Con l’apertura di Via XXV Aprile, nei primi decenni dell’Ottocento, il caruggio fu diviso in due (la parte verso Luccoli è infatti Vico Inferiore di Testadoro).
Nei documenti antichi è indicato come Testa Auri (conchiglia o testa d’oro) il cui toponimo, secondo alcune fonti non certificate, deriverebbe dalla presenza in loco di un’omonima locanda.
La Grande Bellezza…
In copertina: Vico Testadoro. Foto di Raffaella Magherini.
Anticamente il caruggio era noto come vico Testadoro. Mutò il nome per non confonderlo con l’omonimo vicolo che, all’inizio di via XXV Aprile, ospita la famosa trattoria dalla “Maria”.
L’orribile edificio di vetro e cemento in piazza Santa Sabina che ospita una filiale della banca Carige sorge sulla demolita omonima chiesa fondata nel VI sec., luogo di ristoro per i pellegrini della Terrasanta.
Dei tesori della chiesa resta solo, nel salone degli sportelli, la Santissima Incarnazione di Bernardo Strozzi. Quello che è sopravvissuto dei traslochi successivi alla sconsacrazione del 1939 è stato trasferito nella nuova Santa Sabina in via Donghi.
A fianco della ex chiesa si trova l’oratorio della Veneranda Arciconfraternita della Morte con la sua eloquente effigie scolpita in facciata: un terrificante rilievo marmoreo adorno di simboli macabri, teschi e ossa incrociate a celebrazione della morte.
Da notare le inquietanti clessidre a simboleggiare l’inesorabile scorrere del tempo e quindi la nostra provvisoria presenza su questa terra.
Qui aveva sede la Casaccia che si occupava di assistere i malati e soprattutto della sepoltura dei poveri durante le epidemie di peste colera.
In copertina: il simbolo della Confraternita. Foto di Bruno Evrinetti.
Edicola dell’incuria così ho “battezzato”questa grande cornice abbandonata che si trova in vico Cioccolatte nel quartiere del Carmine.
Osservandola da vicino si notano ancora labili tracce del dipinto che ospitava: una Madonna col Bambino e altri personaggi non definibili alla base riemergono da un lontano passato nonostante il colpevole abbandono.
In copertina: edicola di vico Cioccolate. Foto di Giovanni Caciagli.
Nell’atrio d’ingresso del civ. n. 4 di Via S. Sebastiano è conservato un pregevole portale marmoreo di San Giorgio che uccide il drago. La preziosa scultura apparteneva originariamente alla chiesa di san Sebastiano, demolita in occasione degli ampliamenti ottocenteschi legati alle aperture di Via Roma e Via XXV Aprile.
In copertina: San Giorgio in San Sebastiano. Foto di Franco Risso.
Oggi non c’è stato un solo genovese che non abbia rivolto lo sguardo ai quattro punti cardinali per capire da dove provenisse quella specie di fumo che impediva la visibilità. Forse un incendio?
Niente puzza di bruciato quindi tale ipotesi non reggeva.
Poi dopo qualche momento di smarrimento si è capito trattarsi della caligo, ovvero quel raro fenomeno marinaro che, dall’incontro sotto costa di aria calda con la superficie fredda dell’acqua, produce nebbia. La foschia ha così dal mare lentamente ammantato la città fino a far scomparire – come per magia – persino la Lanterna.
Intanto senza il faro come riferimento le sirene delle spaesate navi urlano, segnalando la posizione, tutta la loro preoccupazione.
Vi è poi una suggestiva credenza popolare, tramandata di generazione in generazione, che sostiene la caligo essere una sorta di mantello magico che avvolge e accompagna leanime dei marinaiverso la loro pace. Gli spiriti risalirebbero dunque dal mare per venire a prendere le anime rimaste, in una specie di limbo, incastrate tra la vita terrena e quella ultraterrena.
“La nebbia arriva su zampine di gatto. S’accuccia e guarda la città e il porto sulle silenziose anche e poi se ne va via”.
Cit. Carl Sandburg. Poeta americano (1878-1967).
La Grande Bellezza…
In copertina: caligo a Genova. Foto di Gianni Cepollina 24 febbraio 2021.
Quando la strada che collegava la circonvallazione a mare con il colle di Carignano ancora non era stata intitolata a Fiodor.
Un’elegante signora passeggia con la carrozzina mentre una coppia di giovani rampolli è alla guida di un calesse.
Di lì a poco persino nel signorile e borghese quartiere di Carignano si sarebbe infatti reso omaggio, intitolandogli la via, al partigiano eroe della Resistenza.
Poletaev Fiodor era un soldato russo che, aggregato alla brigata Pinàn Cichero, trovò la morte il 2 febbraio del 1945 presso Cantalupo.
