Scalinata del Laberinto

Scalinata del Laberinto, o del Labirinto che dir si voglia, costituisce singolare quanto caratteristico varco fra le millenarie, nel corso dei secoli poi più volte risistemate, mura delle Grazie.

Nomen omen visto che l’accesso nel dedalo dei caruggi ancora oggi da l’impressione, per chi non è pratico, di un vero e proprio intricato labirinto.

Secondo gli storici ottocenteschi visto che la zona era battuta dalle prostitute, un toponimo dalla genesi moraleggiante e quindi un labirinto di perdizione.

Vi si accede percorrendo Vico di Santa Croce e Salita della Seta. Lo stretto colpo d’occhio all’orizzonte di squarci di azzurro del mare, un tempo era riempito dalle navi mercantili, oggi dalle gigantesche fusoliere delle grandi navi da crociera.

Nel 1974 vi furono girate alcune scene del poliziesco “Genova si ribella” con protagonista Franco Nero.

La Grande Bellezza…

In copertina: Scalinata del Laberinto. Foto di Stefano Eloggi.

La chiesa inferiore di San Giovanni di Pre’

L’ambiente essenziale e austero proietta in un baleno il visitatore indietro di quasi nove secoli in un luogo mistico e magico al contempo.

La chiesa inferiore della Commenda di San Giovanni mantiene vivo il suo innegabile fascino e costituisce quinta assai scenografica nel racconto dei cavalieri gerosolimitani che qui avevano dimora.

Sotto gli archi delle volte a crociera s’intravvedono ancora, sbiaditi dal tempo, gli antichi affreschi di influsso bizantino.

Camminando invece sulla pavimentazione originale del XI secolo pare ancora di ascoltare il calpestio e lo sferragliare di spade e armature dei crociati di Testa di Maglio.

Qui nella suggestiva cappella di Santa Margherita pregavano i pellegrini in partenza per la Terra Santa.

Sulla parete della navata di sinistra si possono ammirare infine i resti della cappella di Sant’Ugo con il ciclo di piccoli affreschi che ne raccontano vita e miracoli.

In copertina: chiesa inferiore di San Giovanni di Pre’. Foto di Stefano Eloggi.

Via dei Giustiniani e Sà Pesta

Via dei Giustiniani era la chiavica lunga che scendeva dal colle di S. Andrea per sfociare in mare.

A fianco del fossato si alzavano le mura del X secolo demolite intorno all’anno Mille.

I conci in pietra vennero riutilizzati per la costruzione di nuove case. Nel XIV sec., coperta la chiavica, furono demolite le ultime casupole in legno.

Fu allora che i Giustiniani costruirono il loro palazzo e allargarono il caruggio fino a farlo diventare il più importante della città.

Sulla sinistra, più o meno all’altezza dell’incrocio con Vico di S. Rosa, si nota la serranda abbassata (è l’alba) di Sà Pesta uno degli ultimi locali storici che anticamente ospitava magazzini di sale distribuito per usi domestici.

Sale pestato, questo significa il nome tradotto in italiano dal genovese, mantiene il caratteristico forno a legna, i soffitti voltati, piastrelle rigorosamente bianche e pavimenti in graniglia alla genovese.

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In copertina: Via Giustiniani all’altezza del civ. 16r. Foto di Stefano Eloggi.

L’archivolto di Santa Maria in Passione

Da Santa Maria di Castello proseguendo in salita si giunge alla piazzetta di Santa Maria in Passione. Della chiesa appartenuta un tempo al convento delle Canonichesse Lateranensi rimane solo il sinistro sventramento perpetrato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Resta in piedi, seppur rimaneggiato, il campanile mentre dei preziosi affreschi di Valerio Castello e di Domenico Piola, purtroppo non vi è più traccia.

Ma la vera curiosità sta nell’archivolto medievale individuato dagli storici come la base di una delle due vere torri Embriaci, da non confondersi con la torre De Castro, presenti nelle più antiche raffigurazioni del primitivo castrum cittadino.

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In copertina: l’archivolto di Santa Maria in Passione. Foto di Stefano Eloggi.

La Casa di Andrea

Al civ. n. 17 di Piazza San Matteo si trova il palazzo donato nel 1528 dalla Repubblica all’ammiraglio per i suoi servigi alla patria.

Ad Andrea D’Oria e ad i suoi eredi fu inoltre riconosciuta l’esenzione perpetua dalle tasse.

L’edificio originario che venne edificato da Lazzaro D’Oria attorno al 1460 ha subito nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti e cambiamenti fino a raggiungere, nella forma attuale, una riuscita fusione tra tardo gotico e primo rinascimento.

Il portale di scuola toscana attribuito a Nicolò da Corte e Gian Giacomo della Porta, secondo altri invece a Michele d’Aria e Giovanni Camplone, è un autentico capolavoro.

Figure zoomorfe e decorazioni a candelabri riempono ogni spazio possibile: testine, animali fantastici, lucertole, teste di montone e leone, pavoni, sirene e ninfe danzanti, uccelli che beccano dai fiori, roditori spuntano dalle cornucopie, pesci mostruosi e grifoni appollaiati sui capitelli.

A questi motivi se ne intrecciano altri floreali come girali e corone di fiori.

Nei sopracapitelli quadrati, a ricordare la fazione politica di appartenenza, due teste di imperatore.

