Salita Santa Caterina

Fino a quando nel 1155 vennero erette le mura del Barbarossa la strada era naturale proseguimento dell’odierna Via Luccoli, nota come Via Luculi.

Da Soziglia infatti il percorso si dipanava, superato il boschetto “luculus” al tempio, odierna Acquasola, di Acca.

Inglobata dunque nella cerchia la località mutò il nome, in ossequio alla nuova porta Multedi aperta fra Largo Lanfranco e piazza Corvetto, in Contrada o – appunto – Porta Multedi.

Fino al 1227 la strada era anche nota, per via della presenza in loco della misteriosa confraternita di San Germano, come Salita San Germano di Lòcore.

Tutta la zona successivamente cambiò ancora intitolazione poiché da salita Dinegro al civ. n. 10 era a quel tempo occupata dalla distrutta chiesa (demolita nel 1815) di Santa Caterina di Alessandria con annesso chiostro addossato al muraglione di contenimento dei giardini della sovrastante villetta.

La salita era attarversata, come testimoniato da numerose rappresentazioni nei secoli, da uno scenografico ponte sifone dell’acquedotto costruito nel 1462 e distrutto in occasione dell’ottocentesca costruzione di Via Roma.

La strada è sede di prestigiose cinquecentesche dimore nobiliari ricche di importanti opere d’arte quali. fra le altre; al civ. n. 2 Palazzo Spinola Pignone; al civ. n. 4 Palazzo Gio Batta Spinola poi Agostino Airolo; al civ. n. 3 Palazzo Tommaso Spinola.

Nella Salita si trova anche la Sala Camillo Sivori, intitolata al celebre violinista ultimo allievo di Paganini, che nel 1869 vi tenne il concerto inaugurale.

Nel 1892 vi si svolse anche il Congresso del Partito dei Lavoratori che segnò la scissione fra anarchici e socialisti. Questi ultimi riunendosi presso il locale”Il Garofano Rosso” in Salita Pollaiuoli fondarono il partito socialista italiano.

in copertina: Salita Santa Caterina.

Apollo che saetta i Greci

Il Salone della Vendetta di Palazzo Antonio Doria, sede oggi della Prefettura di Genova, è decorato alle pareti con “Storie della guerra di Troia” e sul soffitto “Apollo che saetta i Greci alle porte di Troia”.

Si tratta, quest’ultima della prima commessa di una certa importanza, in autonomia dal padre Giovanni, realizzata dal giovane Luca Cambiaso. L’allora diciassettenne artista monegliese, che in età matura verrà chiamato dai reali di Spagna per decorare nientemeno che l’’Escorial madrileno, sprigiona qui tutto il suo emergente talento, sebbene ancora influenzato dal fascino manieristico di Giulio Romano e Perin del Vaga.

Artisti dei quali Cambiaso aveva avuto occasione di ammirare le opere dal vivo in città (“Decollazione di S. Stefano” del primo e “Sala degli Eroi” del secondo).

In copertina: Apollo che saetta i Greci alle porte di Troia.

L’Immacolata del Puget

Nell’oratorio della chiesa di San Filippo Neri in Via Lomellini 10 l’attenzione è catturata dallo scenografico altare barocco che ospita la statua dell’Immacolata.

Un trionfo di stucchi, cornici dorate, balaustre e colonne di marmo funge da meravigliosa quinta al capolavoro realizzato nel 1670 da Pierre Puget.

A confermare la paternità della prodigiosa scultura dell’artista marsigliese è l’autore stesso che incide la sua firma sul gradino del tempietto retto da un angelo.

La maestosa sovrastante pala che rappresenta San Filippo Neri in estasi è invece opera di datazione incerta del pittore fiammingo Simone Dubois.

La Grande Bellezza…

In copertina: l’Immacolata del Puget. Foto di Stefano Eloggi.

Lo scalone di Hitchcock

La straordinaria carriera di Alfred Hitchcock come regista ebbe inizio proprio a Genova in una primaverile mattina del 1925. La scena della pellicola d’esordio “The Pleasure Garden” infatti (Il Giardino del Piacere) si apriva con la partenza di una nave ripresa dalle banchine del porto della Superba.

A raccontarlo è il famoso cineasta stesso nel libro intervista “Il cinema secondo Hitchcock” realizzato nel 1962 ed edito nel 1966 dal giovane collega francese François Truffaut.

Il futuro maestro del brivido prese alloggio in quel periodo presso l’Hotel Bristol di Via XX Settembre, albergo in cui ritornò poi più volte nel corso degli anni a venire, raccontandone aneddoti, disavventure e peripezie.

