La Galleria degli specchi

La galleria degli Specchi di Palazzo Reale fu fatta costruire dai Durazzo e decorata a fresco 1730 da Domenico Parodi con statue romane e affreschi metaforici sulle virtù e sui vizi.

L’ambientazione comprende e fonde con eleganza e raffinatezza pittura, scultura, architettura accompagnando il meravigliato ospite in un viaggio nell’arte a tutto tondo.

Le scelte artistiche dei committenti furono certamente influenzate dai precetti del vicino centro gesuitico dei Santi Gerolamo e Saverio di cui i nobili del casato erano abituali frequentatori.

Tutte le scene realizzate hanno infatti un comune trait d’union di monito moraleggiante. Le antiche divinità, Venere, Bacco, e Apollo con Marsia, riproducono dunque i vizi che portarono alla rovina i grandi imperi dell’antichità, rappresentati dai quattro imperatori raffigurati nei medaglioni ovali: Sardanapalo, Dario, Tolomeo e Romolo Augustolo.

Le figure femminili simboleggiano invece le allegorie delle virtù teologali e cardinali riferimento dei Durazzo, il cui stemma campeggia al centro del percorso.

La galleria degli Specchi nella sua meravigliosa armonia costituisce veramente un gioiello di rara eleganza e sfarzo in cui spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore o Narciso, Venere) di Filippo Parodi (padre di Domenico) e un superbo gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) di Francesco Schiaffino.

“La bellezza salverà il mondo”…

“È vero, principe (Miškin) che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo?

State a sentire, signori,” gridò ad alta voce, rivolgendosi a tutti, “il principe sostiene che la bellezza salverà il mondo!

E io sostengo che questi giocondi pensieri gli vengono in testa perché è innamorato.

Signori, il principe è innamorato (…) Ma quale bellezza salverà il mondo?”

Cit. da “L’idiota” 1869 di Fedor Dostoevskij (1821-1881).

Non so il principe Miškin, protagonista del celebre romanzo dello scrittore russo, di chi fosse innamorato e nemmeno se la bellezza salverà davvero il mondo.

Però costei la conosco, l’ho vista:

l’ho incontrata pensierosa in riva al mare, assorta sulle alture, misteriosa fra i caruggi, riccamente addobbata nelle chiese e meravigliata nei palazzi;

l’ho incrociata all’imbrunire passeggiare sui tetti di ardesia, scalare le torri di mattoni, arrampicarsi sui campanili di pietra, incantata dalle luci della Lanterna;

l’ho intravista nei porticcioli confondersi tra i pescatori mentre rassettano le reti prima di imbarcarle sui gozzi.

l’ho scorta affaticata percorrere le creuze, riposarsi un momento, prima di addormentarsi persa nei colori del tramonto;

l’ho persino sorpresa all’alba annusare rapita il profumo della focaccia appena sfornata, oppure nascosta dentro un mortaio di marmo sopra il lavello di una cucina.

In realtà si aggira un po’ dappertutto: a volte timida si manifesta dimessa sotto mentite spoglie, altre baldanzosa si palesa in tutto il suo splendore, stupita – lei si – del fatto che spesso, anche in questo caso, non riusciamo a riconoscerla.

Eppure la bellezza, la grande bellezza abita a Genova.

La città vecchia. Foto di Leti Gagge.

Edicola Piazza delle Erbe 25r.

In Piazza delle Erbe in corrispondenza del civ. 25r. si trova una secentesca edicola di Madonna col Bambino.

La statua della Vergine con in braccio Gesù è ricoverata all’interno di una profonda quanto essenziale nicchia.

In origine Maria era incoronata e, a testimonianza della sua importanza, onorata con numerosi ex-voto che pendevano da un ‘apposita cornice lignea.

Alla base l’epigrafe recita:

“Tugermen. Aptum Proferens” e l’anno 1993 data dell’ultimo restauro.

Foto di Giovanni Caciagli.

