Vico dei Gatti è una traversa, oggi chiusa, di via Lomellini testimone dell’antico amore dei genovesi per i felini.
“Genova, città dei gatti. Angoli neri.
Si assiste alla sua ininterrotta costruzione dal tredicesimo al ventesimo secolo.
Questa città tutta visibile e presente a se stessa; in persistente familiarità con il suo mare, la sua roccia, la sua ardesia, i suoi mattoni, i suoi marmi; in lavorio perpetuo contro la sua montagna. – Americana dopo Colombo.
Noia ineffabile delle cose d’arte – assente a Genova”.
Cit. Paul Valery Paul Valery scrittore francese (1871 – 1945).
In Copertina: Vico dei Gatti. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.
Nel quartiere della Maddalena da Piazzetta Cambiaso si snoda il vico del Papa.
L’origine del toponimo nulla ha a che vedere con sua Santità e infatti si fa risalire alla presenza in loco, in epoca medievale, di un’antica taverna chiamata -appunto- del Papa.
Nel caruggio è possibile ammirare una splendida settecentesca edicola che raffigura la Madonna con Bambino e San Giovannino.
In Copertina: Vico del Papa. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.
A pochi passi da via degli Orefici e via Banchi si trova la graziosa piazza Senarega.
Il toponimo del sito trae origine dal nome dell’omonima nobile famiglia originaria della Valle Scrivia.
Protagonista assoluto della piazzetta è il lussuoso palazzo, edificato attorno al 1590, di Gio. Batta Senarega.
Alle vicende dell’edificio è legata la macabra leggenda secondo la quale si può scorgere, a mezzogiorno in punto, una giovane dama affacciarsi dalla finestra e vederla spiccare il volo tenendo in mano un fagotto.
Superato l’attimo di incredulità si può notare come il presunto fagotto sia in realtà il suo capo mozzato opera del suo geloso amante.
In Copertina: Piazza Senarega. Foto di Giovanni Cogorno.
Via degli Orefici è un caruggio che, seguendo l’andamento del sottostante rio che scende da Soziglia, si arrampica fino a Campetto.
Tutta la contrada, come testimoniato dai vicini toponimi (Scudai, Indoratori e Campus Fabrorum), era sede già da prima del 1200 delle attività legate alla lavorazione dei metalli.
In questo contesto spicca proprio il Caroggio dei Fraveghi, come era chiamata nel Medioevo, la strada dei fabbri e degli orafi, ovvero degli artigiani specializzati nella lavorazione di oro e argento.
In Via degli Orefici meritano menzione al civ. n.7 il Palazzo di Gio. Batta Spinola con il suo strepitoso portale attribuito a G. Della Porta decorato con le Fatiche di Ercole; al civ. n.8 la Madonna degli Orefici il famoso dipinto della Vergine, commissionato dalla Corporazione degli Orefici al maestro Pellegro Piola, fratello del più celebre Dimenico; al civ. 47r sopra una storica armeria il quattrocentesco sovrapporta con L’Adorazione dei Magi, nota ai genovesi come “Il Presepe”, eseguito da Elia e Giovanni Gagini.
In Copertina: Via degli Orefici. Foto di Giovanni Cogorno.
“La via di Camilla per piazza Stella caracollava ora spedita sotto le volte scure di Sottoripa. Non c’era da aver paura, ora, di niente, ma da fare tanto di occhi così.
Chi avrebbe potuto raccontarlo l’emporio di Sottoripa, chi ci avrebbe creduto tra l’Ogliastra e le Baronie? Il sole basso del mattino d’inverno sforacchiava con fasci di luce iridata di pulviscolo le tende di ogni colore e sbiaditura che tenevano il vento verso mare, e infarinava di giallino una lunga galleria sorretta da colonne e da pilastri di ogni arte e fantasia.
Non avevano mai voluto mettersi d’accordo tra di loro i mastri muratori che avevano innalzato un secolo via l’altro la palizzata di Sottoripa, la rincorsa di torri e castelli e palazzi pigiati l’uno a fianco all’altro per un chilometro e più che anticamente si faceva sciacquare le lastre dei porticati dalla risacca di scirocco che penetrava nella vecchia Darsena.
Né era sembrato onorevole ai patrizi e ai ricchi della Repubblica avere riguardo per l’opera del vicino e consonare con uno sforzo d’armonia le architetture. Perciò, indissolubilmente inchiavardati tra loro, sfilavano davanti agli occhi attoniti del mondo che si affacciava al porto della Superba i capricci di stile e di ripicca di gusto romanico, moresco, franco e pisanino, gotico prudente e gotico svettante, barocco, avignonese, castrense e chissà cos’altro ancora.
