Vico del Cioccolatte

Nel quartiere del Carmine numerosi sono i toponimi che rimandano all’antica vocazione pasticcera della zona.

È questo ad esempio il caso del vico del Cioccolatte dove avevano sede nel ‘600 i laboratori dei maestri cioccolatai.

Nel caratteristico caruggio si incontrano i resti di una cornice che conteneva un monumentale dipinto. Osservando l’intonaco scrostato si possono notare ancora tracce del profilo di una Madonna con Bambino attorniata da altri non identificati personaggi.

In Copertina: Vico del Cioccolatte. Foto di Franco Risso

A Lanterna de Zena

A Lanterna de Zena  l’è fæta a trei canti, 
Maria co-i guanti lasciæla passà.
A tr’öue de nêutte e tutti l’han vista
a fava a fiorista vestîa da mainâ.
Cattæghe ‘na roba, cattæghe ûn frexetto
cattæghe ûn ometto, pe fâla ballâ.

La Lanterna di Genova è fatta a tre angoli,                                
Maria con i guanti lasciatela passare.
Lavora di notte e tutti l’han vista 
faceva la fiorista vestita da marinaio.
Compratele un vestito, compratele un nastro
trovatele un ometto, per farla ballare.

Questa antica filastrocca popolare del ‘700 testimonia come da qualunque punto la si guardasse, la Lanterna mostrasse sempre tre lati.

In Copertina: La Lanterna di Genova. Foto di Antonio Corrado.

Piazza Macelli di Soziglia

In questa piazza dove le palazzate colorate si arrampicano le une sulle altre alla ricerca di un posto al sole, non servono spiegazioni, bisogna solo ascoltare i suoni mediterranei delle parlate ed ammirare i vivaci colori che i besagnini dipingono sui loro banchi, mischiati a quelli argentei pennellati dai pescivendoli.

Infine occorre abbandonarsi, “In quell’aria carica di sale, gonfia di odori “ cantava Faber, agli invitanti aromi provenienti delle botteghe e respirare… Genova.

Genova febbraio 2016.

In Copertina: Piazza dei Macelli di Soziglia. Foto di Stefano Eloggi.

Mercanti

‘La città pullula di ricchi mercanti che viaggiano per terra e per mare e si avventurano in imprese facili e difficili.

I genovesi, dotati di un naviglio formidabile, sono esperti nelle insidie della guerra e nelle arti del governo; tra tutte le genti latine sono quelle che godono di maggior prestigio.

Cit Muhammad al-Idrisi (1099-1164) geografo e viaggiatore arabo.

In Copertina: il porto di Acri assediato nel 1291 dai Mamelucchi, miniatura dal trattato di Cocharelli “Sui Sette vizi capitali”. Genova 1330-1340.

Massacan

Intorno all’origine del termine genovese massacan che significa muratore in italiano, nel corso dei secoli sono fiorite diverse leggende.

Ad esempio quella legata al magico luogo di Campopisano che ha fornito spunto per una colorita spiegazione secondo la quale i Nobili genovesi portavano i loro figli a guardare i prigionieri ivi alloggiati mentre faticavano e, indicandoli dicevano con disprezzo:”Mia sta massa de can” (Guarda questa massa di cani).

D’altra parte che tra i due popoli non corresse buon sangue è testimoniato dal vecchio adagio che recita:

“Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”.

Altre fonti raccontano invece di un attacco turco alla città nel ‘500 sventato dalla prontezza e dal coraggio degli operai che stavano lavorando alla costruzione di porta Siberia, o meglio, del Molo.

Costoro avvistarono i saraceni all’orizzonte e al grido di “massa i can” (ammazza i cani) saltarono sulle galee e li respinsero.

Secondo i glottologi invece queste sono solo fantasiose ipotesi perché l’origine della parola, per la prima volta citata nel 1178 in relazione ad un tal Anrico Maçacano, magister antelamo savonese (cioè tagliapietre) che esercitava tale professione, risale all’etimo diffuso anche in altre lingue e dialetti con il significato di “ciottolo, pietra arrotondata” della quale ci si serviva per scacciare (ed eventualmente ammazzare) i cani molesti.