Al suo interno l’edificio è caratterizzato da un lussuoso arredo in puro stile liberty e da un particolarissimo scalone ellittico in marmo bianco capace di fornire all’osservatore vertiginose prospettive che non lasciarono evidentemente indifferente nemmeno il geniale regista anglo americano.

Si narra infatti che fu proprio questa ipnotica spirale, realizzata nel 1905 dall’architetto Dario Carbone, ad aver ispirato Alfred – che si trovava al Bristol per girare alcune scene di “Caccia al Ladro – la stesura della scenneggiatura del film “Vertigo” conosciuto in Italia con il titolo di “La Donna che visse due volte”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Lo Scalone del Bristol. Foto di Stegfano Eloggi.

La volta dell’Annunziata.

I soffitti della Basilica dell’Annunziata nella loro abbagliante opulenza lasciano lo stupefatto visitatore a testa in su.

Tutto gira intorno come se si fosse colti da un’inebriante vertigine di grande bellezza.

L’incredibile tripudio di stucchi, ori, colori e dipinti è frutto della maestria di almeno quattro grandi interpreti del Barocco genovese: Giovanni e Giovanni Battista Carlone, Gioacchino Assereto e Andrea Ansaldo.

Giovanni Carlone iniziò la decorazione a fresco nella seconda metà degli anni venti del seicento cominciando a dipingere gli episodi previsti per il transetto: PentecosteIncredulità di san TommasoTrasfigurazione e Discepoli di Emmaus. Continuò quindi con le prime tre campate della navata centrale, in cui dipinse L’adorazione dei MagiL’entrata in Gerusalemme e La preghiera nell’orto degli ulivi. Probabilmente realizzò anche alcuni degli affreschi delle navate laterali.

Causa l’improvvisa morte di Giovanni, il proseguimento dell’opera fu affidato al fratello Giovanni Battista. Costui dipinse le campate rimanenti della navata centrale (La ResurrezioneGesù risorto saluta Maria prima di salire al cielo e Maria incoronata) e le campate delle navate laterali che ancora dovevano essere finite. Nel frattempo, in un periodo che non è stato ancora possibile inquadrare, lavorò ad alcuni affreschi anche Gioacchino Assereto, che dipinse le prime volte delle navate laterali (Eleazaro e Rebecca al pozzo e Pietro e Giovanni risanano lo storpio davanti alla porta Bella di Per decorare gli spazi più significativi dell’edificio, i Lomellini ingaggiarono anche Andrea Ansaldo, cui chiesero di mettere mano innanzi tutto alla cupola. L’artista vi lavorò ininterrottamente per tre anni, fino alla morte avvenuta nel 1638. La complessa macchina prospettica si articola con gli affreschi e le figure in oro a tutto tondo che ricoprono, con ritmo ascendente, l’intera superficie dei pennacchi, del tamburo, della cupola e della lanterna sommitale. Il tema centrale corrisponde alla dedicazione del tempio, l’Ascensione della Vergine.

La tensione verticale del complesso prende avvio con le quattro grandi figure ad affresco dei pennacchi, i Quattro evangelisti, fra i quali spiccano il giovane Giovanni con la penna sollevata e la figura avvitata dell’anziano e barbuto Marco, che esibisce una possente muscolatura. Quattro coppie di giovani nudi reggono in cima agli arconi lo stemma mariano in campo azzurro. Nel cerchi del tamburo, le quattro finestre sono incorniciate da cariatidi dorate che sembrano sorreggere la cupola, e coppie di puttini in oro a tutto tondo. Ad essi si alternano architetture dipinte con colonne tortili e balaustre dalle quali sporgono i discepoli dipinti a trompe-l’œil. Nella cupola le architetture dipinte proseguono quelle reali della chiesa formando un suggestivo tutt’uno, e da un arcone si scorge l’Assunta contornata da vari personaggi biblici. Il vortice ascensionale si conclude nel cupolino dove è raffigurato Dio Padre.

La Grande Bellezza…

In copertina: la volta dell’Annunziata. Foto di Leti Gagge.

Salita degli Angeli

Salita degli Angeli con la sua caratteristica mattonata è l’antichissima creuza che collegava la collina di San Benigno con il percorso delle secentesche mura della porta degli Angeli che sorgeva in prossimità dell’omonimo convento con annesso ospitale.

Arrivati in cima alla ripida mulattiera si gode di un panorama mozzafiato che spazia dal Porto Antico a Capo Mele.

