra Signora Assunta di Carbonara”. Foto di Leti Gagge.

Nel 1695 la Madonna in persona, dal 1637 Regina di Genova, avrebbe indicato in sogno a Padre Carlo Giacinto, il punto esatto dove erigere un Santuario a lei dedicato, non molto lontano da dove, oltre tre secoli prima, Santa Brigida aveva emesso il suo infausto vaticinio. Il nuovo tempio avrebbe dovuto essere rivolto a nord, cioè a monte, anziché a sud, verso il mare in modo da non essere testimone di quanto profetizzato. Nonostante gli altri numerosi preesistenti santuari: il Gazzo, la Vittoria, Madonna del Monte e Guardia, Nostra Signora Assunta di Carbonara, questo è il nome completo della Madonnetta, divenne l’unico luogo di culto ufficialmente riconosciuto dalla Repubblica.

“Salita di Santa Brigida, in cima alla scalinata l’archivolto, un tempo portone della chiesa, con la statua della santa”.

Dopo la profezia di Santa Brigida e dopo l’erezione del santuario, Genova ha comunque dovuto subire ed affrontare numerose distruzioni e sventure, in particolare il Sacco di spagnoli e lanzichenecchi nel 1522, il bombardamento del re Sole nel 1684, l’occupazione austriaca riscattata dal Balilla nel 1746, il cannoneggiamento inglese del 1800, il massacro del La Marmora nel 1849, i bombardamenti alleati della Seconda Guerra Mondiale e le rappresaglie tedesche nel periodo antecedente la Liberazione Genova. Con buona pace della santa svedese, dei due poeti toscani, e dell’anonimo piacentino, si è sempre rialzata.

“I trogoli di S. Brigida”. Foto di Leti Gagge.

Ma la Superba non ha portato rancore visto che la descrizione del Petrarca è tuttora la più celebre ed apprezzata e alla santa svedese oltre ai trogoli e una strada, sono stati intitolate una chiesa e due conventi nella zona compresa tra Via Prè e Via Balbi.

“La lapide, posta in Salita S. Brigida, in memoria delle vittime della vile imboscata”.

L’8 giugno del 1976 ahimè, proprio sotto l’arco sottostante la statua della santa, in Salita S. Brigida, il procuratore generale di Genova Francesco Coco e due agenti della sua scorta furono barbaramente trucidati da un commando armato delle Brigate Rosse.

Genova non dimentica…

Esistono città meravigliose… poi c’è Genova…

Nel corso dei secoli artisti, poeti, viaggiatori hanno raccontato di Genova nelle loro opere; alcuni l’hanno lodata, altri disprezzata, molti amata, ma nessuno come lui.

Al primo gruppo appartengono Petrarca (“Vedrai una città…”), R. Wagner musicista tedesco (che arriva al punto di dire “Parigi e Londra al confronto impallidiscono”), P. Valery poeta francese (che le dedica il tempestoso componimento “La nuit de Genes), A. Cechov novelliere russo (che la definisce “la città più bella del mondo”).

Nel secondo novero si distinguono il sommo Dante (“Ahi Genovesi uomini diversi…”), E. Hemingway scrittore americano che, attraversando l’operosa Sampierdarena in una piovosa giornata, la paragona con spregio ai sobborghi di Manchester, A. Rimbaud “poeta maledetto” che ne lamenta la sporcizia e il degrado dei vicoli.

All’ultimo aderiscono, fra gli altri, E. Montale innamorato dei suoi paesaggi, E. Firpo dei suoi caruggi, C. Sbarbaro delle sue bagasce, G. Caproni dei suoi aromi, F. Nietzche del suo clima, M. Twain dell’eleganza delle sue donne e dell’opulenza dei suoi palazzi.

G. De Maupassant vi ha ambientato un suo romanzo, C. Dickens vi ha tratto ispirazione per uno dei suoi cinque celebri “Racconti di Natale”, il compositore G. Verdi la scelse a lungo come dimora prediletta (soggiornò, fra l’altro, anche nella Villa del Principe), rapito dalle paste, intitolate in suo onore,

"Creuza de ma, lato monte a Pieve Ligure". Foto di Cristina Campus.
“Creuza de ma, lato monte a Pieve Ligure”.
Foto di Cristina Campus.

“Falstaff”. Potrei continuare a lungo con altri illustri personaggi ma nessuno ha saputo amarla, viverla e comprenderla come F. De André che, prima di andarsene, le ha dedicato il verso più bello, a mio parere, su di lei mai scritto e che racchiude duemila anni di cultura:

“Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sa che a ne liga e a ne porta ‘nte na creuza de ma”. Tradotto per i foresti: “Padrone della corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare”.

Se tutte le strade, dicevano gli antichi, portano a Roma, a Genova portano al mare.

In Copertina: Creuza di Pieve Ligure. Foto di Cristina Campus.