Da qui il passaggio a “sasso” in genere, poi a “pietra da costruzione” e infine, per estensione, nell’area ligure a “muratore”.

Se già in alcuni documenti savonesi nel 1272-1273 il termine significava “pietra da costruzione”, lo si trova per la prima volta in volgare genovese nel 1471 e poi nel 1475 legato ai magistri antelami che operavano a Caffa in Crimea.

(Piccolo dizionario etimologico ligure” del Prof Fiorenzo Toso ed. Zona 2015).

In Copertina: Cantiere medievale.
Bibbia Maciejowski. Immagine tratta da historiemedievali.blogspot.com

Vico Fumo

Ignota l’origine del toponimo di vico del Fumo, si sa soltanto che è molto antico. E’ un vicoletto di pochi metri situato tra il muro esterno della chiesa di S.Giorgio ed il palazzo di Grillo Cattaneo.

Quella che si intravede al centro dello scatto è un lato della chiesa, dedicata al martire Pisano, di San Torpete.

Sulla destra invece attraverso una porticina lungo il muro perimetrale della chiesa intitolata al protettore militare genovese si accede ad un singolare appartamento che, disposto su più livelli in un labirintico percorso, presenta dei vani completamente curvilinei a seguire il profilo della cupola.

In Copertina: Vico del Fumo. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico Squarciafico

Passando da vico Ragazzi a piazza delle Scuole Pie si incontra vico Squarciafico.

L’origine del toponimo rimanda alla nobile omonima famiglia proveniente attorno al 1100 dalla Germania che qui aveva le proprie dimore.

Se “questi muri potessero parlare” -come cantavano De André e Baccini- racconterebbero storie di ambasciatori, ammiragli e poeti:
il primo Squarciafico di cui si ha notizia fu Oberto che nel 1169 combattè fra le file dei lucchesi e nel 1188 fece parte della delegazione incaricata di trattare la pace con i pisani; sempre a proposito di pisani un tal Montanaro nel 1283 fu capitano di nove galee schierate contro i toscani; nel 1361 Oberto fu signore, prima di cederle alla Repubblica di Genova, di Ceriana e Sanremo; Antonio nel 1386 fu ambasciatore presso il re di Aragona e Clemente nel 1428 fu presente nelle trattative imbastite con il re Alfonso; nel 1459 all’ammiraglio Oberto venne affidato il compito di difendere la roccaforte di Bonifacio in Corsica; nel 1580 Oberto fu investito del titolo di Marchese di Galabarca nel Regno di Napoli; Gio Batta nel 1605 fu senatore della Repubblica e nel secolo XVII Vincenzo fu un letterato di discreto successo.

Dopo la riforma del 1528, gli Squarciafico chee nel 1414 formavano già un loro Albergo, confluirono in quello dei Cicala.

In Copertina: Vico Squarciafico. Foto di Giovanni Cogorno.

Madonna della Misericordia in via San Vincenzo 50

Al civ. n. 50 di via San Vincenzo è collocata l’edicola della Madonna della Misericordia.

La scena rappresentata è quella classica dell’immagine della Vergine che appare all’inginocchiato Beato Botta.

Alla base della semplice nicchia, come minimale decoro, compare un cherubino alato e due riccioli.

In Copertina: la Madonna della Misericordia in Via San Vincenzo 50. Foto di Giovanni Caciagli.

Vico della Cittadella

Tra via Balbi a salita S.Brigida si incontra vico della Cittadella.
Il toponimo del caruggio, oggi assai trascurato, trae origine dalla particolare conformazione fortificata assunta dalla zona dopo l’erezione delle mura nel XV sec.

Questa nuova cinta muraria ebbe un importante ruolo difensivo fino al XVII secolo quando, con la costruzione delle mura nuove del 1632 che ampliarono significativamente il loro perimetro, perse d’importanza.

Da una relazione del 1606 del Senato della repubblica emerge infatti la preoccupazione per l’apertura di cancelli per dare una uscita alle vicine salite.

In Copertina: Vico della Cittadella. Foto di Alessandra Illiberi Anna