Storia di un cardinale… prima parte…

… molto… molto speciale…
Nel maggio 1938 Benito Mussolini, pochi giorni dopo aver ospitato in Italia Adolf Hitler transitato in treno anche da Genova, ritorna per la seconda volta (durante la prima nel 1926 aveva decretato la nascita della Grande Genova) in veste di Capo di Governo la nostra città.
Nello stesso periodo Papa Pio XI, al fine di rafforzare il presidio ecclesiastico cittadino, designa in qualità di arcivescovo di Genova, il cardinale Pietro Boetto, prelato gesuita apertamente antifascista.
Boetto mette piede, per la prima volta a Genova, scendendo alla stazione di Piazza Principe completamente imbandierata di svastiche e fasci littori.
Il cardinale non si intimorisce e, per tutto il corso della seconda guerra mondiale, si attiva a salvare migliaia di ebrei, aderendo all’associazione clandestina Delasem e finanziandola con rendite personali e della curia.
A capo di questa attività pone il suo segretario, il fido don Repetto.
Costui si occupa di dare asilo ai profughi nei conventi e nelle chiese cittadine e procura loro documenti falsi al fine di poter raggiungere o il Sudamerica via nave o, soprattutto, via treno, Svizzera e Nord Europa, Svezia in particolare.
A chi, all’interno della curia manifesta perplessità e paure per la pericolosa iniziativa risponde:”Non sono forse esseri umani come noi?… e Gesù non era forse un ebreo?
Questo è il primo motivo per cui l’umanità gli è debitrice e, per cui la Comunità ebraica, lo ha insignito, post mortem, del titolo “Giusto fra i Giusti”…. poi ce n’è un secondo, per cui, a essergli debitori, siamo noi genovesi, tutti ….ma questa è un’altra storia…

Fine prima parte… continua…

“… E mi chiedo perché non ci vivo…”

storia di uno scrittore ammaliato anch’egli contagiato da una strana malattia “Le mal de Genes”.

“Tutte le volte che vengo a Genova, mi dico che è la più bella città del mondo.
E mi chiedo perché non ci vivo, sebbene, dal primo momento, ormai lontanissimo, in cui l’ho vista, abbia mai desiderato altro. Un’altra domanda, rivolta non più a me stesso, ma ai miei amici.
Se un viaggiatore, mettiamo un giapponese, che fa il giro del mondo in pochi giorni, avesse a disposizione un solo giorno per vedere la Francia, e uno per l’Inghilterra e uno per l’Italia: se, quindi, non potesse visitare che una sola città per nazione, è chiaro che, per la Francia e l’Inghilterra, gli si mostrerebbe Parigi e Londra: certo non sono tutta la Francia e tutta l’Inghilterra, ma le rappresentano, o meglio, le presentano, rispettivamente, con assoluta fedeltà.
Ma, e per l’Italia? Né Roma, né Firenze, tantomeno Milano, Torino o Venezia, darebbero l’idea.
Forse Napoli? Non ci può essere dubbio.
La risposta non può che essere una: GENOVA.
Perché Genova, pur avendo una fisionomia così particolare, assomiglia un poco, pezzo per pezzo, a tutte le città italiane.
Ha vie colorate come Palermo, lungomare come Napoli e Bari, calli come Venezia, colline come Ancona, monumenti come Roma e Firenze, animazione come Bologna, industriale come Milano, quartieri ottocenteschi come Torino.
Tutta l’Italia, ormai, e tutte le epoche della storia italiana si sono riversate intorno al vecchio centro medievale di Genova.
L’antico e il nuovo, il sud e il nord: il mare e il monte: il clima, che è mediterraneo, e il gruppo etnico dominante, che è ligure.
Ed è Ligure, è genovese, perfino il senso più moderno e più vivo del nostro Risorgimento: l’idea Repubblicana.
“… Mi è di guida l’amico Remo Borzini, che della sua vecchia Genova sa tutto.
Guida del resto, indispensabile.
Chi, se no, potrebbe mettere piede in questa città fatta di macerie, di abbandono, di spavento, di sporcizia ma anche di meravigliosa bellezza, di sublime incanto scenografico e romantico?”
Brani tratti da “Liguria Regione Regina” del 1969.
di Mario Soldati, giornalista, scrittore e regista cinematografico.

