Vico dei Droghieri

Nel cuore della zona della Maddalena si sviluppa un dedalo di caruggi un tempo brulicanti di attività commerciali.

È questo il caso, ad esempio, di vico dei Droghieri sede una volta delle botteghe di spezie, droghe e coloniali.

Qui infatti non v’era mercanzia che non vi si potesse trovare: dall’aneto, al cinnamono, dal cardamomo al cumino, dalla curcuma alla liquirizia, da tutte le varietà di pepe possibili e immaginabili, allo zafferano, dal caffè al cacao e così si potrebbe continuare l’elenco “ad libitum”.

Tra i prodotti ad uso non alimentare, oltre all’incenso e alle varie essenze profumate, immancabile era l’indaco necessario per colorare i tessuti di jeans.

Un suggestivo tripudio di colori, profumi e aromi degno di un bazar orientale.

L’angolo con Vico Porta Nuova -infine- merita una sosta per ammirare quella che, a mio modesto parere, è una delle edicole votive più emozionanti in assoluto: la settecentesca Sacra Famiglia opera dello scultore Bernardo Schiaffino.

In Copertina: Vico dei Droghieri. Foto di Giovanni Cogorno.

I Panigacci

Quando mi trovo nella sede delle mie vacanze estive a Deiva Marina (Sp) è d’obbligo una tappa in Lunigiana per gustare i panigacci, un piatto che ben si presta alla convivialità a tavola.

I panigacci infatti sono tipici della Lunigiana e del levante ligure dove prendono il nome di Panigazzi. Sono originari delle località di Podenzana (Ms) in Toscana e di Bolano (Sp), in Liguria.

Sono realizzati con acqua, farina e sale e si preparano mescolando gli ingredienti fino a ottenere una pastella fluida. Tale pastella viene quindi versata nei testi, precedentemente lasciati arroventare su di un fuoco vivace, tipicamente in un falò o in un forno a legna.

Quando sono roventi al calor bianco, vengono estratti dal forno e fatti raffreddare un poco poi viene fatta una pila di testi, in modo tale che stando nel mezzo la pastella si cuocia sui due lati.

I panigazzi così cuociono in pochi minuti a temperature molto alte e non necessitano di lievitazione.

Una volta “smontata” la pila si servono in cestini di vimini accompagnati con salumi e formaggi cremosi.

In Liguria i testi di terracotta e mica (minerale resistente al calore) vengono fabbricati da tempo immemore ad Iscioli, una piccola frazione del comune di Ne. Nonostante la loro produzione sia un’ arte che va lentamente scomparendo, si possono ancora trovare nelle botteghe e nei consorzi agrari dell’entroterra di Chiavari.

Durante la seconda guerra mondiale, quando i tedeschi distrussero un ponte che collegava il comune di Podenzana con il resto della regione, gli abitanti del borgo sopravvissero mangiando panigacci fatti con farina di ghiande e castagne.

Oggi costituiscono la principale pietanza proposta nei menù delle trattorie del territorio.

In Copertina: I Panigacci. Foto tratta dalla Bottega del Panigaccio. Podenzana (Ms).

Il Bagnùn de Ancioe

Il Bagnùn de Ancioe (Bagnùn di Acciughe) è il piatto tipico di Riva Trigoso, borgo marinaro, frazione della, con le sue celebri baie, più nota Sestri Levante.

Si tratta di una zuppa a base di acciughe, pomodoro, gallette del marinaio e olio.

Quelle stesse gallette del marinaio un po’ pane e un po’ biscotto ingrediente insostituibile di un altro capolavoro della cucina ligure, il Cappon Magro.

Il Bagnùn nasce a bordo delle lampare e dei leudi quando già nel ‘800, essendo l’acciuga la regina del pescato, i marinai lo cuocevano sui fornelli a carbone.


Da 1960 al Bagnùn viene dedicata un’apposita sagra estiva il penultimo fine settimana luglio.

Pescatori al lavoro durante la sagra del Bagnùn.

