Fino a qualche anno fa lo slargo intitolato a Don Gallo nel cuore del ghetto ebraico genovese era un triste cumulo di decennali macerie post belliche.
Grazie al Comune che ha contribuito alla pavimentazione e alle associazioni di quartiere che lo hanno pulito, con in primis l’abbellimento floreale ad opera di “Princesa”, lo spiazzo il 18 luglio 2014 é diventato piazza in memoria – come recita la targa – di don Andrea Gallo prete di strada.
Particolare e significativo il disegno che, prendendo spunto da un pilastro di una loggia tamponata utilizzato a mo’ di tronco d’albero, rappresenta un bambino che annaffia la pianta.
Proprio come nei versi della celebre canzone di De Andre’, del resto siamo proprio nei pressi di Via del Campo, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
La Grande Bellezza…
In copertina: Piazza Don Andrea Gallo. Foto di Leti Gagge.
L’attuale conformazione di vico Biscotti, completamente distrutto dai bombardamenti del 1942, costituisce uno dei peggiori esempi di ricostruzione post bellica.
Il nome del caruggio rimanda all’omonima nobile famiglia di fede guelfa che, originaria di Lucca nel XV sec., nel 1528 fu ascritta nell’albergo dei Grillo.
Tutta l’area compresa fra S. Agostino e piazza delle Erbe che ospitava le antiche piazza dei Tessitori e vico Mezzagalera (l’ultima sede del ghetto ebraico), negli anni ’90 è stata occupata da una colata di cemento: terrazze di asfalto e posteggi interrati sono sorti sulle macerie dei bombardamenti.
Il vico costeggiava un tempo, sul retro della chiesa di San Donato dove vi era anche un piccolo cimitero, l’Oratorio della Morte e della Misericordia.
I membri di tale Confraternita erano preposti alla sepoltura dei poveri durante le pestilenze.
A ricordo di questo macabro passato rimane solo una sbiadita lapide del del 1885 che racconta -appunto- della nefasta peste del 1656.
La creuza della Salita della SS. Incarnazione che deve il suo toponimo dall’omonimo monastero , detto anche delle “turchine” per via del colore dell’abito delle monache. Il complesso eretto nel 1604 in Castelletto sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca dalla genovese Beata Maria V⁰ittoria de Fornari Strata (1562 – 1617) comprendeva due complessi attigui, separati da una strada, detti rispettivamente “Turchine di sopra” e “Turchine di Sotto”.
Dell’antico edificio scomparso restano i toponimi delle due vie di accesso Salita dell’Incarnazione appunto e Salita delle Monache Turchine che ne costeggia l’ultimo muro rimasto.
Le monache turchine si sono traferite dopo la prima guerra mondiale a San Cipriano portando con se i preziosi oggetti, i quadri, le secentesche sculture, gli arredi liturgici e il mobilio di maggior pregio.
La più significativa testimonianza del monastero rimane comunque il raffinato risseu del cortile interno del monastero che, recentemente restaurato dall’artista Gabriele Gelatti, fa bella mostra di se nel cortile di Palazzo Reale dove era stato ricostruito negli anni ’60 dal maestro Armando Porta.
A pochi passi dalla chiesa dell’Annunziata a fianco di piazza Bandiera si snoda via Polleri la strada che inizia l’ascesa verso la circonvallazione a monte.
Per la sua costruzione vennero abbattuti attorno al 1870 alcuni caruggi del quartiere e l’originaria chiesa di S. Agnese il cui titolo nel 1797 era già stato trasferito alla vicina chiesa del Carmine.
Del vecchio edificio religioso resta traccia in un muro maestro all’interno del civ. n. 4.
Più o meno all’altezza dell’omonimo vicolo che ricorda l’antico monastero di S. Agnese si nota una chiesa curiosamente inglobata all’interno di un palazzo.
Si tratta della sede della Congregazione delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, meglio note come Filippine, istituita come opera Pia nel 1705.
Il nome delle suore si deve alla devozione del loro fondatore Padre Antonio M. Salata nei confronti di San Filippo Neri, le cui pertinenze (chiesa e oratorio) si trovano nella vicina Via Lomellini.
