La statua della Vergine, una copia dell’originale rubato, è ricoverata all’interno di un tempietto semicircolare in stucco con copertura a cupola e poggia su un grande basamento a forma di catino.
In Salita Pollaiuoli nello slargo antistante il civ. 18r. si trova l’edicola del sec. XVIII – XIX della Madonna dell’Immacolata Concezione. La statua della Vergine, una copia dell’originale rubato, è ricoverata all’interno di un tempietto semicircolare in stucco con copertura a cupola e poggia su un grande basamento a forma di catino.
Secondo l’Alizeri la composizione primitiva prevedeva anche alcune teste di cherubino che spuntavano fra decorazioni di riccioli è motivi floreali, oggi scomparsi. Inoltre, a fianco dell’edicola, si trovava anche un dipinto, delimitato da un’elegante cornice, del quale non si conosce il soggetto.
Ancor più suggestiva infine l’ipotesi secondo la quale la statuina del popolano con la testa calva in ginocchio sarebbe un ritratto, secondo alcuni addirittura un autoritratto, del Maestro stesso.
In Salita Inferiore di San Rocchino n. 15 presso l’Istituto Figlie di San Giuseppe è amorevolmente conservato un presepe risalente a cavallo fra il XVII e il XVIII sec.
La scena è ambientata in una campagna spruzzata di neve dove un variegato corteo di fedeli si dirige alla capanna incrociando via via lungo il cammino, popolani, contadini e artigiani. Spettacolare in particolare lo sfarzoso seguito equestre dei Re Magi.
Secondo la tradizione alcune di queste preziose statuette finemente intagliate e riccamente addobbate sarebbero riconducibili, per lo meno nel loro nucleo più antico, al Maragliano e alla sua scuola.
Ancor più suggestiva infine l’ipotesi secondo la quale la statuina del popolano con la testa calva in ginocchio sarebbe un ritratto eseguito da Pasquale Navone, secondo alcuni addirittura un autoritratto, del Maestro stesso.
De André fu molto cortese e rispose loro che avrebbe verificato in segreteria e, qualora ve ne fossero stati, si sarebbe premurato di avvisarli. Non appena le due camicie nere abbandonarono l’Istituto, il professore si precipitò in tutte le classi, raccolse gli alunni ebrei, li aiutò a fuggire e a cercare rifugio nelle campagne circostanti.
Il professor Giuseppe De André insegnava lettere in alcuni istituti di Genova, antifascista convinto, aiutò molti ebrei a nascondersi ed a fuggire dagli squadristi per impedirne la deportazione. Sospettato dal Regime, per timore di ritorsioni, nel ‘42 fece trasferire la sua famiglia nelle campagne dell’astigiano dove aveva acquistato un piccolo casale “la cascina dell’orto”. Nel ’44 una mattina due fascisti si presentarono all’istituto del quale era preside chiedendogli se, fra gli alunni della scuola, ve ne fossero di ebrei.
De André fu molto cortese e rispose loro che avrebbe verificato in segreteria e, qualora ve ne fossero stati, si sarebbe premurato di farglielo sapere. Non appena le due camicie nere abbandonarono l’istituto, il professore si precipitò in tutte le classi, radunò gli alunni ebrei e li aiutò a fuggire e a cercare rifugio nelle campagne circostanti. Trascorsi due giorni i fascisti, probabilmente informati da qualche delatore, tornarono a scuola per arrestarlo, ma Giuseppe con uno stratagemma riuscì a scappare dall’uscita posteriore, raggiunse Revignano d’Asti dove si era già trasferito il resto della sua famiglia e si nascose per intere settimane nelle cantine di un cascinale adiacente a quello di proprietà della famiglia.
Dopo la Liberazione la famiglia De André fece ritorno finalmente a Genova dove il professore ricoprì, prima di divenirne Vicesindaco, diversi incarichi pubblici e politici.
In Copertina:Fabrizio De André con i genitori e il fratello Mauro a Iglesias durante le feste di Natale del 1955.