Le colonne dei portici naturalmente erano il vanto dei loro padroni; una doveva invidiare l’altra, e dai capitelli sgorgavano, in perpetuo malcontenti della pietra che frenava i loro furori, tutto il serraglio degli animali esotici e dubbi che dovevano montare la guardia alle magnificenze dei piani superiori”.
Cit. Da “La Regina disadorna” del 1998 di Maurizio Maggiani. Scrittore.
In Copertina: Scorcio di Sottoripa.
Foto di Stefano Eloggi.
“Per comprendere ciò che produce la libertà, è necessario di andare a Genova; tutto colà annunzia l’abbondanza e la ricchezza. Il commercio è l’anima di questo popolo industrioso. I nobili stessi non si vergognano di esercitarlo in ambe le riviere di ponente e di levante, che ho percorso in tutta la loro estensione, camminando non di rado colle mani e coi piedi… I Genovesi e gli Olandesi sono i banchieri di tutti i principi d’Europa, che abbisognano di denaro”
Cit: (Carlantonio Pilati) (1733-1802). Giurista e storico italiano.
In Copertina: Il Cambiavalute di Rembrandt. Olio su tavola del 1627. Pittore Barocco dei Paesi Bassi (1606-1669).
Per anni il sovrapporta in stucco è stato abbandonato e trascurato.
Per fortuna è stato recentemente ristrutturato riportando i colori e i decori al loro originario splendore.
Non è dato sapere con certezza a chi sia dedicata la statua protetta, all’interno della nicchia da una grata, anche se sembrerebbe trattarsi di una generica Madonnetta.
In Copertina: Edicola in San Vincenzo 96a/r. Foto di Giovanni Caciagli.
Dall’opulenta Via Garibaldi popolata da turisti ed eleganti uomini d’affari basta imboccare uno qualsiasi dei vicoli che la intersecano per entrare nel ventre vero dei caruggi.
Ecco allora che in direzione della Maddalena la popolazione cambia. Ai signori di cui sopra si sostituiscono venditori ambulanti e bagasce. Mutano anche i rumori, gli odori e il suono delle lingue parlate nelle botteghe che propongono merci da ogni dove.
Quello che non cambia sono i muri scrostati, le tinte pastello e le tracce dei palazzi medievali popolari di un tempo.
Ed è così che scendendo per vico Salvaghi si incrocia, dal nome dell’estinta famiglia voltrese che vi aveva dimora, vico Gattagà.
A dare il benvenuto nel caruggio è una settecentesca edicola di Madonna col Bambino testimone perenne di una Genova sincera e verace che non c’è piu, lontana dai soliti percorsi abituali dei torpedoni turistici.
In Copertina: Vico Gattagà. Foto di Giovanni Cogorno.
“Noi a Genova abitavamo nel quartiere pittoresco dell’angiporto – cioè contrabbandieri e prostitute – e non eravamo di certo una famiglia ricca. […] Mia madre non ha mai chiuso la porta di casa a chiave, nonostante sotto di noi ci fossero due fratelli che entravano e uscivano dalla galera”.
Cit. Angelo Branduardi, cantautore.
A tre mesi Branduardi dall’hinterland milanese si trasferì a Genova prima in via della Maddalena nel cuore del centro storico, poi in via Masina nel quartiere di Marassi.
A soli 15 anni si diplomò in violino presso il Conservatorio Nicolò Paganini di Genova.
In Copertina: Via della Maddalena all’altezza di Via della Posta Vecchia.
Da via della Maddalena a vico Boccanegra si dipana, nel più completo degrado, il vico dei Cannoni.
L’origine del toponimo nulla ha a che vedere con i pezzi d’artiglieria ma rimanda invece ad un’antica pratica genovese.
Con il termine “cannoni” infatti si identificavano in epoca medievale i tubi, diffusi un po’ dappertutto nella città vecchia, che versavano l’acqua nelle fontane o nelle vasche pubbliche.
Tra quelle rimaste la più famosa è quella che si può ammirare in Via del Molo chiamata – appunto- la fontana dei Cannoni.
A differenza dei bronzini (rubinetti) i cannoni non avevano né la chiave per la chiusura, né la valvola per regolarne il flusso, ed erano quindi sempre aperti.
Una volta cessato il loro utilizzo vennero turati con tappi di piombo.
In Copertina: Vico dei Cannoni. Foto di Giovanni Cogorno.