Madonna con Bambino in Santa Croce

In via di Santa Croce, all’altezza di Salita della Seta, campeggia un’antica Madonna col Bambino.

Dentro una nicchia di stucco la Vergine tiene in braccio il Bambino mutilo purtroppo della testa.

Non si conosce con precisione la datazione della scultura anche se di certo si sa essere posteriore al ‘500, epoca nella quale era stata per anni erroneamente inquadrata.

Si tratta di un calco dell’originale custodito presso il museo di S. Maria di Castello.

Notturno genovese

“Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso, che a guardarlo veniva da chiedersi: è mai possibile che vi sia sotto questo cielo gente collerica e capricciosa?”


Cit. dalle Notti Bianche di Fëdor Dostoevskij.

E la Lanterna laggiù squarcia le tenebre e brilla come un diamante sopra un tappeto di pietre preziose.

Foto di Fabrizio Robba.

La Grande Bellezza…

Portale di San Filippo Neri

Sulla facciata della chiesa intitolata a San Filippo Neri protagonista assoluto è il portale che contiene, in un tripudio di angeli, non uno, bensì due settecenteschi capolavori:

il primo è la statua della Madonna Immacolata di Pasquale Bocciardo.

La Vergine incoronata dalla raggiera dello Spirito Santo si erge su una nuvola di cherubini, accompagnata dall’alto dall’amorevole sguardo di un angioletto che spunta dal timpano.

il secondo è il medaglione che raffigura San Filippo opera di Carlo Cacciatori, allievo del più celebre Francesco Maria Schiaffino.

Il Santo sembra dialogare, quasi a rassicurarli, con i due cherubini che sorreggono l’elegante ovale.

In alto due angioletti assistono alla scena.

Il Portale dell’Assunta

“Deiparae in coelum assumpta”così recita il cartiglio posto in cima al portale della basilica di Carignano intitolata ai SS. Fabiano e Sebastiano e all’Assunta.

Il maestoso portale realizzato nel 1722 dallo scultore carrarese Francesco Giovanni Baratta è impreziosito da una statua della Vergine Assunta.

All’interno di una sfarzosa cornice la Madonna è rappresentata infatti, accompagnata dagli angeli, nel momento mistico della sua ascesa in cielo.

La magnifica scultura, capolavoro del ‘700, venne iniziata dal borgognone Claude David e, dopo la sua morte, terminata nel 1722 dal genovese Bernardo Schiaffino.

Sotto alla sacra scena un cartiglio assai più terreno ricorda invece i protagonisti delle vicende legate all’elezione dell’edificio religioso:

il capostipite Bandinello Sauli committente nel 1481 della chiesa e i suoi eredi Stefano nel ‘500 e Domenico nel ‘700, rispettivamente ideatore il primo e costruttore il secondo, dell’annesso ponte.

“Bendinellus Sauli, Basilica Stephanus Nepos ponte legavit, Domenicus abnepos perfecit.

An.S. MDCCXXIV. (1724).

Foto di Paola Gatti.

“La ragazza di Boccadasse”.

Testimonianza autografa del grande scrittore siciliano del suo amore e legame con Genova.


“Ho avuto un colpo di fulmine per Genova a 25 anni, grazie a un premio di poesia. Ecco perché la fidanzata di Montalbano vive in questa città dei mille incontri. Un siciliano una volta mi disse che “pensava in genovese”: così ho scritto “La mossa del cavallo”.

Ho ripensato alla bellezza di Genova.
Andai per la prima volta a Genova nel 1950, a venticinque anni, perchè avevo vinto ex aequo il premio di poesia indetto dalle Olimpiadi culturali della gioventù. Vissi una settimana incantata a contatto con personaggi come Sibilla Aleramo, Giacomo De Benedetti, Galvano Della Volpe, Massimo Bontempelli e altri che facevano parte delle varie giurie.
Ma, appena terminavano gli incontri, mi mettevo a girare per la città da solo. Perchè già nel tratto dalla stazione all’albergo, il primo giorno, mi ero subito reso conto che tra me e quella città era scattato un colpo di fulmine.
Perché? Perché era una città di mare come di mare era il mio paese?