Costui si occupò, nel nome della Madonna della Misericordia, di assistere, istruire, educare e dare un tetto alle molte fanciulle abbandonate del centro storico.
Attualmente l’impegno sociale della Congregazione si concretizza con le adozioni a distanza e con l’attività delle scuole primarie e materne di Genova.
In copertina: la chiesa della Congregazione delle Filippine. Foto dell’autore.
Due carabinieri salutano il corteo di auto delle autorità aperto da sei vigili motociclisti.
Quando nel 1959 venne inaugurato il primo dei quattro tratti della strada pedemontana che partiva da San Martino e terminava in via Isonzo.
Gli altri tre lotti di Corso Europa furono infatti costruiti successivamente: il secondo lotto terminava a Quarto all’altezza di via Pianelletti nel 1961; il terzo all’altezza della stazione ferroviaria di via Filzi a Quinto, nel 1963; il quarto fino a via Santorre di Santarosa con relativo svincolo per via Oberdan a Nervi, nel 1964.
In tutto 6,5 km si super strada per collegare il centro con il levante cittadino.
In Salita Santa Caterina all’altezza del civ. n. 21r. imbrigliata fra i cavi elettrici è affissa una curiosa lapide che sovrasta un cinquecentesco portale.
Sono queste le ultime tracce dell’oratorio di San Giacomo delle Fucine fondato nel XVI sec. da alcuni membri appartenenti all’Oratorio dei SS. Giacomo e Leonardo di Pre’.
Sulla lastra è incisa una croce con scolpiti ai lati due incappucciati dei quali uno flagellante.
Il testo dlle’epigrafe dedicata a San Giacomo Maggiore recita:
Recressvs Pnt s Viae Pvb Pvit / Ex Perm. App Cois. Andre / Qveste et Nvper Conclaves / Evndi et Redevndi Cofrib / Domvs Disciplinantivm S. / Jacobi de Fvssinis AD.B.P. / Patrvm Cois A. P. V. 1574 / Die 18 Novembris.
Tale tavella venne qui posta dalla confraternita di San Giacomo delle Fucine a ricordo della demolizione del proprio oratorio nel 1866 a seguito dell’apertura di Via Roma.
La casaccia di San Giacomo delle Fucine, fra le più facoltose e potenti perché finanziata dalla ricca corporazione dei Tintori, gareggiava con le altre (in particolare Sant’Antonio della Marina) per opulenza di addobbi e paramenti sacri, delle casse processionali e dei crocifissi durante le processioni.
Appartenevano loro ad esempio la strepitosa tardo settecentesca cassa processionale con San Giacomo Maggiore che abbatte i Mori di Pasquale Navone e il celeberrimo Cristo Moro delle Fucine del Bissoni del 1639 ritenuto il primo esempio di grande crocifisso processionale ligure.
Scolpito in legno di giuggiolo tinto al naturale con fregi in tartaruga e fogliame d’oro.
Il gonnellino insieme agli altri orpelli d’argento e i diamanti con cui era decorata la scritta “INRI” sono stati depredati dalle truppe napoleoniche.
Ironia della sorte ciò che è rimasto dell’antico oratorio è stato trasferito in parte in San Giacomo della Marina e in parte proprio presso i rivali di Sant’Antonio della Marina.
Proprio a questi ultimi appartengono i capolavori sopra citati anche se il Cristo Moro è visibile presso la chiesa di San Donato alla quale è stato recentemente prestato.
Assai è noto con quanto di magnifica eleganza il Marchese GiancarloDi Negro abbia dato molte solenni feste nella sua Villetta di Genova all’onore or di Eroi Italiani, or di suoi amici illustri. Innumerevoli persone, in tutta Italia e fuori conoscono la rara amenità del luogo, e quel meraviglioso prospetto di città e di mare, che il possessore cortesissimo concede liberamente di godere ogni giorno a tutti: ed è famoso lo spettacolo ch’essa rende illuminata copiosamente in quelle notti festose; al quale concorre plaudente un popolo numeroso nel sottoposto passeggio dell’Acquasola.
Cit. Pietro Giordani (1774-1848) scrittore italiano.