In quest’occasione la zuppa offerta gratis, pena interminabili code smaltite con zelo dai volontari, attira migliaia di visitatori.

Il Bagnùn si può comunque gustare, pescato permettendo, tutto l’anno nelle trattorie del borgo e dei paesi limitrofi.

Se passate nel Golfo del Tigullio, merita, non perdetevelo. Un piatto sincero e verace della nostra tradizione.


Ingredienti e dosi (Per 4 persone)

  • 1 kg di acciughe fresche
  • 1-2 spicchi d’aglio
  • un ciuffo di prezzemolo
  • 1 mazzo di basilico
  • 1 cipolla
  • 500 g di pomodori da sugo
  • 1 bicchiere di vino bianco secco
  • 2 cucchiai d’olio extravergine (possibilmente ligure)
  • 4 gallette del marinaio
  • sale q.b
    Preparazione
    Pulire bene e sviscerare le acciughe.
    Tritare le verdure (escluso il basilico) e soffriggerle in padella nell’olio, fino a ché imbiondiscono.
    Eliminare l’aglio.
    Unire i pomodori anch’essi tritati, regolando di sale e cuocendo per una decina di minuti.
    Aggiungere le acciughe e cuocere, senza mai scuotere il tegame, un’altra decina di minuti, col vino bianco, a fuoco moderato.
    Impiattare il Bagnùn nelle fondine, sopra le gallette, bagnate prima nel vino bianco e precedentemente strofinate con aglio.

    Ricetta dal sito Il Tigullio.

In Copertina: Il Bagnùn. Foto di Ambrogio Razzini.

Portone palazzo Baxadonne

Al civ. n. 32 di Via San Giorgio si trova, eretto intorno al 1530, il palazzo Baxadonne De Franchi.

Dopo le numerose trasformazioni avvenute fino al ‘800 dell”edificio originale rimane il bel portale marmoreo.

Decorato con colonne doriche abbellite da collarini floreali. Nelle metope un tripudio di mensole a triglifo, burroni, elmi e clipei.

Le basi dei piedistalli sono invece scolpiti con armi, scudi, animali marini e una testa di Medusa.

La porta è in ferro borchiato con classico batacchio traforato.

Sul trave recita il cartiglio:

Gratia Conceditvr VSV.

In una sera piovosa del 26 aprile del 1827, Giuseppe Mazzini pose il piede sul consunto gradino per andare ad iscriversi alla Carboneria .

In Copertina: Portone di Palazzo Baxadonne De Franchi. Foto e aneddoto mazziniano di Ettore Parodi.

Vico Tacconi

Vico Tacconi sulle mappe antiche indicato come de’ Tacconi è situato nel quartiere di Pre’ nella zona di Via Balbi vicino ai truogoli di Santa Brigida e di vico Marinelle.

Il caruggio deve il nome all’omonima famiglia che aveva qui fino al ‘800 le sue dimore.

Qui al civico 17 visse e morì il 7 ottobre del 1777 Francesco Maria Accinelli (1700-1777), sacerdote e geografo ma soprattutto storico genovese di riferimento del suo tempo.

Oggi, purtroppo, fa parte di quella rete di vicoli dove malavita e spaccio regnano sovrani.

In Copertina: Vico Tacconi. Foto di Stefano Eloggi.

Tortino di acciughe alla maniera di Vernazza

Nella maggior parte d’Italia le chiamano alici, qui in Liguria sono le acciughe e sono un vero e proprio culto, in particolare nella riviera di Levante, molto apprezzate quelle di Monterosso.

In realtà non vi è località sulla costa che non organizzi una sagra a tema, la più famosa delle quali è senza dubbio quella del Bagnun di Riva Trigoso.

Qui invece ho deciso di soffermarmi sul tortino di acciughe che si può declinare in mille modi come, ad esempio nella versione del Tian (tegame di Vernazza) o, in modalità autunnale con funghi porcini.

Tortino di acciughe. Foto e preparazione dell’autore.

