Legame genovese

“Non dimenticherò mai, finché vivrò, le mie prime impressioni mentre avanzavo per le vie di Genova, dopo aver contemplato la splendida Vista della città, per un’ora intera, con un telescopio, dal ponte del vapore. Pensavo che fra tutte le più ammuffite, desolate, sonnolente, luride, abbandonate, immobili città del mondo intero, dimenticate da Dio, nessuna la potesse eguagliare. Mi pareva di essere giunto dove tutto finisce, dove non vi è più progresso, movimento, sviluppo, o possibilità di migliorare oltre. Tutto sembrava essersi fermato da secoli, per non riscuotersi mai più, restando immobile sotto il sole in attesa del giorno del Giudizio.
Adesso, invece, mi attira molto andarvi a camminare o girovagare, quando mi ci reco, in una specie di stato sognante, che è anche estremamente distensivo. Mi sembra di pensare, ma non so a che cosa, non ne ho la minima coscienza. Posso sedermi in una chiesa, o fermarmi alla fine di uno stretto Vico, zigzagando come una lurida biscia verso la parte alta, senza sentire il minimo desiderio per alcun altro tipo di divertimento. Non diversamente mi stendo sugli scogli la sera, fissando l’acqua azzurra senza ritegno, o giro per gli stretti vicoli e guardo le lucertole inseguirsi per i muri (così leggere e rapide che mi sembrano sempre ombre di qualcos’altro che passi sulle pietre) e sparire nei loro buchi così all’improvviso da lasciare pezzetti di coda di fuori, senza che se ne rendano conto…

… Non immaginavo, quel giorno, che sarei mai arrivato ad avere un legame persino con le pietre della strada di Genova e che avrei ripensato alla città con affetto, perché connessa con tante ore di felicità e di quiete!”.

Cit. Charles Dickens (1812 – 1870) scrittore britannico.

Foto di Leti Gagge.

Si sogna di essere a Genova

“Non lontano da Genova, sulla cima dell’Appennino, si vede già il mare. Fra i verdi cocuzzoli delle montagne compaiono i flutti azzurri, e le navi che si scorgono qua e là sembrano voler salire sui monti a vele spiegate. Se però si gode questa vista al crepuscolo, quando gli ultimi raggi di sole iniziano il loro mirabile gioco con le prime ombre della sera e tutti i colori e tutte le forme si intrecciano nebulosamente, allora par d’essere veramente in una fiaba, la carrozza scende stridendo, le immagini più dolci e sonnecchianti nell’anima vengono bruscamente scosse e tornano ad appisolarsi, e infine si sogna d’essere a Genova”.

Cit Heinrich Heine (1797 – 1856) poeta tedesco.

Foto sulle alture di Quezzi. Foto di Andrea Delponte.

Madonna di Porta Aurea

La Madonna di Porta Aurea, oggi custodita presso il museo di Sant’Agostino, fu realizzata dal celebre scultore Giovanni Antonio Ponsonelli, (Carrara 1654 – Genova 1735).

“La Madonna della Misericordia nella sua originaria collocazione”.

Tale Madonna della Misericordia, vegliava sulla medievale Porta Aurea (XII secolo), detta anche “Porta di Piccapietra“, sita nell’omonima zona del quartiere di Pammatone, demolito nel 1959 nell’ambito della nuova scellerata urbanizzazione.

La Grande Bellezza…

Veduta al tempo di Napoleone

Il golfo è come sempre solcato dalle navi, i monti attorno sono brulli e disabitati, la Lanterna è al suo posto ma nel 1810 Genova faceva parte a tutti gli effetti dell’Impero napoleonico che durò fino al 1814.

In quell’anno Napoleone soppresse tutti gli ordini monastici e le congregazioni religiose nel dipartimento di Genova, degli Appennini, di Montenotte e delle Alpi Marittime.

L’architetto Andrea Tagliafico fu incaricato di progettare la costruzione, nel luogo dove sorgeva un tempo il convento di San Domenico (odierna piazza De Ferrari) di un nuovo teatro cittadino e riedificò il lazzaretto della Foce.

Nel frattempo in piazza dell’Acquaverde, in ossequio al nuovo regime, venne innalzata un’imponente statua dell’imperatore corso.

Sul promontorio di San Benigno Bonaparte aveva appena fatto erigere un palo del rudimentale telegrafo, strumento che utilizzava per essere informato in anticipo rispetto ai suoi nemici.

Leggenda narra che Napoleone appena giunto a Genova avesse chiesto ai genovesi se i francesi rubassero?

Arguta e spiritosa fu la risposta: “Non tutti i francesi sono ladri, ma Bonaparte sì”.

Ambroise Louis Garneray vista di parte Genova, 1810.

Portolano

Rarissima e minuziosa immagine di Genova nel 1489.

Dettaglio tratto dal Portolano di Albino de Canepa, cittadino genovese attivo alla fine del XV sec.

Da ‘n pòrto à l’atro o dexidëio o l’inscia
veie stramesuæ, bon vento a-o viægio,
e mi do mondo perso, onde m’inäio
con ciù me perdo, con ciù me gh’attreuvo.

