Nel medioevo qui avevano sede i magistrati che si occupavano di dirimere le controversie marittime, dai noleggi ai naufragi, dagli atti di pirateria, ai contratti di navigazione.
Sul muro del palazzo a mare, di fronte al civ. n.5, è infatti incastonata un’antica quanto sbrecciata lapide la cui epigrafe recita:
“Avisi per L.Ill.mo MAGISTRATO DEI CONSERVATORI DEL MARE”.
Sotto era presente una nicchia contenente una cassetta in cui imbucare messaggi, lamentele e denunce in un sistema molto simile a quello dei biglietti di Calice di Palazzo Ducale.
Piazza e Vico San Marcellino con l’omonima chiesetta del XIII sec. e il brevissimo tratto di porticato sopraelevato in Sottoripa costituiscono una preziosa quanto rara testimonianza della ripa maris che fu.
La chiesetta era il tempio gentilizio delle potenti famiglie dei Cybo e Piccamiglio.
Il porticato di pochi metri che unisce vico San Marcellino con vico del Campo è l’ultima traccia ancora oggi visibile di quella che un tempo era chiamata Sottoripa la Scura.
La contrada era così detta per via della sua sopraelevazione e per i porticati più bassi, bui e arretrati rispetto alla ripa.
Nella foto si intravedono i resti della loggia del XVI sec. (che fa parte del civ. n. 6 di Ponte Calvi) con finestre a doppia arcata e superbe colonne doriche.
L’origine del toponimo Serriglio si presta a diverse interpretazioni: secondo alcuni deriverebbe dalla traduzione del cognome della famiglia Lerici che in dialetto arcaico si diceva Serriggi; per altri il caruggio originario deriverebbe invece dalla sede di un piccolo recinto di animali da cortile (serriculum) o da uno sbarramento che serrava l’accesso.
Resta traccia di una costruzione in pietra del XII sec. con porta ogivale e una fascia di archetti frammentata dalle successive aperture di finestre il tutto sormontato da un arco con pilastri in laterizio.
Percorrendo il caruggio sul lato del ristorante si notano quattro pilastri in marmo e, sopra il civ. n. 19r, quel che rimane di una piccola edicola barocca in stucco, priva della statuetta e decorata con fastigio a motivi floreali e una conchiglia a sostegno della mensa.
In questo vicolo che fu dimora dell’abate Paolo Gerolamo Franzoni ebbe sede nel 1757 una delle tre biblioteche pubbliche cittadine, quella – appunto – franzoniana.
La collina di Castello con il sottostante Campo di Giano (Sarzano) sovrasta l’insenutara del Mandraccio e accoglie l’antico oppidum cittadino (V Sec. a. C.) posto a difesa dell’approdo di Genua, poi città murata e sede della “Compagna communis” nel 1099.
Per conformazione e collocazione la zona di Castello appartenne prima ad una grande consorteria, quella degli Embriaci De Castro, poi al vescovo e, infine, a diverse comunità religiose (in particolare i domenicani di S. Maria di Castello) che qui costruirono vasti complessi conventuali sia femminili che maschili.
Il sole al tramonto illumina con la sua luce dorata la grande bellezza della Torre De Castri e dei campanili di San Silvestro, di Santa Maria di Castello e di Santa Maria in Passione.
“Anche la luce sembra morire Nell’ombra incerta di un divenire Dove anche l’alba diventa sera E i volti sembrano teschi di cera”.
In Sottoripa accanto al Gran Ristoro, il celebre negozio di panini, si snoda vico dei Cartai, la cui targa è purtroppo imbrattata dai soliti incivili.
Il toponimo trae origine dalla presenza in loco in epoca medievale di numerose botteghe di cartai.
Costoro avevano le loro fabbriche, vedi quelle dell’Acquasanta a Mele, nel ponente del genovesato ed erano talmente rinomati da fornire di fogli, per la redazione dei propri atto ufficiali, il Parlamento inglese.
Salita della Rondinella appartiene a quel gruppo di creuze nella conca di Vallechiara che costituivano la zona di Pastorezza (o Pastorizia) dedicata appunto all’allevamento degli ovini.
La contrada era protetta da una porta turrita minore detta di Pastorezza sita e visibile (in parte) ancor oggi in Salita dell’Acquidotto in corrispondenza dell’odierno Largo della Zecca.
Da qui il toponimo della Rondinella legato al camminamento di ronda sulle mura che seguiva il tracciato dell’acquedotto nel XVI e XVII sec.
Nel corso dei secoli subì successivi troncamenti, ultimo dei quali quello dovuto alla costruzione della Strada Nuovissima (Via Cairoli).
Lo storico Giulio Miscosi nella sua raccolta “I Quartieri di Genova Antica” del 1936 formula una suggestiva ipotesi secondo la quale il toponimo Rondinella deriverebbe dai Rodanim, i mercanti di sale del Rodano che da Genova lo portavano a Ginevra.
Di conseguenza il teagitto della Rondinella sarebbe un tratto della Via del Sale!
In Copertina: Salita della Rondinella. Foto di Leti Gagge.
L’origine del toponimo è la stessa del caruggio di Canneto il Lungo con il quale si interseca, ovvero relativa alla presenza dei cannicci che costeggiavano il fossato che degradava dal colle del Brolio fino al mare.
“Il viaggio per mare è stato un avvenimento. Come andava gradatamente sparendo lontano, la grande Genova notturna, disseminata di luci, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro! […] Come un sogno Genova si sprofonda nel mare. Sono morto per questo mondo, dileguato con l’ultima luce? Oh, fosse così! Sarebbe possibile?”.
“Genova è molto bella con le sue case dipinte, i suoi giardini verdi a spalliera e gli Appennini dietro. Ma quanto rumore! Che moltitudine! Su tre uomini che passano per le strade, ci sono un monaco e un soldato”.
Cit. Alfred de Musset (1810 – 1857) poeta e scrittore francese.