“Vedrai una città regale,

addossata ad una collina alpestre, superba per genti e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”… scriveva Petrarca nel 1358.

breve storia delle Mura di Genova…

Le prime tracce, anche se si ha notizia di una cinta all’epoca romana, circa la presenza delle Mura risalgono al X sec. quando furono erette per far fronte alle continue scorrerie musulmane.
La superficie protetta era di circa venti ettari e i principali varchi erano Porta Soprana, Porta di  S. Pietro (visibile ancora oggi sotto forma di archivolto in Piazza cinque Lampadi), quella di Serravalle, addossata a San Lorenzo, quella di San Torpete in zona San Giorgio e quella Castri (nell’odierno Sarzano).
Nel 1155, causa la minaccia del Barbarossa, le Mura sono ampliate fino a

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“Porta degli Archi oggi in Via Banderali”

difendere cinquantacinque ettari.

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“Porta Siberia dell’Alessi”

Si aggiungono Porta dei Vacca o di S. Fede davanti alla Darsena , Porta di S. Egidio e Porta Aurea in Piccapietra e Porta Murtedi all’Acquasola.
A queste si sommano tre accessi turriti: S. Agnese, Portello e Pastorezza.
Sono mura imponenti la cui altezza media era di circa dieci metri.
Papa Alessandro III, invitato all’inaugurazione, proclama : “Siano le vostre Mura inespugnabili come lo sono i vostri cuori”. Tra il 1276 e il 1287, in piena guerra con Pisa e Venezia le Mura vengono rinnovate e modificate.
Nel XIV sec. la cinta viene ulteriormente allargata a centocinquantacinque ettari con i nuovi accessi di Porta degli Archi (a metà di Via XX, presso il Ponte Monumentale) oggi sita in Via Banderali, Porta dell’Olivella zona Pammatone e la Porta dell’Acquasola.

Tra il 1517 e il 1522 l’Olgiati e il Sangallo, ingegneri di rinomata fama, aggiunsero bastioni, ristrutturarono, potenziarono e inserirono, su progetto dell’Alessi, la Porta Siberia.
Nuove mura, tra il 1629 e il 1633, Galliani, scienziato amico di Galileo Galilei, diresse i lavori di ampliamento, progettati dal Maculani, dal Bianco e dal Fiorenzuola.
Due le Porte della secentesca grandiosa cerchia: Porta della Lanterna e Porta Pila (all’inizio di Via XX), oggi collocata in Via Montesano sopra la stazione di Brignole.
Su di esse le statue della Madonna Regina con sotto scritto il monito “Posuerunt me custodem”.

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“Porta Pila, oggi in Via Montesano”.

Nel ‘700 vennero edificati, a corona della Superba, i forti (ma questa è un’altra storia…) che, inseriti nell’800 dai Savoia nel nuovo sistema difensivo piemontese, costituirono l’ottava ed ultima cinta.

“Porta della Lanterna”.

Storia di Grifoni, Aquile e Volpi…

… di fiero orgoglio genovese… e della sconfitta alemanna.
Federico II, nipote del celebre Federico Barbarossa, riprende il progetto del nonno, ovvero sottomettere Genova con l’aiuto di Pisa e, con le flotte delle due città marinare unite, conquistare il Regno di Sicilia per riportarlo sotto il dominio del Sacro Romano Impero di cui la casata tedesca è legittima erede.
Le armate nordiche, quelle di tutti gli alleati ghibellini confinanti (interessati a sconfiggere la Dominante) da terra, e la flotta pisana dal mare, cingono d’assedio Genova.
La situazione sembra disperata ma i contadini e le plebi dell’entroterra insorgono arginando gli Alemanni e i loro alleati oltre Giogo, i nostri avi forzano il blocco navale pisano e li respingono in mare aperto.
Nel 1248 il re tedesco accampato con il grosso dell’armata nei pressi di Parma verrà sconfitto e ricacciato in Germania anche grazie al decisivo contributo dei seicento Balestrieri genovesi accorsi in aiuto della città amica.
A eterno ricordo della gloriosa impresa le aquile imperiali degli Hohenstaufen sono state poste, a capo chino, a sorreggere la Porta della città (di Santa Fede o dei Vacca che dir si voglia), sorvegliate dai Grifoni.

"Le aquile degli Hohenstaufen poste a capo chino sui capitelli delle colonne "
“Le aquile degli Hohenstaufen poste a capo chino sui capitelli delle colonne per reggere la Porta”., “

Da allora il motto “Griphus ut has angit, sic hostes Janua frangit” (come il Grifone artiglia queste, riferito all’aquila tedesca e alla Volpe pisana, Genova distrugge i suoi nemici) già in voga dal 1193, sarà portato fieramente in battaglia con rinnovato orgoglio sopra lo stendardo, a fianco di San  Giorgio.
Sul finire dell’800 Genova ha voluto ricordare la sua Gloria riproponendolo sotto i portici di Via XX Settembre, la stessa via, dove qualche decennio più tardi, altri tedeschi avrebbero sfilato sconfitti.

Ecco cosa simboleggia per la Signora del Mare che di lì, nell’arco di un secolo sarebbe stata battezzata Superba dal Petrarca, il Grifone: orgoglio, coraggio, libertà!

In Copertina: il motto inciso sotto i portici do via XX settembre.