I brutti ceffi, colti dalla lussuria, si tuffarono in acqua cercando di concupire le ragazze ma non riuscirono nel loro malvagio proposito. Al posto delle fanciulle trovarono sei statue di donna di marmo bianco.
Il Ponte S. Agata è stato costruito in tempi lontanissimi (prima del 1100) per agevolare il tragitto dell’antica via romana tra Genova e Luni e in seguito ha svolto la funzione di collegamento fra le ville di Terralba e quelle di Albaro. Il ponte è stato silente, coraggioso, ma impotente testimone di innumerevoli alluvioni, non ultima quella del 1970 rimasta tragicamente negli annali. Un’antica leggenda che ci riporta al 5 febbraio del 1693 lo definisce come il “Ponte dei Misteri”. Era il giorno della Fiera di Sant’Agata, mercato che si svolge tradizionalmente anche ai giorni nostri.
Un gruppo di sei novizie Carmelitane si era recato al mercato per acquistare anatroccoli, alberi da frutto e tutto ciò che necessitava per il convento quando si presentò loro davanti una minacciosa banda di biechi personaggi provenienti dal vicino colle di San Martino. Le monache terrorizzate fuggirono verso il ponte e si gettarono nel letto del fiume Bisagno il cui alveo risultava ancora in parte insabbiato dal terreno alluvionato. I brutti ceffi, in preda alla lussuria, si tuffarono in acqua cercando di concupire le ragazze ma fallirono il loro malvagio proposito perché al posto delle fanciulle trovarono sei statue di donna di marmo bianco.
l celebre Francesco Maria Schiaffino che con sorprendente leggerezza sfrutta ogni centimetro di marmo per scolpire la sua splendida Natività.
Nella chiesa delle del S.S nome di Maria e degli Angeli Custodi in Piazza delle Scuole Pie sono custodite una serie di lastre marmoree preziosa testimonianza del talento di alcuni dei più importanti scultori del ‘700 genovese quali Nicolò Traverso, Carlo Cacciatori e Francesco Fanelli.
Fra queste in particolare merita menzione la composizione realizzata dal loro maestro, il celebre Francesco Maria Schiaffino che con sorprendente leggerezza sfrutta ogni centimetro di marmo per scolpire la sua splendida Natività.
Le statuine, in origine delle marionette, sono state adattate e arricchite con vestiti realizzati intorno al 1980 dal famoso scenografo genovese Lele Luzzati.
Non c’è chiesa nei caruggi – e non solo – che non fornisca preziosa testimonianza di questa tradizione nostrana. Fra i tanti mi preme segnalare e far conoscere in particolare quello orgogliosamente custodito in Santa Maria di Castello, la chiesa cuore storico, artistico e culturale della città vecchia.
Le statuine, in origine delle marionette, costruite a cavall0 fra ‘700 e ‘800, furono trovate in una cassa dai domenicani quando ancora abitavano il convento. Non se ne conosce con certezza la paternità. Probabilmente alcune sono riconducibili alla scuola del Maragliano e dei suoi allievi Pietro Galleano e Agostino Storace, altre la maggioranza, dei suoi continuatori Pasquale Navone e Giovanni Battista Garaventa. Di sicuro sono state adattate e arricchite con vestiti realizzati intorno al 1980 dal famoso scenografo genovese Lele Luzzati.
Quando Via Nino Bixio nel 1874 era da poco in fase di costruzione. Fino ad allora la zona aveva ospitato ville di nobili famiglie impreziosite da sfarzosi giardini e colorati orti.
Quando Via Nino Bixio nel 1874 era da poco in fase di costruzione. Fino ad allora la zona aveva ospitato ville di nobili famiglie impreziosite da sfarzosi giardini e colorati orti. Quando non c’erano ancora banche, bar, supermercati ed esercizi commerciali vari e nemmeno la statua eretta in onore del generale garibaldino nell’antistante Piazza Rocco Piaggio.
Quando i bimbi immortalati dal fotografo, compreso quello assiso sul suo primordiale triciclo, rimanevano ancora affascinati da quel magico prodigio chiamato fotografia. Oggi come allora la Basilica dell’Alessi, secolare testimone, osserva imperturbabile la scena.
