Vico Porta Nuova

Nel cuore della zona della Maddalena si trova il vico di Porta Nuova.

Il toponimo del caruggio trae origine dal nome dell’ultima delle otto “compagne” che formavano il primitivo nucleo del Comune di Genova.

Queste si costituirono attorno all’anno Mille come volontarie associazioni di liberi cittadini, abitanti lo stesso quartiere, con lo scopo di amministrare autonomamente la città.

Nacque così ufficialmente nel 1099, secondo quando tramandato dal Caffaro nei suoi “Annali“, la Compagna Comunis.

Le otto compagne erano: Castello, Macagnana, Piazzalunga, San Lorenzo, Susilia, Porta (Vecchia), Borgo e Porta Nuova.

In Copertina: Vico Porta Nuova. Foto di Giovanni Cogorno.

Gli Annali di Caffaro da Caschifellone

L’11 novembre del 1158 si tenne a Roncaglia, convocata da Federico Barbarossa, l’omonima Dieta a cui parteciparono consoli, prelati, vari signori d’Italia e quattro giuristi di Bologna con lo scopo di definire e dichiarare i diritti dell’Impero in relazione alle città italiane.

Anche Genova, obtorto collo, presenziò con una nutrita delegazione composta da Ido Contardo, Caffaro da Caschifellone, Oberto Spinola, Guglielmo Cicala, Guido di Lodi, Ogerio di Bocheroni, Ottone Giudice e Alberico.

Costoro avvezzi a negoziare trattati e stipulare contratti internazionali di qualsiasi natura non si fecero pregare allorquando gli interessi della Compagna Comunis vennero messi in discussione.

Alla richiesta imperiale -infatti- di tributi e ostaggi, per bocca di Oberto Spinola, fu pronunziato in risposta quel famoso e pregno d’orgoglio “Abbiamo già dato” che ancora oggi riveste (anche se pochi ne conoscono il significato) un ruolo ben radicato nel nostro eloquio.

“Lodarono i Legati Genovesi la prudenza degli altri Popoli italiani; però faceano conoscere non dover eglino seguitare l’esempio degli stessi, ed anzi tanto non potersi pretendere dal Comune di Genova «imperocché, dicevano essi, «gli antichi Imperatori Romani e Re d’Italia concedevano e confermavano agli abitatori di Genova il dritto d’osservare le loro consuetudini, onde dovean in perpetuo essere liberi da ogni angaria e perangaria, e solo potevano essere obbligati alla fedeltà verso l’Imperatore ed alla difesa del littorale contro i Barbareschi, nè potevano avere altro gravamento.

I Genovesi avevano compiuto ogni loro dovere, coll’aiuto Divino cacciati i Barbari che senza posa infestavano i luoghi marittimi da Roma infino a Barcellona, operato in modo che in oggi ciascuno riposa tranquillo in mezzo alle sue proprietà, fatte tutte queste cose, per l’ottenimento delle quali l’Impero avrebbe spese in ogni anno oltre diecimila marche d’argento, col solo danaro del Comune di Genova.

I Genovesi inoltre abitano terre sterili ed incapaci di somministrar loro il necessario al sostentamento, sono costretti di procacciarsi dagli esteri paesi quanto loro abbisogna per vivere, e per conservare l’onore dell’Impero; quanto posseggono tutto è frutto della loro industria e del commercio tenuto colle terre straniere, appò cui già pagarono molti dazii, o comprarono col proprio danaro la libertà delle loro mercatanzie. Quindi è che il pretendere dai Genovesi nuovi sacrifizi sarebbe ingiustizia; ed essendo decreto degli antichi Romani che niuno possa pretendere, e niuno possa essere obbligato a pagare un tributo già soddisfatto, l’Imperatore non debbe volere dal Comune di Genova altra cosa che la fedeltà, cui i Consoli sono pronti a promettere”.

Cit. Annali (1099-1163) di Caffaro di Rustico da Caschifellone (1080/81-1164 circa). Crociato, capitano diplomatico, annalista genovese.

In Copertina: Caffaro da Caschifellone dipinto sul prospetto di Palazzo San Giorgio da Ludovico Pogliaghi (1857-1950). Pittore e scultore.

Salita San Silvestro

Nel cuore della collina di Castello si trova la Salita di San Silvestro sulle cui pendici si costituì il nucleo del primitivo insediamento abitativo di Genova nel V secolo a.C.

I ritrovamenti infatti di testimonianze dell’età pre-romana risalgono addirittura fino al VI sec. a.C.

Gli scavi condotti nel corso dell’ultimo secolo hanno portato alla luce resti romani di rilevante interesse storico e artistico; tracce della cinta muraria del VI secolo; brani delle fondazioni del “Castello” medievale e della struttura originaria (X-XI secolo) della chiesa intitolata a a San Silvestro.