Storia dei Liguri…

… e della loro reputazione nell’antichità…

Da Tacito a Svetonio, da Posidonio a Diodoro Siculo, da Livio a Sallustio, fino a Plutarco, sono tutti concordi nel descrivere i Liguri come una selvaggia e combattiva popolazione montana:
Racconta, ad esempio, Diodoro: “I Liguri che abitano questa regione coltivano una terra sassosa e del tutto sterile che, in cambio delle cure e degli sforzi sofferti dai nativi, offre pochi frutti utili alla sopravvivenza.
Perciò gli abitanti sono resistentissimi alle fatiche e, per il continuo esercizio fisico, vigorosi; giacché, ben lontani dall’indolenza generata dalle dissolutezze, sono sciolti nei movimenti ed eccellenti per vigore negli scontri di guerra”.
Anche il celebre tragico greco Eschilo, nel suo “Prometeo Liberato”, ne racconta le caratterische quando il protagonista, per ricompensare Ercole, il quale ha ucciso L’Aquila che lo tormentava, gli preannuncia il cammino che dovrà percorrere e le insidie che incontrerà nel sostenere le ultime fatiche:
“Incontrerai l’intrepido esercito dei Liguri, contro i quali, sappilo, per quanto tu sia forte, la lotta non ti sarà facile.
È destino che nel combattimento ti vengano a mancare i dardi, né sul terreno potrai trovare alcuna pietra con cui difenderti, poiché colà il suolo è tutto acquitrinoso.
Ma, vedendoti in difficoltà, Zeus avrà pietà di te: adunerà sotto il cielo cupi e pesanti nembi e coprirà il terreno con una grandine di pietre arrotondate con cui potrai respingere e inseguire l’esercito dei Liguri.”
Posidonio, invece, si sofferma sui Liguri marittimi, i genovesi, che: “… sono coraggiosi e nobili non solo in guerra ma anche in quelle circostanze della vita non scevre di pericolo.
Come mercanti solcano il mare di Sardegna e quello Libico, slanciandosi coraggiosamente in pericoli senza soccorso… sopportano le più paurose condizioni atmosferiche che l’inverno crea tremendamente”.
Per i Greci, i Liguri, degni di Ercole, per i Romani, signori del mare

Virgilio nelle “Georgiche” definisce il ligure “adsueto malo ligurem”, avvezzo alle difficoltà.
Non a caso, Asterix e Obelix, quelli veri, erano Liguri, ed hanno respinto Roma per oltre un secolo, risultando, fra tutte, la più ostica fra le conquiste imperiali…
Ma questa è un’altra storia…

Storia di un amore mendace…

… di un testimone altolocato, anzi… forse due..
In quel tempo un giovane gentiluomo faceva la corte ad una bella damigella.
Le sue intenzioni non erano serie, voleva solo godere delle sue grazie e, per questo, non mancò di ingannarla.
Nella pubblica piazza, sotto un Crocifisso, il giovane promise alla fanciulla che l’avrebbe sposata e così ottenne in anticipo quanto anelato.
Il Nobile si rifiutò di mantenere fede alla promessa fatta e venne quindi dalla damigella denunciato.
Non avendo ella testimoni dell’accaduto, il Giudice si era convinto di rigettarne la querela, quando questa si ricordò che i giuramenti erano stati fatti alla presenza del crocifisso.
Implorò che lo prendessero a testimone della verità e che fosse ascoltato dai giudici.
Il crocifisso, ovviamente, non rispose alle domande ma abbassò la testa in segno affermativo alle rimostranze della ragazza.
Per l’inesperto Don Giovanni non ci fu scampo, i giudici proclamarono le nozze per il giorno stesso e, forse, i novelli sposi vissero felici e contenti.
Il Crocifisso ligneo della leggenda si trova oggi vicino all’altare maggiore della Chiesa di S. Maria in Castello.

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“Il Cristo Moro nella versione barocca”.

Nel ‘600 venne addobbato con decorazioni barocche e dotato di barba e capelli veri.
Nel 1974, in occasione di un restauro, la Sovrintendenza si è accorta che, sotto quegli orpelli, si nascondeva un Cristo Moro, databile al tempo della prima crociata, quindi ben più antico rispetto all’epoca fino ad allora creduta, il ‘600.
Probabilmente questo Crocifisso, in origine rivestito di argento e portato dai genovesi nel 1095 era custodito in una cappelletta sottostante il limitrofo complesso di San Silvestro. Ne è stata realizzata una fedele copia riaddobbata come nel ‘600 e custodita nella teca di una cappella poco distante dall’originale.

In questo modo ognuno, in particolare le donzelle in cerca di marito, può venerare il crocifisso che più gli aggrada.

All’interno della vicina chiesa oggi scomparsa di Santa Croce, fulcro della comunità lucchese in città, era invece venerato un simulacro di un altro crocifisso legato al culto del “Volto Santo”,  tanto caro ai toscani, oggi conservato nella cattedrale di San Martino di Lucca.