Sono andato a vedere la statua colossale nel giardino del celebre Doria, poi alla Villetta, delizioso giardino del marchese Di Negro: un uomo d’ingegno che, nonostante il suo blasone, fa buona accoglienza a tutti gli uomini di talento. […] Mi ha accolto con ogni cordialità m’ha offerto dell’uva della sua Villetta.
La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchese di Negro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.
Cit. Stendhal (1783-1842) scrittore francese.
La Grande Bellezza…
In copertina: da Villetta di Negro. Foto di Maurizio Romeo.
Salendo Corso Dogali, dopo il quarto tornante sulla sinistra, più o meno all’altezza dell’Orto Botanico si nota all’interno di un cancello privato l’ottocentesca targa del civico n. 19 che rimanda al toponimo di Pietraminuta.
Da qui lo spunto e il pretesto per raccontare la storia dell’ampliamento verso ponente della cinta muraria, deliberato nel 1346 sotto il dogato di Giovanni da Murta (secondo doge della Repubblica dopo Simone Boccanegra).
I lavori completati nel 1350 prevedevano mura che, partendo dalla torre di Castelletto, scendevano a S. Agnese, risalivano per Carbonara per ridiscendere verso Pietraminuta (odierno Corso Dogali) e Montegalletto (attuale castello D’Albertis) e proseguire fino alla chiesa di San Michele sotto la quale si apriva la porta di S. Tomaso.
Come raccontato dal Dellepiane nel suo preziosissimo “Mura e Fortificazioni di Genova” da un atto notarile del 9 novembre 1346 del nostro Tomaso di Casanova si evince che: ” (…) la parte esecutiva per la costruzione dei bastioni di Pietraminuta venne affidata ai maestri antelami Giorgio Scriba, Giovannino da Biegna, Giacomo Piuma, Marchisio de Ceso, Antonio Sachero e Giovanni Gasparino”.
Si stabilì un’altezza delle mura compresa fra 18 e 25 palmi e una larghezza di sei, sette palmi. La parte superiore del muro doveva essere munita di parapetto alto cinque palmi coronato da merlatura di quattro palmi.
Si convenne che nella località di Pietra Minuta il muro difensivo doveva essere sormontato da tre torri; una sopra la piazza ivi esistente, un’altra sopra la strada ed infine l’ultima so doveva erigere sul terreno comune ai Monasteri di Pietra Minuta e di Santa Marta verso il Guastato.
Salita di Pietraminuta di arrampica nel buio da Via Balbi per guadagnarsi un solare e arioso panorama sui bastioni del Montegalletto.
Da Via Balbi, tra il collegio dei Gesuiti e la chiesa di San Carlo l’antico bastione è ancora oggi percorribile fino a Via Kassala.
In copertina: Salita Pietraminuta nel tratto in alto. Foto di Giovanni Sechi.
Al civico n. 3 di Piazza Palermo proprio accanto alla sede della Pubblica Assistenza della Croce Bianca locale è possibile ammirare un elegante portone in stile neo gotico rinascimentale.
Gli stipiti del signorile ingresso sono intarsiati e il trave è sovrastato da un tripudio di disegni geometrici, riccioli e volute.
Le due nicchie su basamento a colonna culminanti in cuspidi ospitano le statue di altrettanti illustri genovesi: Cristoforo Colombo a sinistra e Andrea D’Oria a destra.
Il primo vestito elegantemente è rappresentato assorto nei suoi pensieri mentre regge in mano il globo. Chissà quale rotta starà studiando?
Il secondo invece dall’aspetto austero è bardato nella sua cotta di rappresentanza. Con una mano stringe una pergamena arrotolata. Forse un’importante missiva o un vantaggioso contratto? Con l’altra impugna fiero l’elsa della sua preziosa spada di prestigioso Defensor della cristianità.
In vico della Giuggiola all’angolo con salita di Carbonara, proprio in corrispondenza della targa che identifica il caruggio, si trova una deliziosa Annunciazione.
All’interno di una cornice a tempietto il piccolo rilievo marmoreo sostituisce l’originale dipinto in ardesia.