Nella zona di Pre’ dietro al vico di Santa Fede che prende il nome dall’omonima chiesa si apre inaspettato un piccolo spiazzo intitolato a Metelino.
L’antica chiesa, nella sua conformazione originale, un tempo era orientata proprio verso la piazzetta.
Guardano il cielo infatti si vede ancora spuntare il campanile inglobato nell’edificio che ospita le aule universitarie.
Metelino o Mitilene, l’antica Lesbo, è l’isola maggiore delle Sporadi nella quale i genovesi a seguito del Trattato del Ninfeo del 1261 ebbero vantaggiose concessioni commerciali e giurisdizione consolare.
Fino al XVI sec. le nobili famiglie dei Cattaneo prima e dei Gattilusio poi vi esercitarono il potere – con il benestare degli imperatori bizantini – come signoria personale.
La principale risorsa dell’isola era l’allume di rocca dal cui traffico i genovesi traevano grandi ricchezze.
La Grande Bellezza…
In copertina: Piazzetta Metelino. Foto di Stefano Eloggi.
In piazza San Bernardo di fronte alla storica vineria Moretti si trova l’Oratorio dei Santissimi Pietro e Paolo.
L’edificio religioso venne realizzato proprio davanti alla scomparsa chiesa di San Bernardo nella cui area sono sorte la vineria di cui sopra e la scuola Baliano.
L’oratorio che venne costruito nel 1722 presenta un significativo altare marmoreo e diverse opere di artisti di scuola genovese.
Nel 1918 venne adibito a deposito della carta dal quotidiano “Il Secolo XIX”.
Attualmente facente capo alla parrocchia di San Donato subisce restauri ciclici e non è visitabile.
A fianco dell’oratorio sul fronte del civ. n. 30, casa natale di Goffredo Mameli, sono affisse due lapidi che celebrano la rivolta antiaustriaca del Balilla nel 1746.
La prima recita:
I Figli degli Uomini del 1746 / Sentono / Quali Doveri / Importi / Il pensare ai loro Fratelli / che seppero Morire.
La seconda declama:
I Goliardi Genovesi / nel Giorno Sacro alla Vittoria del Popolo / Gloriando le Nuove Battaglie / per la Cacciata degli Austriaci / in Votivo Pellegrinaggio ad Oregina / dalla Casa Dove Nacque / Goffredi Mameli / Rinnovano / con le Parole del Vate dell’Italia Ridesta / la Serbata Promessa – X. XII. MCMXVI.
La Grande Bellezza…
In copertina Piazza San Bernardo. Foto di Leti Gagge.
“Il Peschiere è tenuto in gran considerazione per la sua salubrità: è situato nel mezzo del più splendido panorama, entro le mura di Genova, nel cuore di tutte le passeggiate della Collina, circondato dai più deliziosi giardini (pieni di fontane, alberi di arancio, e ogni sorta di piacevolezza) che tu possa immaginare […]. All’interno, è tutto dipinto, muri e soffitti, in ogni centimetro, nel più sfarzoso dei modi. Vi sono dieci stanze per piano: solo poche sono più piccole delle più grandi stanze d’abitazione del palazzo di Hampton Court, e una è sicuramente altrettanto larga e lunga del Saloon del Teatro di Drury Lane, con una gran copertura a volta più alta di quella della Galleria Waterloo nel Castello di Windsor, anzi, a pensarci bene, molto più alta”.
“La casa in cui abitiamo non ha nulla da invidiare a un Palazzo delle fiabe”.
“Mi sono guardato attorno e credo d’aver concluso un accordo per una sistemazione alle Peschiere: spero di prendere possesso di quel Palazzo il primo d’ottobre. Ho a disposizione l’intero edificio, tranne il Piano Terra. Non so se abbiate mai visto le stanze. Sono davvero splendide, e ogni millimetro delle pareti è affrescato. I Giardini sono anch’essi bellissimi”.
“Non c’è in Italia, dicono (e io ci credo), un’abitazione più piacevole di Palazzo Peschiere […] Si trova su un’altura all’interno delle mura di Genova ma appartato dalla città: è circondato da bei giardini interni, abbelliti con statue, vasi, fontane, bacini marmorei, terrazze, viali di aranci e di limoni, boschetti di rose e di camelie. Tutti gli appartamenti sono belli per proporzioni e decorazioni; ma il grande vestibolo, alto una cinquantina di piedi, con tre grandi finestre sul fondo, che guardano sull’intera città di Genova, il porto e il mare che la circonda, offre uno dei più deliziosi ed affascinanti panorami del mondo. Sarebbe difficile immaginare una dimora più gradevole e comoda di quella che offrono le grandi stanze, all’interno; e certamente niente di più delizioso potrebbe essere immaginato dello scenario fuori, alla luce del sole o al chiaro di luna. Somiglia più ad un palazzo incantato in una novella orientale che ad una sobria e grave dimora”.
“Quanto ai palazzi, nessuno uguaglia le Peschiere per architetture, collocazione, giardini o stanze”.