Link utili:

Santa Maria di Castello

“Durante il mio viaggio…

… ciò che ho visto di più bello è Genova.
Ti consiglio di andarci un giorno o l’altro.
Dopo aver visitato i suoi palazzi si ha un tale disprezzo per il lusso moderno che vien voglia di abitare in una scuderia e di vestirsi da operai.”
Lettera ad un amico di Gustave Flaubert immalinconito nella sua nuova residenza milanese.

Storia di un Imperatore ligure…

… antesignano del commercio e dell’avarizia genovese.
Publio Elvio “Pertinace” così chiamato per la sua tenacia nel continuare i commerci paterni, nacque ad Alba Pompeia (odierna Alba in Piemonte), secondo altri storici invece, probabilmente, a Vada Sabatia (Vado Ligure).
In ogni caso (Liguria o Piemonte che sia) nella Regio amministrativa IX Liguria.
Terminati gli studi classici si dedicò alla carriera militare prestando servizio prima in Siria, poi in Britannia, quindi in Germania, Dacia e Nord Europa.
Al seguito di Marco Aurelio (l’imperatore del film “il Gladiatore” si distinse come valente generale e venne nominato console, successivamente promosso a governatore della Siria e, infine, senatore.
Alla morte di Marco Aurelio continuò il suo operato, fedele al nuovo imperatore Commodo, il quale, prima lo inviò in Britannia a sedare rivolte, poi lo nominò proconsole d’Africa e, infine, lo proclamò prefetto.
A sessantasei anni, deceduto Commodo, assassinato dai congiurati, Pertinace venne acclamato imperatore.
Gli storici del tempo così lo descrivono:”… era un vecchio dall’aspetto venerando, con barba lunga e capelli crespi, un po’ panciuto, anche se la sua alta statura gli conferiva un aspetto veramente imperiale.”
Da buon ligure in soli tre mesi, tanto durò il suo regno (a sua volta assassinato dai militari), riorganizzò e risanò il pubblico erario.
Ancora raccontano di lui:”… Poteva sembrare cordiale, ma di fatto era tutt’altro che generoso, anzi era tanto spilorcio da offrire ai suoi commensali solo carciofi e mezze lattughe… era tanto sobrio nello spendere quanto avido di guadagno… anche da imperatore continuò, tramite i suoi incaricati, a commerciare lana e legname… come privato cittadino venne accusato di aver ampliato troppo i suoi possedimenti in Liguria, dopo aver oppresso e praticato l’usura sui piccoli proprietari.
Come console vendette cariche e congedi militari e trasse profitto da ogni sua attività divenendo, in pochissimo tempo, ricchissimo.
Insomma la nostra attitudine al commercio, “Genuensis ergo mercator” (genovese quindi mercante) diranno nel Medioevo e la nostra proverbiale parsimonia hanno radici molto lontane.

“È qualcosa di indescrivilmente bello…”

storia di un musicista tedesco… travolto, inebriato e sconvolto dalla Superba… qui trova “l’Oro”..
“Io non ho visto nulla come questa Genova! È qualcosa di indescrivilmente bello, grandioso, caratteristico: Parigi e Londra al confronto con questa divina città scompaiono come semplici agglomerati di case e di strade senza alcuna forma.
Davvero non saprei cominciare per darti l’impressione che mi ha fatto e continua a farmi tutto ciò: io ho riso come un fanciullo e non potevo nascondere la mia gioia”.
Con queste euforiche parole Richard Wagner, celebre compositore tedesco, descriveva nel 1853 alla moglie le sue impressioni su Genova.
A tal punto inebriato da quello che aveva visto da scrivere ancora alla consorte:”Per offrirti nel tuo compleanno il dono secondo me più grande, ti prometto oggi di farti fare nella prossima primavera una gita a Genova…”
Terminato il soggiorno genovese il musicista prosegue verso il Sud Italia ma, a La Spezia, lo prese un angosciante malessere e il desiderio di non continuare il viaggio.
Dopo una lunga passeggiata nei boschi Wagner cadde spossato a letto e, nel delirio del dormiveglia creativo, si svegliò impaurito con la sensazione e il suono dello sciabordio delle onde, quello stesso ritmico flusso che, a lungo, aveva ascoltato sulla rena genovese.
Subito il compositore si rese conto di aver avuto la rivelazione del suo capolavoro, opera che sentiva già dentro di se, ma che non riusciva a definire chiaramente, il celeberrimo “Oro del Reno”.
L’artista, padrone ormai della sua creatura, decise di rientrare a Zurigo e completare la partitura.
L’Ode musicale romantica per eccellenza quindi, più che dalle correnti del Reno, è stata ispirata dalle onde della Superba.