Io ne ho elaborato una versione al forno con due strati alternati di patate e acciughe farciti con capperi, aglio, pomodorini, cipolla, maggiorana e origano.

Non ho aggiunto, anche se molte ricette lo prevedono, il parmigiano al fine di non coprire ma preservare il sapore dell’acciuga.

Prodotti dell’orto e pesci del mare si fondono in un invitante connubio.

In Copertina: Tortino di acciughe pronto da infornare. Foto e preparazione dell’autore.

Il Presepe di Rio Torbido

In linea d’aria sotto il ponte dell’acquedotto storico di Genova si trova, vicino alla sede della Medical Systems, un presepe molto particolare.

Eh si, proprio particolare, perché si tratta di un presepe allestito nella veranda di un’abitazione privata.

Qui i padroni di casa ti accolgono con il sorriso e sono ben lieti ed orgogliosi di raccontarne la storia.

Ad ideare il presepe fu -racconta Anna – il papà Vito Lobosco.

L’appassionato cultore autodidatta infatti, nell’arco di 14 anni, ha realizzato a mano sia le statuine che gli sfondi pittorici di questo suggestivo presepe genovese.

In primo piano si vedono alcuni venditori e la pescheria. In alto si riconosce l’Abbazia di San Siro.
Scena con personaggi dei mestieri e di vita quotidiana completamente meccanizzati.

Così ai personaggi statici della tradizione si sono via via affiancati quelli meccanizzati legati agli antichi mestieri. Tutte le statuine e molti degli attrezzi e dei dettagli sono intagliati dal legno di tiglio.

Spettacolare il movimento meccanizzato della pigiatura dell’uva con il tino.

La scenografia di dipana attraverso due rappresentazioni principali realizzate in continuità cronologica: la prima, ambientata in un tradizionale contesto agreste della Val Bisagno, la seconda che racconta invece di panorami e luoghi cittadini.

Protagonista ovviamente la scena della Natività sul cui sfondo domina l’inconfondibile ponte sifone dell’antico condotto sul torrente Geirato, simbolo della Val Bisagno.

La parte tradizionale del presepe con le luci della sera.

A proposito di simboli e monumenti ecco la maestosa piazza De Ferrari, la cui celebre fontana realizzata riadattando un vecchio fornelletto, mentre in lontananza spuntano il campanile di San Lorenzo e le torri di Porta Soprana, vegliati a distanza dall’immancabile Lanterna.

La seconda parte del presepe con i monumenti cittadini e la Lanterna a vegliare sullo sfondo.

Ma i suggestivi scorci non finiscono qui: si riconoscono Piazza Dante, la casa di Colombo, la chiesa di San Matteo, una porzione del tracciato dell’acquedotto storico e l’abbazia di San Siro.

Ultima creazione in ordine temporale, prima della scomparsa dell’autore avvenuta nel 2019, un’accurata ricostruzione della Stazione Brignole.

La Stazione Brignole.

Gli edifici sono modellati anch’essi in legno di tiglio e compensato con l’innesto di polistirolo e materiale di riciclo.

Oggi per volere della figlia Anna il presepe di famiglia è entrato nel circuito dei presepi della Val Bisagno ed è fruibile da tutti.

Il presepe, proprio perché allestito in una casa privata non è permanente. Ad occuparsi quindi della sua impegnativa messa in opera che dura quasi un mese è il marito Maurizio Pasqua che vi accoglierà con la cordialità con cui si riceve la visita di un vecchio amico.

I padronoidi casa: Anna Lobosco e Maurizio Pasqua.

Il presepe del rio Torbido è visitabile tutti i giorni a partire dal 8 dicembre fino al 31 gennaio (tranne Natale e Santo Stefano) dalle 15 alle 19.

La casa che lo ospita si trova in Salita Massiglione 4, a due passi dal tracciato dell’Acquedotto Storico nel tratto compreso tra via Geirato e il cimitero di Molassana.

In Copertina: il Presepe di Rio Torbido. Tutte le foto sono dell’autore.