Il toponimo della fava greca trae origine da un tipo di pianta presente in un giardino in cima alla salita davanti all’archivolto che conduceva all’antico portello delle mura medievali.
In Salita della Fava Greca all’angolo con Vico Coccagna si trova l’edicola della Madonna della Concezione. Il toponimo della fava greca trae origine da un tipo di pianta presente in un giardino in cima alla salita davanti all’archivolto che conduceva all’antico portello delle mura medievali.
Non si è certi del significato ma si ipotizza che con il termine fava greca si identificasse una diffusa tipologia di legume orientale simile alla cicerchia molto usato, a quel tempo, nelle zuppe.
Il Marchese e scrittore Gaspare Invrea, meglio noto con lo pseudonimo di Remigio Zena, in un suo romanzo intitolato “Bocca di Lupo” del 1892 trasse ispirazione da questo pittoresco caruggio tramutandone fantasiosamente il nome in Piazzetta della Pece Greca.
All’angolo con Vico della Coccagna si staglia l’imponente edicola del XVII – XVII sec. della Madonna della Concezione
Sotto la grande mensola spuntano due teste di cherubini mentre una decorazione plastica in passato probabilmente conteneva un’epigrafe. Due angeli, di cui uno danneggiato poiché decapitato, poggiano sull’arco della nicchia. Ai lati motivi floreali e decori vari abbelliscono la scena.
Purtroppo, come spesso riscontrato in altri casi, la statua originale della Vergine è stata rubata e sostituita con una più recente Madonna col Bambino protetta da una grata in ferro.
… ci si imbatte in quel che resta del trecentesco Ospitale di San Giacomo. Sull’edificio immerso in un contesto ampiamente cementificato affiorano melanconiche testimonianze di sbiaditi affreschi.
breve storia di un Ospitale perduto…
Sotto la trafficata Corso Europa, costruita negli anni ’60 con il nome di Pedemontana, esiste ancora un quartiere nel quale si possono riscontrare tracce di un lontano passato medievale. In Via Antica Romana di Quarto infatti, varcato il confine tra i quartieri di San Martino e Quarto rappresentato dal Pontevecchio (da qui il toponimo della contrada), ci si imbatte in quel che resta del trecentesco Ospitale di San Giacomo. Sull’edificio immerso in un contesto ampiamente cementificato affiorano melanconiche testimonianze di sbiaditi affreschi.
Alzando lo sguardo si notano una torre ormai inglobata e una finestra con la classica bifora a sesto acuto. Al centro del prospetto campeggia l’immagine di un soldato crociato a cavallo, il valoroso San Giacomo appunto.
Merlature, decorazioni varie e stemmi abrasi completano il viaggio a ritroso nel tempo. L’ospitale dipendeva dalla vicina chiesa di San Giovanni Battista di Quarto e fungeva da ricovero per i pellegrini in viaggio verso Roma.
L’originaria scarna cappella fu presto dotata di relativo campanile. A fine ‘700, in seguito alla promulgazione delle leggi napoleoniche che stabilivano la soppressione degli ordini religiosi, la struttura cessò la sua primitiva funzione. L’ospitale venne dismesso, sconsacrato e adibito a stalla.
Solo in un secondo tempo i suoi locali vennero trasformati in abitazioni ad uso privato e addirittura, nella seconda metà dell’800, adattati come sede di un pastificio.
In Via del Molo nel cortile della canonica di San Marco al Molo si trova l’edicola della Madonna col Bambino e il Battista con un pastorello. Fra i vari decori in intarsi e marmi policromi della scena piuttosto elaborata si notano un falce per mietere il grano, dei cherubini alati e il monogramma di Maria.
Come ci ricorda il piccolo cartiglio posto sotto il tabernacolo l’edicola fu salvata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale dai lavoratori portuali del silos granario:
“I Lavoratori / del Silos Granario/ ed / I Cappellani del Lavoro / nel 50° di fondazione / 1943 – 1993.
L’edicola era infatti un tempo posta nel silos granario di Ponte Parodi.