Storia dell’altra Lanterna…

… di un faro che non c’è più … ormai dimenticato…
Nel 1324 i “Salvatores portus et moduli” deliberano la costruzione di una nuova torre destinata a presidiare il lato levantino del porto.
È tempo dunque che madre Genova partorisca e che la Lanterna abbia una sorella.
Viene posizionata nella zona degli attuali Magazzini del Cotone, davanti al Baluardo e alla Malapaga.
Il suo nome deriva dal fatto che, quello di S.Marco al Molo, il quartiere dove viene eretta, è la zona dove i mercanti greci avevano le loro abitazioni e vi gestivano traffici e merci.
Per circa 300 anni la Torre dei Greci ha coadiuvato la Lanterna nel difficile compito di proteggere il porto e difendere la città.

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“La Torre dei Greci” dettaglio del 1520 circa…

Nel ‘600, in seguito ai lavori resisi necessari per l’ampliamento del Molo, è stata demolita.
Di tutto ciò resta solo il prezioso ricordo testimoniato da numerose “vedute” di quadri, stampe e incisioni, come quella qui rappresentata del 1520.

In copertina dettaglio del quadro di Cristoforo Grassi del 1597. La tela rappresenta il ritorno della flotta dalla spedizione di Otranto del 1481, avvenuta l’anno successivo.

Storia di leggende… seconda parte…

misteri… e fantasmi… seconda parte…
Si aggira in Via di Francia chiedendo l’elemosina e inveendo contro chi non lo accontenta, per poi sparire nel nulla, lo spettro del “Monaco errante”.
Meno aggressivi sono invece gli spiritelli che infestano, scambiandosi effusioni e bisbigli amorosi, i parchi di Villa Piantelli nei pressi dello stadio Luigi Ferraris lato distinti, o quelli di Villa Saluzzo Bombrini, detta “Il Paradiso” (nella quale alloggiarono due grandi poeti Byron e De André).
Come non ricordare poi la vicenda di Forte Sperone dove, nel corso di una seduta medianica, si qualificò lo spirito di un assassino reo confesso di aver trucidato un’innocente.
In seguito a ricerche di archivio si accertò che lì, circa duecento anni prima, effettivamente era stata uccisa una giovane pastorella.
In San Donato si trascina invece l’anima senza requie di Stefano Raggi che nel ‘600, ricercato per aver cospirato contro la Repubblica, cercò salvezza nascondendosi nel campanile dell’omonima chiesa.
Catturato dalle guardie e rinchiuso nella Torre Grimaldina si suicidò con un pugnale procuratogli da una guardia, celato dentro ad un crocifisso.
In molti affermano di averlo visto nelle sere autunnali camminare a passo svelto, avvolto in una tunica rosso porpora, proprio nelle vicinanze della chiesa stessa.
E che dire poi del mio fantasma preferito, quel Branca Doria colpevole di aver assassinato il suocero per impadronirsi dei suoi beni e collocato da Dante, ancor vivo all’inferno?

La sua anima inquieta si aggira furtiva fra le colonne e i palazzi di Piazza S. Matteo, in attesa di infilarsi in chiesa e di sparire, dopo essersi appoggiata con le mani insanguinate alla colonna che, ancora oggi, ne testimonia il violento passaggio.
Anche le vicende di altri traditori e i delitti d’amore meritano menzione ma, queste sono altre storie….
Fine seconda parte… continua

Storie di leggende… prima parte…

misteri… fantasmi…
Già altri, prima di me, hanno ideato percorsi e iniziative in merito quindi non intendo, in alcun modo, sostituirmi loro.
Ma si sa, ciò che la storia non può avallare, la leggenda tramanda. Ogni quartiere, palazzo o scantinato della città nella sua millenaria esistenza, è ricco di favole, racconti e aneddoti tra i quali, eccone alcuni, di mia conoscenza:
Il primo che mi sovviene riguarda la Cattedrale di S. Lorenzo, dove la vigilia di S. Giovanni Battista, allo scoccare della mezzanotte, sotto la navata centrale, tutte le maestranze che ne hanno contribuito alla costruzione, sfilano in solenne corteo fin sulla cupola dell’Alessi per poi, dopo circa un’ora, dissolversi nell’oscurità.
Nell’antica chiesa dei SS. Cosima e Damiano invece, nelle notti di luna piena, c’è chi sostiene di aver visto apparire, per qualche istante, delle figure incappucciate, forse membri di qualche antica Casaccia.
Casaccia alla quale certamente appartengono le anime scorte all’imbrunire, in periodo di Quaresima, percorrere affrante Salita San Francesco.
Questo della processione evidentemente è un tema che riscuote successo e ritorna spesso, visto che, sempre di sera, in Salita degli Angeli, un altro corteo, in determinate ricorrenze, sfila contrito in direzione del cimitero della Castagna.
Poi ci sono altri racconti… ma, queste sono altre storie…
Fine prima parte… continua…