Natale 2022

La Mostardella

La Liguria -si sa- non gode di grande fama nell’ambito dell’arte della preparazione dei salumi.

A parte infatti i prodotti di Castiglione Chiavarese e di S. Olcese non abbiamo una grande tradizione in materia.

Proprio a S. Olcese, oltre al celebre salame di cui è un derivato, si prepara la mostardella un goloso insaccato realizzato con le parti di carne bovina più filacciose e meno pregiate.
Si consuma prevalentemente cruda oppure cotta e abbrustolita, tagliata a fette spesse, sulla piastra della stufa.

O almeno così lo cucinavano i nonni polceveraschi di mia moglie che me l’hanno fatta conoscere ed apprezzare.

Ricordo la soddisfazione di nonno Valle nell’offrirmi la mostardella accompagnata alle uova, appena colte dal pollaio, cotte al tegamino.

Uova al tegamino. Foto e maldestra preparazione dell’autore.

La mostardella è un prodotto di nicchia poco noto non facilmente reperibile se non nelle rivendite del territorio polceverasco.

Io, ad esempio, me la procuro presso la macelleria Martini località Santa Marta di Ceranesi.

La mostardella viene anche chiamata salame del contadino o dei poveri perché ottenuta con gli scarti dei tagli utili al confezionamento del più nobile S. Olcese e destinata quindi in origine ad un consumo più domestico che commerciale.

Eppure l’insaccato contenuto in un budello naturale di bovino, realizzato con le parti più filacciose e l’aggiunta di lardo di maiale, è davvero sapido e gustoso.

Ogni 25 aprile a S. Olcese oltre alla festa della Liberazione, si celebra la sagra del salame.

In occasione di tale evento è possibile anche gustare la mostardella alla quale è stata dedicata, al fine di valorizzarla e diffonderne la conoscenza, una manifestazione parallela.

Il consumo di questo salume in queste valli è radicato nei secoli e diventa tradizione: si tramanda infatti che, nei tempi passati, i giovani della Valpolcevera in cerca di moglie portassero l’insaccato a casa dei potenziali futuri suoceri come dono.

Se questi accettavano il presente e affettavano il salume stava a significare che il matrimonio era consentito.

Un’ultima curiosità racconta invece di tempi duri e di povertà in cui, durante l’inverno, i contadini si riciclavano, non potendo lavorare nei campi, come garzoni dei salumieri e venivano retribuiti con un chilo e mezzo di mostardella e una lira a settimana.

In Copertina: la Mostardella. Foto dell’autore.

Vico Malatti

Sito nel quartiere del Molo in origine vico Malatti era uno dei numerosi vico dell’Olio
presenti sparsi in città.

Cambiò denominazione in omaggio alla famiglia di artisti Malatti o Malatto, di cui il più insigne esponente fu Nicolò secentesco decoratore allievo di Domenico Parodi.

Sempre nel ‘600 il vico ospitò, prima di essere definitivamente trasferito in Piazza dei Tessitori (sopra piazza delle Erbe), il ghetto ebraico cittadino.


In Copertina: Vico Malatti. Foto di Giovanni Cogorno.

La volta dell’oratorio di San Filippo Neri.

Non solo negli sfarzosi palazzi nobiliari, nelle opulente chiese barocche, o in quelle misteriose medievali.

A Genova la grande bellezza si annida un po’ dappertutto ma è riservata e schiva come l’indole dei suoi stessi abitanti.

Va cercata dentro ai cortili, dietro ai portoni, negli angoli più impensabili sempre comunque con lo sguardo all’insù.

E’questo il caso ad esempio dell’oratorio di San Filippo Neri. Varcato il portone subito certo si rimane colpiti dalla Madonna del Puget, ma basta dare un’occhiata al soffitto per provare vertigine.

Ed eccoci rapiti nel vortice degli affreschi eseguiti da Giacomo Boni e dalla tela raffigurante San Filippo in estasi di Simon Duboi.

In Copertina: la volta dell’oratorio di San Filippo Neri. Foto di Stefano Eloggi.