All’angolo tra Vico e Piazza di Santa Maria degli Angeli colpisce l’azzuro cobalto stellato che fa da rivestimento alla nicchia dell’edicola dedicata a San Rocco.
La struttura assai lineare ed elegante del piccolo tempio è datata a cavallo fra XVII – XVIII sec. mentre la piccola statua del santo risulta, poiché l’originale è scomparso, posteriore.
In Via Prè all’angolo con Salita San Giovanni si trova la settecentesca edicola della Madonna della Misericordia che rappresenta la classica scena della Vergine che appare al Beato Botta inginocchiato.
Il pesante baldacchino poggia su una grande base a sua volta sorretta da due mensoloni che reggono la volta.
In Vico della Croce Bianca si può ammirare, nel cuore di quello che un tempo era il quartiere ebraico, un quattrocentesco sovrapporta in pietra nera di Promontorio che rappresenta l’Annunciazione.
Al centro, all’interno di una raggiera, il trigramma di Cristo in sporgente rilievo. Ai lati l’Angelo e la Vergine. Purtroppo la scultura, ormai abrasa, è in pessime condizioni.
In Via del Campo all’angolo con Vico chiuso Raggi si trova la secentesca edicola di Madonna col Bambino. Il tabernacolo, assai sfarzoso, presenta alla sua sommità un imponente motivo floreale con riccioli e boccioli di fiori. La grande raggiera risulta monca forse per non interferire il sovrastante arco dell’antico loggiato.
Alla base del grande cartiglio il monogramma di Maria mentre la profonda e vuota nicchia, conteneva un tempo la statua, oggi scomparsa della Vergine.
Sembra il classico paesaggio esotico di una cartolina caraibica o di una baia brasiliana ed invece è un tramonto invernale sulla spiaggia di Priaruggia.
“E quando tramonta il sol Una canzone d’amor Da Baja a Salvador Oh Maria, per te canterò…”
Genova è una sirena sdraiata sulla riva, è un Faro che illumina dove il sole non arriva. Genova è l’ardesia dei suoi tetti, è il volo di un gabbiano quando meno te lo aspetti. Genova, protetta dal monte, è il mare sempre all’orizzonte.
“Intanto, più che chiese le direi bui gusci marini (conchiglie che sembrano a volte fossilizzate) ed entrare in una di tali chiese di dure pietre grige annerite dai fumi portuali e industriali (in San Donato, in San Giovanni in Prè, per tacer di tutte le altre, arci famose), sempre mi è parso un poco entrare in una sorta di murice, ingrandimento di quelli, ruvidi d’incrostazioni calcaree e saline, che i ragazzi raccattano sul litorale, e accostano all’orecchi per sentire il rumore del mare.
L’intera Genova, nel suo insieme, è città doppia: bifronte come il Giano che ne sormonta lo stemma o ne vigila le aiuole e i giardini.
… e ancora…
“È un diffuso e impalpabile rumor di mare, quello che senti o ti par di sentire tra le navate nere di secoli e di semi tenebra, ch’è anche, per chi abbia orecchio esercitato ad intenderlo, sommesso brusio di traffici e di lucri: di cantieri in opera lungo i due corni della città, nonché di gravi sirene mercantili, le quali da navi che vengono e vanno, e sempre profonde come bassi d’organo, specie di notte fanno vibrare le invetriate, quando placatosi il concerto delle gru, dei magli e delle perforatrici, odi più chiaro l’ansito della risacca, la cui rotolante ghiaia dà anch’essa il suono e l’idea, nella doppia caligine di quelle chiese, d’un fosforico rotolio di zecchini.
“C’è qualcosa di diverso qui da altri luoghi, cosa sarà mai? Forse “lo spiro salino che straripa dai moli”? Ti viene in mente questo verso perché lo “spiro salino” è sicuramente il maestrale o un vento simile: libeccio, mistral, scirocco, comunque un vento del Mediterraneo, e dunque siamo in un paese del Sud, e nei paesi del Sud, con questi venti, ci sono anche i panni alla finestra, lenzuola che schioccano al vento come bandiere. Venti nostri, panni nostri. […]
Sono partito da Sottoripa, punto cardinale di una città che serba intatto il suo mistero. Che forse la farebbe pensare avara, perché è guardinga, non si concede, non si fida. Ma chi la pensa avara non ha capito la sua generosità: è città medaglia d’oro della Resistenza.