De quello che son fæto m’invexendo:
de tutto quello che vorriæ conosce.
Fæta ‘na Zena, ‘nn’atra a l’é ch’a speta
d’ëse fondâ inti seunni e ‘nte memöie.

Lascia che a lontanansa a ne s’ingheugge
indòsso, comme craccia de sarmaxo,
no gh’é destin, no ghe saià retorno,
solo a mäveggia de chi se descreuve.

Da un porto all’altro il desiderio gonfia / vele smisurate, buon vento per il viaggio, // ed io, perso nel mondo, me ne incanto, / più mi ci perdo e più mi ci ritrovo. // Mi esalto per ciò di cui sono fatto, / che è tutto ciò che vorrei conoscere. / Fatta una Genova, un’altra aspetta / di essere fondata nei sogni e nelle memorie. // Lascia che la lontananza ci si attacchi / addosso, come crosta salmastra, / non c’è meta, non ci sarà ritorno, / solo la meraviglia di scoprirsi.

Il viaggio diviene, nei versi del Prof. Fiorenzo Toso liberamente ispirati dall’anonimato genovese, condizione esistenziale e significa conoscenza.

Quell’essere “per lo mondo sì desteixi” è occasione, come argutamente osservato dallo stesso esimio linguista, “di esperienze feconde e manifestazione di creatività, attraverso il mito fondativo di infinite città, non importa se reali, immaginate o ricordate”.

Via San Bernardo

Le prime notizie sul caruggio risalgono al 1345 quando la strada era chiamata dei “Salvaghi”.

Via San Bernardo assunse l’attuale intitolazione nel ‘600 per via del convento e chiesa, oggi scomparsi, che sorgevano all’angolo con Vico Vegetti al posto dell’edificio occupato dalle scuole.

La chiesa fu costruita sui resti di una precedente dimora nobiliare dei De Marini e nel 1627 divenne anche convento dei monaci Cistersensi Fogliensi.

Nel 1797 gli edifici religiosi vennero sconsacrati e dismessi per poi essere definitivamente demoliti nel 1849, al tempo della repressione piemontese dei bersaglieri del La Marmora.

Malinconico testimone di un tempo che fu è rimasto il campanile inglobato nelle case circostanti.

Di notte illuminato da un lampione il caruggio riposa mentre la pioggia che accarezza il selciato ammanta i colori ocra di una magica patina.

Le gocce di pioggia saltellano sul selciato per non bagnarsi“.


Cit. Roberto Gervaso storico e giornalista.

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Foto di Andrea Robbiano

In Vico Vegetti

Vico Vegetti si snoda in salita con il suo sinuoso percorso.

Pietra e mattonata rossa sono le tipiche caratteristiche della creuza genovese.

All’altezza del civ. n. 8 si nota un’arrugginita insegna, testimonianza di antichi artigiani, della Mutua Assistenza Lavoranti in legno.

Poco più sopra s’intravvede quel che resta della secentesca Madonna della Misericordia, un’edicola – purtroppo – priva della statua marmorea della Vergine, con il tabernacolo a tempietto in pietra nera.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Campopisano

Prima del 1284, l’anno della Meloria, quando i prigionieri pisani vennero tradotti in città, l’area era identificata come Campus Sarzanni e fino a gran parte del ‘400, fu adibita a cimitero per poveri e pellegrini.

Fu solo a fine secolo che si iniziarono a costruire, slanciate e accatastate le une alle altre, le prime case.

Vista la loro inusuale altezza, osservate dal mare, dovevano proprio ricordare gli odierni grattacieli di una metropoli scolpita nella pietra e aggrappata alla scogliera.

“Andiamo al Campo Pisano: ivi i tredicimila prigionieri fatti alla Meloria cainesca e le larve disperatissime dei tremila uccisi fecero ringhiare il proverbio tremendo: – Chi vuol veder Pisa vada a Genova“.

Cit. Ambrogio Bazzero scrittore (1851 – 1882).

In realtà i prigionieri fatti alla Meloria furono circa 9000, probabilmente lo scrittore aveva conteggiato un numero più alto includendo i catturati delle numerose altre battaglie avvenute in quegli anni con l’odiata rivale.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Le giraffe del porto

Le gru del porto, gigantesche giraffe d’acciaio, si stagliano all’orizzonte come sentinelle del porto.

“Le gru, acciò che ‘l loro re non perisca per cattiva guardia, la notte li stanno dintorno con pietre in piè.
Amor, timor e reverenza: questo scrivi in tre sassi di gru”.

Cit. Leonardo Da Vinci genio (1452 – 1519).

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Foto di Leti Gagge.

L’elegante Lanterna

“Preferisco Genova a tutte le città in cui ho abitato. È che mi ci sento sperduto e a casa mia – fanciullo e straniero. Essa ha una distesa di cupole, monti calvi, mare, fumi, neri fogliami, tetti rosa, e quella Lanterna, così alta ed elegante”.

Cit. Paul Valery scrittore francese (1871 – 1945).

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