Via della Maddalena un tempo passava tra i campi sotto l’antico Monte Albano (odierno Castelletto) esternamente alla cinta muraria.
Nel Medioevo tutta la zona limitrofa era nota come contrada Sartoria perché sede dei laboratori dei sarti.
Le sedie poste fuori dalla bottega ci ricordano inoltre che durante il ‘700 qui operavano gli apprezzati mobilieri (bancalari, intagliatori, laccatori) maestri del Barocchetto genovese, i primi a riprodurre lo stile francese dei vari Luigi in voga a quei tempi.
Talmente rinomati che i reali di Parigi gli commissionavano la laccatura dei loro preziosi arredi.
La Grande Bellezza…
In Copertina: Vico della chiesa della Maddalena. Foto di Leti Gagge.
Sulle pareti all’interno del chiostro di San Matteo, insieme alle numerose lapidi che attestano il prestigio acquisito nei secoli dal casato dei D’Oria, è affissa la copia del bassorilievo del 1290 che raffigura Porto Pisano. Si tratta di una preziosa testimonianza di quel 23 agosto giorno in cui, Corrado D’Oria al comando della sua flotta, violò la roccaforte toscana interrandone definitivamente il porto.
Al centro spiccano le due torri Magnale e Formice collegate fra loro dalle famose gigantesche catene che proteggevano lo scalo della città della Volpe. Catene che furono, fino al 1860, appese sulle principali porte e chiese della Superba prima di essere, in segno di rinnovata concordia, restituite e conservate presso il Camposanto monumentale in riva all’Arno.
Le maglie erano appese in:
Chiesa di San Torpete
Palazzo San Giorgio
Chiesa di Santa Maria di Castello
Chiesa del Santissimo Salvatore
Porta Soprana
Bassorilievo in Borgo Lanaiuoli
Porta degli Archi
Chiesa di Santa Maria Maddalena
Salita di Sant’Andrea
Chiesa di Sant’Ambrogio
Chiesa di San Matteo
Chiesa di Santa Maria delle Vigne
Chiesa di San Donato
Porta dei Vacca
Chiesa di San Sisto
Commenda di San Giovanni di Pré
Murta
«Che a travaggiava con garie armè /
e ligava nemixi e noi servava, /
e chenne grosse da per lé schiancava, /
chi ancora son per Zena spanteghè
(Da Zena moere de regni e de cittè, Paolo Foglietta (1520 – 1596))
Traduzione:
«La grandezza di Genova è universalmente conosciuta] perché lavorava con galee armate, /
e legava nemici e ci salvava /
e grandi catene da sola spezzava, /
che ancora oggi sono sparse per Genova.»
Tuttavia ne restano ancora traccia in due località della Liguria: due anelli sono conservati infatti a Murta appartenuti ai fratelli Marcenaro due marinai della zona che avevano partecipato all’impresa. In realtà si tratta di copie settecentesche realizzate a posteriori poiché gli originali furono trafugati nel 1747 dagli austriaci del generale Schulenberg che, durante il vano assedio della Superba, erano accampati nel borgo della Val Polcevera.
Le copie murtesi oggi vengono esposte durante la festa della Zucca mentre le originali dell’epoca erano appese sulla chiesa di San Martino.
Altre maglie sono infine esposte all’esterno della chiesa di Santa Croce di Moneglia donate dai genovesi al capitano Stanco che, al comando della fedele alleata, aveva partecipato all’impresa.
L’epigrafe latina:
In nomine D(omi)ni am(en)
MCCLXXXX
oc cadena tuleru(n)t
de portu Pisanoru(m)
oc opus fecit fieri d(omi)no
Tra(n)cheus Sta(n)co de Monelia
Traduzione della lapide:
Nel nome del Signore così sia
Anno 1290
Questa catena fu portata via
dal porto di Pisa
la lapide fu posta dal signor
TRANCHEO STANCO DI MONEGLIA
battaglia della Meloria 1284
L’originale del bassorilievo di Porto Pisano era invece affisso un tempo in Vico Dritto di Ponticello sulla casa di Carlo Noceti (detto anche Noceto Chiarli), il celebre fabbro genovese che con la sua perizia aveva tranciato le enormi catene del porto nemico. Maistro Chiarlo – così era chiamato – aveva ingegnosamente acceso dei fuochi sotto di esse rendendole incandescenti e quindi più facilmente spezzabili.
Pochi però sanno che le catene del 1290 non furono né le uniche né le prime tradotte a Genova: già nel 1287 infatti, durante una spedizione organizzata dall’invincibile ammiraglio Benedetto Zaccaria, uno dei due eroi della Meloria, (l’altro Oberto D’Oria) i genovesi si erano già impossessati delle catene del porto.
Benedetto, a bordo della sola “Divizia”, la sua galea prediletta, aveva violato il baluardo militare facendosi largo fra le torri di difesa mentre un suo sottoposto, il capitano Nicolino di Petracco al timone di altre 5, era entrato nel bacino mercantile spezzandone per urto (delle galee) le maglie. Catene che furono anch’esse, fino al 1860, appese sulla Cattedrale di San Lorenzo. Durante l’eroico assalto Benedetto rimase gravemente ferito ma in seguito alla sua coraggiosa impresa, impauriti, i pisani siglarono la pace. I patti furono talmente duri per i toscani che questi, non rispettandoli, videro nel 1290 il loro approdo definitivamente distrutto ed interrato ad opera di Corrado D’Oria.
La tavella genovese rimanda ad altre due rappresentazioni simili murate nella cattedrale di Pisa. La prima esposta lungo il muro meridionale del coro della chiesa, la seconda al pian terreno del campanile della stessa. Probabile quindi che l’opera sia stata commissionata dai vincitori ad una delle numerose maestranze pisane fatte prigioniere in quegli anni a partire dalla celeberrima battaglia della Meloria avvenuta nel 1284.