Costui, al comando di 40 partigiani, affrontò circa un centinaio di tedeschi che stavano tentando di raggiungere Carrega dove si era insediato il comando della Pinàn Cichero. I nazisti decimati dalla strenua difesa della formazione partigiana, si arroccarono all’interno di un casolare.
Fu allora che Fiodor, ormai a corto di munizioni, si lanciò impavido contro il nemico intimandogli la resa.
Colpito a morte stramazzò sulla neve ma, prima di spirare, ebbe ancora la forza di spronare i suoi: “Coraggio, compagni, non pensate a me, fatevi avanti che dovranno arrendersi!”.
Così fu: i tedeschi si arresero e la battaglia fu vinta. Il gigante russo caduto per la libertà fu il primo partigiano straniero ad essere decorato con la medaglia d’oro al valore militare italiano.
Fiodor Poletaev riposa nel cimitero monumentale di Staglieno.
Il presepe è composto complessivamente da una settantina di statuine ascrivibili allo scultore genovese Pasquale Navone (1746 –1791), erede della grande scuola maraglianesca e produttore di un grandissimo numero di figure del presepe tradizionale genovese.
Oltre all’importanza storica e artistica tale rappresentazione si distingue per il fatto di essere fedelmente inserita nel lussuoso paesaggio architettonico della Genova di inizio ‘600 descritta da Rubens.
“La scenografia – spiega Giulio Sommariva, conservatore del museo dell’Accademia Ligustica – è un omaggio alla città di Genova, che viene rappresentata nel suo momento di massimo fulgore artistico, ovvero durante l’epoca di Rubens. I palazzi sono proprio quelli disegnati da lui, raccolti e incisi nel suo celebre libro stampato ad Anversa nel 1620”.
Particolari anche i costumi: “Alcuni sono più antichi, altri più tardivi, ma riprendono comunque la tradizione genovese settecentesca”. La sceneggiatura è frutto del lavoro degli allievi dell’Accademia di belle arti che hanno ripreso le incisioni di Rubens per creare uno speciale ‘teatrino’ tridimensionale.
“A street in Genoa” così è intitolato questo splendido dipinto in olio del pittore James Holland (1799-1870).
Nel 1851 infatti l’artista inglese soggiornò a Genova dove eseguì alcune delle sue opere più apprezzate:
Tra queste quella che mi ha incuriosito maggiormente è la vivace rappresentazione di via della Maddalena.
Lo si evince ingrandendo l’immagine sopra la targa del negozio dei cappelli dove è infatti appuntato “quartiere della Maddalena Genova”.
Anche se l’edicola sullo sfondo non corrisponde alla realtà (al suo posto oggi vi è quella di San Francesco da Paola) perchè l’originale settecentesca Madonna dell’Immacolata Concezione qui rappresentata è andata perduta, siamo probabilmente all’altezza della casa natale di Simone Boccanegra.
Spettacolari i dettagli dove, tra sapienti giochi di luce e chiaro scuri assai verosimili, tipici dei caruggi, si muovono i protagonisti della scena: in primo piano sulla destra la figura seduta a terra accanto ad una botticella di legno sembra appisolata; al centro della mattonata una coppia in abiti signorili si sofferma ad ammirare le merci di una venditrice ambulante seduta sul ciglio; sull’altro lato cammina una signora con gonna rossa e scialle bianco sulle spalle; tra la folla s’intravvede un’altra donna con cappello bianco che avanza in direzione contraria; sullo sfondo s’intuiscono, sfumati in lontananza, gli altri personaggi che affollano il vicolo; la presenza del camallo che procede con un sacco sulle spalle conferisce dinamicità alla scena; parcheggiata su un lato una elegante portantina nera con finiture dorate accanto alla quale riposa assiso sopra un gradino un facchino. Chissà forse i suoi passeggeri sono gli eleganti signori di cui sopra o altri che aspetta escano dall’antistante negozio di cappelli?
Fuori dalla porta della bottega una donna vestita di scuro con velo bianco sembra discorrere con le fioraie che espongono le proprie mercanzie sul tavolino in primo piano.
James Holland con questo delizioso dipinto ci ha lasciato una splendida istantanea di una Genova che non c’è più e che nemmeno attraverso foto o cartoline antiche sarebbe stato possibile raccontare.
Nel 1342 la “Bergomatium Baiulorum Sodalitas” (la Compagnia dei Caravana Bergamaschi) ottiene il permesso di erigere, all’interno della chiesa di Nostra Signora del Carmine, una propria cappella.
Qui la corporazione dei camalli vi collocò lo struggente Cristo ligneo di area renano-westfalica del 1340 circa. Oggi il crocifisso è conservato presso il Museo Sant’Agostino, Genova.