No, ero stato in tante città portuali e non avevo mai provato la stessa sensazione. Allora cos’era?

E’ assai difficile spiegare perché ci si innamori di una persona, figurarsi di una città. Beh, forse era la perfetta armonia tra gli abitanti e le loro case, tra gli abitanti e il loro cielo, tra gli abitanti e il loro mare, forse era la parlata strascicata e indolente, forse erano i volti che incontravi verso il porto, cotti dalla salsedine ma cosi pronti ad aprirsi in un bonario sorriso.
Tempo prima m’era capitato di leggere un libretto di versi di un giornalista genovese, Tullio Cicciarelli, che poi conobbi, e quel libretto mi servì da guida. Cicciarelli parlava di piazza Di Negro? Ed io via a piazza Di Negro, ripetendo dentro di me le parole del poeta.
Al terzo giorno trovai più che una mia compagna, una guida per il mio vagabondaggio. Una bella ragazza che un pomeriggio mi portò a casa sua, a Boccadasse.

Altro colpo al cuore. Passai qualche ora alla finestra dalla quale si vedeva la discesa che portava alla spiaggetta e il mare che sciabordava pigramente. Sentii mio quel paesaggio, come se mi fossi portato appresso un pezzo della mia Sicilia.
M’è rimasta dentro così a lungo che quando ho cominciato a scrivere di Livia, la fidanzata genovese del commissario Montalbano, m’è parso più che naturale farla abitare a Boccadasse.
La seconda volta ci sono stato molti anni più tardi per dirigere un romanzo sceneggiato radiofonico presso la sede Rai di Genova. Ho voluto avere come interpreti i bravissimi attori del Teatro Stabile di Genova. E anche in quell’occasione, appena finivo di lavorare, me ne andavo in giro.

Fu in una trattoria del porto che incontrai un trentenne siciliano, che da bambino, si era trasferito con i suoi a Genova. Ad un certo punto mi rivelò che, mentre a casa con i suoi parlava in dialetto siciliano, spesso gli capitava di “pensare” in genovese. Ho scritto “La mossa del cavallo” ricordandomi di questa persona. Ma per farlo “pensare” in genovese mi sono fatto una sorta di full immersion nelle poesie di Edoardo Firpo, da ‘O Grillo cantadò a ‘O Fiore in to gotto.

Poi, per la revisione del mio improbabile genovese, la mia cara Gina Lagorio, alla quale sono stato debitore di molte cose, mi segnalò Silvio Rjolfo Marengo che non finirò mai di ringraziare.
E’ stato per presentare proprio questo mio romanzo che sono tornato a Genova.
La presentazione avvenne alle Vele di Piano, gremitissime.
Quella sera ebbi modo di sentire che il mio amore per Genova era ampiamente ricambiato. E l’indomani mattina mi feci portare a Boccadasse. Se non ci fossi andato, avrei fatto uno sgarbo a Livia”.

Articolo scritto nel 2009 da Andrea Camilleri per il primo numero della bimestrale rivista letteraria (oggi non più attiva) Blue Liguria.

Boccadasse. Foto di Lino Cannizzaro

Io mi sono guardato Genova

Genova. Io mi sono guardato questa città, con le sue ville, i suoi parchi e l’ampio circondario delle sue colline e dei suoi declivi, tutti abitati, per un bel po’; debbo infine dire che vedo volti di stirpi passate, ché questa regione è disseminata di immagini di uomini arditi e sicuri di sé.

Hanno vissuto e voluto continuare a vivere: me lo dicono con le loro case, costruite e abbellite per i secoli, e non per l’ora fugace; amavano la vita, per quanto spesso potessero essere malvagi con se stessi”.

Cit. Nietzsche

Foto di Agnese Barbara Cittadini.