“Che si possa vagare di stanza in stanza senza mai stancarsi di osservare le decorazioni fantastiche sui muri e sui soffitti, così vivaci nella loro freschezza di colori come se fossero stati dipinti ieri; o come un piano, o anche il grande ingresso su cui si aprono altre otto stanze, sia una spaziosa passeggiata; o come ci siano corridoi e camere da letto che non usiamo e che raramente visitiamo e delle quali a malapena ritroviamo la strada; o che ci sia una veduta diversa per ognuna delle quattro facciate dell’edificio, poco importa. Ma quel panorama del vestibolo è come una visione per me”.
Ecco alcuni, a dir poco entusiastici, appunti genovesi di Charles Dickens in merito alla sua nuova dimora nel Palazzo delle Peschiere in via san Bartolomeo degli Armeni n. 5 in cui si era trasferito il 23 settembre del 1844.
In precedenza aveva invece abitato per circa due mesi nella Villa Bagnarello di via San Nazaro nel quartiere di Albaro.
La villa di Tobia Pallavicino, munifico commerciante in allume e ambasciatore genovese, fu edificata nel 1560 su progetto iniziale di Galeazzo Alessi con successive aggiunte di Giovanni Battista Castello, detto il Bergamasco. Chiamata delle Peschiere per via delle numerose vasche adibite ai pesci che, insieme a quattro grandi barchili, adornavano il giardino. Oggi di queste fontane ne rimane una sola attribuita allo scultore Gian Giacomo Paracca, noto come, per le sue origini ticinesi, il Vansoldo.
Prima di Dickens nella villa furono ospiti, fra gli altri, Richard Cromwell (1626-1712), uomo politico inglese figlio del celebre rivoluzionario Oliver e Vittorio Amedeo II di Savoia (1666-1732), re di Sicilia e Sardegna, duca di Savoia e Monferrato, conte di Aosta e principe di Piemonte.
All’interno gli stucchi sono di Marcello Sparzo; il piano nobile è affrescato da Ottavio Semino; le sale laterali decorate ancora dal Bergamasco e da Luca Cambiaso.
In Copertina: Villa delle Peschiere di Tobia Pallavicino.
L’inizio della creuza è impreziosito dallo scenografico portale del demolito omonimo convento (nel 1890).
L’edificio venne eretto nel 1430 e, fino al 1797, anno della soppressione degli ordini religiosi, fu gestito dalle monache Romite di Sarzano.
Di tutto ciò rimane la statua marmorea della santa svedese ricoverata all’interno della nicchia posta sopra l’archivolto.
Purtroppo la fama di Salita Santa Brigida è legata, come ricordato da apposita lapide, all’attentato delle Brigate Rosse durante il quale il procuratore Francesco Coco e i due agenti della sua scorta vennero assassinati l’8 giugno 1976.
L’angusto caruggio è noto per aver ospitato in passato una popolare casa di tolleranza frequentata soprattutto da studenti e, dal 1866, i laboratori della storica fabbrica di cioccolato di Viganotti.
Anticamente era noto come vico dei Callegari, ovvero dei calzolai perché qui avevano le loro botteghe.
L’origine del toponimo attuale si deve invece al nome della famiglia Castagna accorpata poi a quella dei De Marini.
Tutta la contrada compresa tra Porta Soprana e Sarzano prende il nome dalla strada a mezza costa e parallela alle Murette che le collega.
Il toponimo Ravecca sarebbe un’evoluzione fonetica di Ruga Vecchia. Con il termine Ruga infatti nel Medioevo si identificava una strada maestra fra due ali di palazzi.
Si tratta di uno dei caruggi più coloriti e vivaci del centro storico. Una volta pullulava di forni, sciamadde e osterie. Oggi i locali che resistono si adattano ai cambiamenti dei tempi proponendo menù salutistici.
La Lanterna sullo sfondo vigila onnipresente mentre Salita Oregina s’inerpica nel cuore dell’omonimo quartiere fino al santuario della Madonna Regina di Genova a cui deve il nome.
Secondo la tradizione infatti, il toponimo della zona deriverebbe dall’invocazione “O Regina!”, riportata su un’immagine dipinta su un muro della Madonna collocata anticamente in cima alla collina, formula abitualmente ripetuta dai viandanti in segno di omaggio alla Vergine.
Col tempo tale locuzione, contratta in una sola parola, avrebbe finito per designare il luogo stesso dove si trovava l’immagine.
Come testimoniato dal vescovo e storico Agostino Giustiniani nei suoi “Annali”, Oregina nel XVI secolo era una borgata di campagna quasi disabitata costituita da poche casupole con modesti appezzamenti e pascoli.
«Usciti che si è dalla porta di S. Michele occorre, primo: la villa di Oregina, col fossato di S. Tomo [San Tommaso] il quale dà fortezza alla città; sono in questa villa insieme col fossato trentotto case, venti di cittadini e diciotto di paesani, quali tutte hanno terreno lavorativo.»
(Agostino Giustiniani, “Annali della Repubblica di Genova”, 1537)
Il bucolico borgo si trovava dunque al di fuori delle mura cittadine dentro alle quali venne inserito solo nel Seicento con l’erezione delle Mura Nuove.