A seguito della distruzione del quartiere avvenuta nel 1935 il prezioso manufatto è stato ricoverato presso il Museo di S. Agostino dove tuttora è accuratamente custodito.
Dietro l’altare della cappella del Doge di Palazzo Ducale si trova, protetta da una teca e illuminata ad arte da luce naturale, la splendida settecentesca statua della Vergine Regina di Genova scolpita da Francesco Maria Schiaffino.
In Vico San Pietro della Porta all’angolo con Via dei Conservatori del Mare si trova l’edicola del XVIII sec. intitolata alla Madonna della Guardia.
All’interno del tabernacolo barocco con stucco campeggia la statua della Vergine in piedi che poggia su un tappeto di nuvole e teste di cherubini.
In braccio regge il Bambinello. Entrambe le figure sono coronate a sottolineare il ruolo di Regina della città.
Immancabile sull’ampio piedistallo dotato di ringhiera il devoto Benedetto Pareto inginocchiato in adorazione.
I profili della cornice sono riccamente decorati con riccioli, fogliami e due angioletti alati.
A reggere la parte superiore della cornice due teste di angeli alati che spuntano fra le nuvole contornati dalla tradizionale raggiera.
Recita il cartiglio: “Fundamenta /Ejus in Montib. Sanctis Psal. 86 / Redif. 1754 / R. 1805.
In basso sul muro di sostegno una cassetta in ferro con serratura a borchie utilizzata, come testimomiato da relativa epigrafe, per le elemosine: ” Ellemosina / per Nostra Sig / della Guardia/ 1729.
Da salita S. Leonardo si dipana via dei Sansone, una “creuza” nella quale il tempo sembra essersi fermato.
La stradina, per secoli viale d’accesso al convento di San Leonardo, prende il nome da una antica famiglia di origine savonese che qui aveva eretto le sue dimore.
Peccato solo non ci siano più gli schiamazzi dei ragazzi che hanno segnato la mia gioventù in una Carignano incantata!
“A Genova. Poco fa, come tornavo da S. Maria di Carignano, ho sentito la tristezza opprimente dell’Italia, tristezza incomprensibile poiché l’italiano è allegro. Perché queste stradette chiassose mi provocano una malinconia così singolare? (Julien Green)”.
Si tratta del monumento funebre del XIII sec. di Antonio Grimaldi, strenuo difensore di Famagosta, fino al 1895 custodito nella Commenda di San Giovanni di Prè.
Opera di pregevole fattura concepita a baldacchino con prospetto decorato con la rappresentazione dei quattro evangelisti, detta anche “tetramorfo” (rappresentazione iconografica composta da quattro elementi di origine mediorientale): da sinistra a destra Luca (il bue alato), Giovanni (l’aquila), Matteo (l’angelo), Marco (il leone alato) e, al centro, il Padre Eterno.
Antonio Grimaldi nel 1402 venne inviato dal Maresciallo Boucicault reggente della Superba al comando di tre galee in soccorso di Famagosta assediata dal re di Cipro Giano di Lusignano. Dopo averla liberata ed essersi stabilito alcuni mesi a Nicosia, il valente comandante rientrò a Genova da eroe.
Poco tempo dopo, approfittando dell’assenza del genovese, il re di Cipro ripeté l’assalto costringendolo a ritornare sull’isola per difenderla nuovamente. Antonio dopo aver conquistato alcuni legni catalani e veneziani, alleati del re cipriota, nello scontro morì da eroe.
“La mia città dagli amori in salita, Genova mia di mare tutta scale e, su dal porto, risucchi di vita viva fino a raggiungere il crinale di lamiera dei tetti”.
(Giorgio Caproni)
In questa creuza di Carignano che collega Via Fieschi con il complesso monumentale di S. Ignazio (sede oggi dell’archivio di Stato) nel ‘600 aveva dimora la bottega di Domenico Piola.
Chissà quante volte il celebre maestro del Barocco genovese la avrà percorsa affannato e ispirato.
Nel ‘900 ospitò anche la principale sede cittadina del Partito Comunista Italiano.
Via David Chiossone deve il suo nome al medico e scrittore genovese fondatore del celebre istituto per ciechi.
Al n. 14 sul portale del cinquecentesco Palazzo Stefano D’Oria si trova la particolare, per via della sua forma a medaglione, edicola della Madonna con Bambino e San Giovannino del sec XVII – XVIII.
Al civ. n. 6 si trova il Palazzo Brancaleone Grillo conosciuto anche, dal nome dei successivi proprietari, come Serra. Dentro al cortile di accesso al loggiato si trova una meravigliosa rappresentazione quattrocentesca di Madonna con il Bambino, calco di una delle più affascinanti edicole del centro storico. Realizzata in forma allungata e in un raffinato stile gotico francese presenta nella nicchia il rilievo della Vergine con il Bambinello in braccio.
L’immagine nel suo insieme, e il gioco di sguardi in particolare, trasmettono un intimo senso di complicità. Sotto la mensola, su una pigna con motivi floreali, campeggia lo stemma del casato. Data l’importanza dell’opera, per preservarla dalle intemperie e dai vandalismi, l’originale è conservata presso il Museo di S. Agostino.
Nel lato destro del cortile di Palazzo Rosso è posta una Madonna di Città assisa in trono con il Bambinello in braccio. Il tabernacolo che contiene la statua è decorato con riccioli, frutti, ghirlande, stelline e quadrifogli.
Un cherubino alato in rilievo fra i panneggi sorregge l’edicola che sulla cornice della base reca l’epigrafe: “Virg Virginvm Mater Dei Ora Pro Nobis”.