In Copertina: Salita di San Silvestro. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.

San Giorgio e Madonna col Bambino

Sul fianco, lato portale di San Gottardo, della cattedrale di San Lorenzo che si affaccia sull’omonima via pedonale numerose sono le testimonianze artistiche e storiche.

Fra queste due capolavori mirabili con un solo colpo d’occhio: sopra il superbo rilievo di San Giorgio che uccide il drago fra i santi Giovanni Battista e Siro;

sotto invece ecco una graziosa statuetta di marmo del XVII secolo che immortala, appoggiata su una mensola, la Madonna col Bambino e San Giovannino.

La tavella di San Giorgio in particolare è molto significativa perché, ritenuta la più antica rappresentazione cittadina del santo (XII-XIV sec ), non prevede la classica figura della principessa.

In Copertina: San Giorgio e Madonna col Bambino e San Giovannino sul portale di San Gottardo.

Vico della Neve

Nel cuore dei caruggi tra Campetto e Banchi si trova il caratteristico vico della Neve.

Tre imponenti arcate ogivali in pietra con colonne ottagonali di un’antica loggia medievale dominano il vicolo.

Il caruggio è così intitolato perché qui, ancora fino a fine ‘800, avevano sede le botteghe che smerciavano neve e ghiaccio provenienti dalle neviere realizzate nei pressi del forte Diamante.

All’altezza del civ. n. 8 su trova, purtroppo in pessimo stato di conservazione, resiste la settecentesca edicola della Madonna della Neve commissionata dai bottegai a loro protezione.

In Copertina: Vico della Neve. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.

Mortali sui monti, giganti sul mare.

“E Genova, bizzarra e coerente, superba e modesta, orgogliosa e benevola, è mezza mare: gli uomini, i timidi, i mortali che si sono nascosti nelle grotte, arroccati sui monti, seminati lungo le vallate; gli Altri, giganti, sul mare, al di qua del cobalto che segna l’orizzonte, nella invisibile parte che dà la spinta, che domina gli eventi”.

Cit. Vito Elio Petrucci (1923-2002) poeta, scrittore e commediografo.

In Copertina: fedele riproduzione spagnola della Santa Maria, la caravella ammiraglia di Cristoforo Colombo.

Vico dell’Umiltà

Vico dell’Umiltà è uno di quei caratteristici ombrosi e luveghi caruggi genovesi.

L’origine del toponimo non è accertata tuttavia il tono dimesso del vicolo non deve trarre in inganno poiché qui vi era uno degli accessi del palazzo accorpato al civ. 4 di Campetto della famiglia Imperiale

Tale ingresso, sovrastato da un portale in pietra nera con stemma abraso, fregi e fogliami, versa nel più completo abbandono.

Due cancelli posti alle estremità ne impediscono il passaggio.

In copertina: Vico dell’Umiltà incrocio Vico della Neve. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.

Vico Lavezzi

Da via e piazza Giustiniani in direzione piazza Pollaiuoli si dipana, con la classica pavimentazione in pietra, il vico dei Lavezzi. Nel caruggio si alternano muri imbrattati dai soliti incivili e tracce di peduncoli di pietra di palazzi medievali.

Qui aveva le proprie dimore una delle famiglie genovesi più antiche, presenti in città fin dall’anno 1000, quella dei Lavezzi, casato che si estinse nel XV secolo.

In Copertina: Vico Lavezzi. Foto di Stefano Eloggi.

Vico dei Cavoli

Nel quartiere del Molo tra vico di San Cosimo e Vico delle Pietre Preziose si trova vico dei Cavoli.

L’etimolo dell’ombroso caruggio rimanda alla presenza in zona nei tempi che furono di qualche negozio di besagnino.

Cavoli nati dal sudore di Zeus e che secondo Pitagora e Platone per la loro forma raccolta ricordavano le parti anatomiche femminili, simboli della germinazione e della nascita. Da qui la credenza popolare che i bambini nascesssero sotto i cavoli e che il decotto di tale ortaggio fosse consigliato alle partorienti.

Cavoli presenti inoltre in tutte le minestre invernali compreso il minestrone alla genovese, ottimi anche preparati ripieni in zuppa alla maniera delle lattughe ripiene.

Cavolfiori cucinati poi in salsa di pomodoro, nella zuppa, nelle frittelle, in salsa di acciughe o strascinati.

Particolari infine quelli neri a foglia larga arricchiti con la prescinseua.

Gli stessi si possono consumare, ideali come le radici per depurare l’intestino, bolliti con patate e conditi solo con olio e aceto e un pizzico di sale.

In Copertina: Foto di Anna Armenise.