L’accesso alla collina era garantito dalla ripida crêuza, ancora oggi percorribile, di Salita Oregina, che partendo dalla porta di San Tommaso (piazza Principe) seguiva esternamente il recinto delle mura cinquecentesche giungendo al bastione del forte di San Giorgio, che dal 1818 ospita l’osservatorio meteorologico e astronomico della Marina.
Qui sul finire del XVI sec. sarebbe sorta la chiesetta intitolata alla Madonna di Loreto della quale i romiti fondatori erano devoti.
Intorno alla metà del secolo successivo il piccolo tempio venne inglobato in una grande chiesa con relativo convento francescano annesso.
Il santuario assunse particolare importanza quando nel 1746 la Repubblica di Genova decise di celebrarvi la cacciata, iniziata dal Balilla, degli austriaci.
Si stabilì quindi come simbolica ricorrenza il 10 dicembre giorno della vittoria sulle aquile bicipiti asburgiche.
Nel 1847 in occasione del centounesimo anniversario della rivolta si radunarono alcune migliaia (30000 secondo le cronache) di patrioti. L’imponente corteo partito dall’Acquasola che, attraversò il centro e imboccato Via Balbi, raggiunse il santuario.
Qui, sul sagrato della chiesa, venne eseguito per la prima volta dalla Filarmonica Sestrese, al cospetto dei suoi autori Mameli e Novaro, il Canto degli Italiani, quello che sarebbe poi diventato nel 1946 l’ Inno Nazionale italiano.
Nell’ottica dell’ampliamento urbanistico della città di Genova dovuto al forte sviluppo portuale, il quartiere di Oregina fu interessato dalla messa in opera di Via Napoli, la principale arteria del quartiere lato monte. La strada fu tracciata alla fine del XIX secolo e ultimata, nei tratti delle odierne Via Bari e Via Bologna, all’inizio del secolo seguente.
Fino a qualche anno fa lo slargo intitolato a Don Gallo nel cuore del ghetto ebraico genovese era un triste cumulo di decennali macerie post belliche.
Grazie al Comune che ha contribuito alla pavimentazione e alle associazioni di quartiere che lo hanno pulito, con in primis l’abbellimento floreale ad opera di “Princesa”, lo spiazzo il 18 luglio 2014 é diventato piazza in memoria – come recita la targa – di don Andrea Gallo prete di strada.
Particolare e significativo il disegno che, prendendo spunto da un pilastro di una loggia tamponata utilizzato a mo’ di tronco d’albero, rappresenta un bambino che annaffia la pianta.
Proprio come nei versi della celebre canzone di De Andre’, del resto siamo proprio nei pressi di Via del Campo, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
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In copertina: Piazza Don Andrea Gallo. Foto di Leti Gagge.
La creuza della Salita della SS. Incarnazione che deve il suo toponimo dall’omonimo monastero , detto anche delle “turchine” per via del colore dell’abito delle monache. Il complesso eretto nel 1604 in Castelletto sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca dalla genovese Beata Maria V⁰ittoria de Fornari Strata (1562 – 1617) comprendeva due complessi attigui, separati da una strada, detti rispettivamente “Turchine di sopra” e “Turchine di Sotto”.
Dell’antico edificio scomparso restano i toponimi delle due vie di accesso Salita dell’Incarnazione appunto e Salita delle Monache Turchine che ne costeggia l’ultimo muro rimasto.
Le monache turchine si sono traferite dopo la prima guerra mondiale a San Cipriano portando con se i preziosi oggetti, i quadri, le secentesche sculture, gli arredi liturgici e il mobilio di maggior pregio.
La più significativa testimonianza del monastero rimane comunque il raffinato risseu del cortile interno del monastero che, recentemente restaurato dall’artista Gabriele Gelatti, fa bella mostra di se nel cortile di Palazzo Reale dove era stato ricostruito negli anni ’60 dal maestro Armando Porta.
Assai è noto con quanto di magnifica eleganza il Marchese GiancarloDi Negro abbia dato molte solenni feste nella sua Villetta di Genova all’onore or di Eroi Italiani, or di suoi amici illustri. Innumerevoli persone, in tutta Italia e fuori conoscono la rara amenità del luogo, e quel meraviglioso prospetto di città e di mare, che il possessore cortesissimo concede liberamente di godere ogni giorno a tutti: ed è famoso lo spettacolo ch’essa rende illuminata copiosamente in quelle notti festose; al quale concorre plaudente un popolo numeroso nel sottoposto passeggio dell’Acquasola.
Cit. Pietro Giordani (1774-1848) scrittore italiano.
Sono andato a vedere la statua colossale nel giardino del celebre Doria, poi alla Villetta, delizioso giardino del marchese Di Negro: un uomo d’ingegno che, nonostante il suo blasone, fa buona accoglienza a tutti gli uomini di talento. […] Mi ha accolto con ogni cordialità m’ha offerto dell’uva della sua Villetta.
La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchese di Negro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.
Cit. Stendhal (1783-1842) scrittore francese.
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In copertina: da Villetta di Negro. Foto di Maurizio Romeo.