Non è certo un luogo turistico di passaggio eppure i colori rosso mattone, rosa pastello e giallo ocra delle case sono gli stessi dei borghi marittimi più celebrati e famosi della Superba e ci raccontano una storia “carica di sale, gonfia di odori”.

Questo proprio perché un tempo anche questi lidi, oggi relativamente distanti dal mare, erano lambiti dalle onde.

Fino all’Ottocento infatti quando cominciarono i riempimenti per l’ampliamento delle strutture portuali, la piazza da cui dipana la salita – come del resto l’intero borgo – aveva il mare a pochi metri di distanza.

Si respirava quindi odore di salmastro ma anche olezzo di cadaveri in attesa di sepoltura.

Tanto è vero che qui in quella che oggi è Piazza Di Negro, sul ciglio del fossato di S. Teodoro, fin dal ‘200 erano collocate le forche e vi si eguivano le impiccagioni.

Il nome della piazza rimanda invece all’omonima famiglia patrizia che qui fece edificare nel XVI secolo la dimora di villeggiatura ancora oggi esistente: villa Di Negro, poi Durazzo, poi Rosazza.

Fra i Di Negro si annoverano numerosi capitani, alcuni ammiragli, parecchi senatori della Repubblica, un doge e un cardinale. Non vanno tuttavia dimenticati l’erudito astrologo e poeta Andalò che fu nel ‘300 maestro di Boccaccio e il letterato marchese Gian Carlo che fece della sua dimora nel ‘700 un apprezzato luogo d’incontro delle migliori menti europee.

La villa era impreziosita da un ampio giardino, scomparso con l’ottocentesca costruzione delle strade che degradava fino alla riva e da uno scenografico parco, ancora esistente, adagiato sulla collina retrostante.

Proprio per la sua privilegiata posizione la villa era detta dello Scoglietto.

La Grande Bellezza…

In copertina: Salita degli Angeli. Foto di Leti Gagge.

Il pino sdraiato

Dalla circonvallazione a monte -è noto- come si goda di uno dei panorami più suggestivi della città.

Non c’è da stupirsi quindi che anche questo secolare pino marittimo dalla singolare postura si sporga curioso dal Belvedere Don Ga di Corso Firenze per ammirare la Superba.

La Grande Bellezza…

In copertina: il pino marittimo di Corso Firenze. Foto di Leti Gagge.

La Madonna del latte presso le Vigne

Nella chiesa di S. Maria delle Vigne è impossibile non notare la suggestiva Madonna della Vita nota anche come Madonna del Latte.

La trecentesca sacra imagine di artista ignoto è incastonata in una strepitosa colonna di raro marmo verde di Levanto ritenuta parte ancora originale della primitiva chiesa.

La Madonna del Latte

A lei le future partorienti affidavano le proprie preghiere. Proprio grazie al fervore dei fedeli legati a questo simulacro, come riportato dall’Alizeri, la millenaria colonna sopravvivendo ai successivi rifacimenti, rimase intatta.

La Grande Bellezza…

In copertina: La Madonna della Vita della Basilica delle Vigne. Foto di Stefano Eloggi.

Il Martirio di Santa Barbara

All’interno della chiesa di S. Marco al Molo l’altare della corporazione dei Bombardieri (addetti all’uso e alla costruzione delle artiglierie) è impreziosito con il dipinto del Martirio di Santa Barbara, realizzato nel 1622 da un giovane Domenico Fiasella.

Proprio perché, secondo la tradizione agiografica, la santa era immune ai fulmini e al fuoco venne eletta a protettrice e patrona della corporazione.

Il carnefice vestito di rosso come il fuoco con una mano afferra Barbara per i capelli mentre con l’altra brandisce la spada pronto a sferrare il colpo letale.

La santa in ginocchio e con le braccia al sen conserte ha lo sguardo rivolto in alto verso due angioletti che recano lo Spirito Santo e sembra avere un’espressione rassegnata ma serena.

La Grande Bellezza…

In copertina: il Martirio di Santa Barbara in San Marco al Molo.

Piazza dell’Agnello

L’origine del toponimo di Piazza e vico dell’Agnello rimanda alla presenza del bassorilievo che rappresenta l’Agnus Dei posto sopra il civ. n. 9.

L’agnello con il vessillo crociato rappresentava sia il Cristo Redentore che il potere genovese e per questo venne adottato come effigie sulle facciate di molti palazzi nobiliari.

Tale simbolo religioso e politico militare al contempo venne addirittura utilizzato nella seconda metà del XIII secolo come sigillo della Repubblica.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza dell’Agnello. Foto di Leti Gagge.