Sopra l’architrave è scolpita l’epigrafe retta da due putti alati che certifica la donazione:

Senat. Cins Andre / Ae De Oria Patriae /Liberatori Mvnvs / Pvbblicvm.

Incisa sulla lapide l’immagine di una sfinge simbolo e sintesi dei quattro elementi che costituiscono il creato.

I fregi ornamentali originali sul prospetto principale sono opera dei maestri antelami Giovanni da Lancio e Matteo da Bissone.

La classica facciata in marmo bianco e nero alternato presenta in alto sulla sinistra due piccole logge una sopra l’altra chiuse da una terrazza decorata con archetti.

All’angolo della prima un pilastro marmoreo è scolpito con guerrieri del casato in nicchie con conchiglie sulle volte.

La seconda loggia invece aperta presenta arcate a tutto sesto, volte a crociera e fregi di archetti.

In realtà il celebre ammiraglio non visse mai in questa casa preferendo stabilirsi nella sua lussuosa dimora di Fassolo.

In copertina: la casa di Andrea D’Oria in San Matteo. Foto di Stefano Eloggi.

La magia delle Vigne

Il toponimo della zona delle Vigne rimanda a prima dell’anno Mille quando la contrada era identificata con il nome di Vigne del Re. Queste vigne, dette anche di Susilia, si estendevano inoltre su tutta la collina del Castelletto.

In Vico del Campanile delle Vigne l’ormai millenario campanile in pietra svetta in tutta la sua maestosa eleganza sulla copia del sarcofago del II sec d. C. che raffigura la morte di Fedra. L’originale conservato al museo Diocesano dal 1304 venne utilizzato come tomba di Anselmo D’Incisa.

Anticamente il sito, per via della presenza di un cimitero paleocristiano, era ritenuto magico.

Gli undici archi a tutto sesto tamponati a sinistra nel muro perimetrale del chiostro, potrebbero essere i resti di tombe ad arcosolio del cimitero paleo cristiano, o più probabilmente, tracce di antichi magazzini. In origine la sede stradale era infatti ribassata rispetto a quella attuale.

Proprio per purificare la zona da queste leggende e superstizioni pagane nel 991 sarebbe stata eretta la basilica di S. Maria delle Vigne.

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In copertina: Scorcio di Vico del Campanile delle Vigne. Foto di Stefano Eloggi.

“Genova per noi…”

“… Ma quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova ed ogni volta l’annusiamo, circospetti ci muoviamo, un po’ randagi ci sentiamo noi“.

Cit. da Genova per noi (1975). di Paolo Conte.

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Da Palazzo Rosso. Foto di Stefano Eloggi.

Piazza del Ferro

L’origine dell’etimo che da origine alla piazza è di natura incerta. Secondo alcuni storici deriverebbe da una famiglia Ferro che abitava la piazza, secondo altri dal nome di un’antica osteria. Molto più probabilmente invece discenderebbe, dai depositi di metalli e dalle botteghe dei fabbri che gravitavano nella zona.

Sulla piazza si affacciano il retro di alcune importanti dimore nobiliari di Via Garibaldi quali palazzo Tobia Pallavicino e il giardino pensile di palazzo Gio. Batta Spinola.

A catturare l’attenzione, oltre all’edicola all’angolo con vico Spada (retro palazzo Pantaleo Spinola) è il singolare il palazzo al civ.3 con il fronte curvo a seguire il dislivello del terreno. Da qui iniziava la salita che conduceva al Castelletto.

In copertina Piazza del Ferro. Foto di Stefano Eloggi.

Vico Stoppieri

L’origine del toponimo di questo caratteristico caruggio nei pressi della contrada di San Bernardo rimanda ad un antico mestiere quello degli stoppieri.

In epoca medievale infatti il vicolo era costellato dalle botteghe di artigiani che confezionavano e distribuivano la stoppa e la canapa, due prodotti indispensabili per le attività navali.

La corporazione degli stoppieri per celebrare il proprio prestigio nel 1734 commissionò per la chiesa di San Marco al Molo un maestoso gruppo marmoreo raffigurante la Madonna e i SS. Nazario e Celso opera di Francesco Maria Schiaffino.

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In copertina Vico Stoppieri. Foto di Stefano Eloggi.

Salita San Bernardino

Da tempo immemore si ha notizia della contrada del Carmine sorta in fondo alla piccola conca naturale di Vallechiara formata dal rio Fossatello che scende dalle Mura delle Chiappe al Righi lungo San Simone e Via Pertinace.

In epoca romana il quartiere era una zona collinare fuori le mura coltivata a vigne e oliveti che si sviluppava sopra il campo militare del Guastato, attuale Piazza dell’Annunziata.

Così fu anche nel medioevo fino a quando nel XIV sec venne incluso nella cinta muraria della città.

Salita San Bernardino con i resti di una costruzione medievale con grandi archi ogivali in laterizio tamponati, l’omonima Abbazia intitolata a Santa Chiara, rappresenta al meglio il fascino di quei caruggi.

Ma la vera meraviglia è costituita dalla caratteristica pavimentazione in mattoni sulla quale si cammina con il naso all’insù incantati ad ammirare l’intreccio degli archi a sesto abbassati a controspingere le facciate dei palazzi.

La Grande Bellezza…

Foto di Bruno Evrinetti.