Nel quartiere di San Vincenzo si dipana una creuza tanto dimenticata quanto caratteristica denoninata Salita della Tosse.
In epoca romana costituiva un tratto della via Aemilia Scauri sulla quale transitò, alla volta della Tuscia (la VII Regio amministrativa che sotto Augusto comprendeva Gallia cisalpina, Toscana, Umbria, Lazio e mar Tirreno), Cesare con le sue legioni. Per questo motivo venne identificata come Montà (salita) della Tuscia.
Nel periodo imperiale sotto Augusto la VII Regio
Il toponimo della tosse compare solo nell’ottocento con la letterale traduzione dal genovese (Tuscia significa Tosse) in italiano dei topografi piemontesi.
Altri storici, in merito all’intitolazione della salita, rimandano invece alla presenza nel medioevo di un’edicola votiva della Madonna, chiamata della Tosse appunto, alla quale i genitori si affidavano per i bambini affetti da malattie respiratorie.
Nel 1975 nel caruggio ebbe sede l’omonimo Teatro della Tosse trasferitosi poi in S. Agostino nel 1986.
L’ultima palazzina sulla sinistra fu invece la dimora e il laboratorio del grande scultore genovese, celebre per i suoi monumenti funebri, Santo Varni.
“Salita della Tosse | scandivano ragazze rosse. | Ragazze che in ciabatte | e senza calze […] | andavano, percorse | da un brivido, sulla salita | che anch’io facevo, solo, | già al canto d’un usignolo. || Genova di tutta la vita | nasceva in quella salita.
Cit. Giorgio Caproni (1912-1990) poeta.
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In copertina: Salita della Tosse foto di @iperdrepi.
Non si ha certa cognizione dell’origine del toponimo di Vico della Scienza. Si suppone però che qui avesse sede la corporazione della scienza che includeva sia medici e speziali, che filosofi, letterati e matematici.
Quel breve caruggio di nome Vico delle Compere che da Sottoripa collega Piazza De Marini con Banchi non ha alcun nesso con lo shopping.
Il toponimo delle Compere rimanda infatti all’ingegnoso sistema economico fondato sul concetto di prestito pubblico con il quale i genovesi finanziavano imprese militari e opere di interesse comune.
Qui, negli scagni del vicoletto, avvenivano dunque le transazioni finanziarie che a partire dal 1407, anno della sua fondazione, verranno poi accorpate sotto il nome di Compere del Banco di San Giorgio.
All’altezza del civ. n. 2 si notano ancora le tracce di un antico porticato in pietra decorato con archetti e sovrapporta in pietra nera con il trigramma di Cristo e due fregi e riccioli con iscritte le lettere B e P.
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In copertina: Vico delle Compere. Foto di Stefano Eloggi.
Nell’aprile del 1204 durante la quarta crociata Bisanzio era stata conquistata dagli eserciti crociati con conseguente istituzione dell’Impero Latino d’Oriente, regno di fatto sotto l’influenza veneziana.
Tre piccoli stati bizantini Epiro, Trebisonda e Nicea non si rassegnarono al nuovo ordine costituito e continuarono a proclamarsi legittimi sudditi ed eredi dell’Impero Romano D’Oriente.
Fu così che Michele VIII Paleologo erede del trono di Nicea chiese aiuto ai genovesi per la riconquista di Costantinopoli.
Il 13 marzo del 1261 il futuro imperatore e la delegazione genovese inviata dal Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, per sancire la nuova alleanza stipularono dunque, dal nome della località vicina a Bisanzio sede dell’incontro, il trattato del Ninfeo.
In cambio della fornitura di 16 navi in assetto da guerra dotate di equipaggi, ammiragli, armamenti e soldati Michele Paleologo s’impegnava a cedere la signoria di Focea (strategica per il commercio di mastice e allume di rocca), il diritto di passaggio negli Stretti del Mar Nero e soprattutto la cacciata dei veneziani dalla Crimea.
Genova privilegiato interlocutore con l’Oriente si apprestava quindi a vivere il periodo del suo – come brillantemente definito dal Lopez -“massimo fiore” che la porterà nel 1284 ad annientare Pisa alla Meloria e a mettere in ginocchio a Curzola nel 1298 Venezia.
Le teste leonine ancora oggi visibili sulla parte più antica di Palazzo San Giorgio, l’antico palazzo del Capitano del Popolo, provengono dal distrutto palazzo veneziano del Pantocratore di Costantinopoli asportate a mo’di trofeo per celebrare la schiacciante vittoria commerciale e politica sui rivali di San Marco.
Oltre ai benefici sopra citati l’Imperatore, in segno di riconoscenza, fece recapitare a Genova il giorno di Natale del 1261 due preziosissimi palli esposti sopra l’altare maggiore della cattedrale di San Lorenzo.
Purtroppo dei due drappi uno, del quale non si ha più traccia, è andato perduto.
Dalla cattedrale di San Lorenzo dove è rimasto fino al 1633, il regale tessuto è stato trasferito fino al 1842 presso il demolito Palazzo dei Padri del Comune a Caricamento.
Da qui in poi le peregrinazioni nei due secoli successivi a Palazzo Tursi prima e Palazzo Bianco poi.
Il drappo rimasto invece misura 377 cm di lunghezza e 132 di altezza ed è realizzato in sciàmito di seta rossa.
Lo sciàmito è un tessuto più unico che raro utilizzato per gli abiti imperiali e papali caratterizzato da ricami e filati ricoperti di lamina d’argento e d’argento dorata.
Nel Pallio di San Lorenzo sono raffigurati, distribuiti su due livelli orizzontali, venti episodi di vita di Sisto, Lorenzo e Ippolito.
Le scene sono accompagnate da una scritta in latino a caratteri gotici e vanno lette partendo dalla figura centrale di destra verso sinistra. Queste scene descrivono i momenti salienti della vita dei protagonisti fino alla morte. La parte centrale del drappo invece raffigura Michele VIII Paleologo che entra nella cattedrale di Genova.
Nel 2009 il prezioso manufatto, probabilmente il più importante reperto medievale nel suo genere, è stato oggetto di un complesso restauro durato fino al 2018 presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che lo ha così restituito alla città nel suo primitivo splendore.
San Sisto vescovo di Roma ordina a San Lorenzo arcidiacono di vendere i vasi della chiesa
San Lorenzo vende i vasi della chiesa
San Lorenzo distribuisce ai poveri il ricavato della vendita dei vasi
San Sisto disputa con l’imperatore Decio
San Sisto viene decapitato
La sepoltura di San Sisto
San Lorenzo disputa con l’imperatore Decio circa i vasi dorati
San Lorenzo presenta all’imperatore gli zoppi e i ciechi a cui diede il ricavato della vendita dei vasi
San Lorenzo viene bastonato
San Lorenzo in carcere
In carcere San Lorenzo visita gli infermi che si presentano a lui
San Lorenzo converte il custode del carcere Tiburzio Callinico
San Lorenzo battezza Tiburzio Callinico
San Lorenzo è martirizzato sulla graticola
San Ippolito seppellisce San Lorenzo
San Ippolito disputa con l’imperatore Decio
San Ippolito è torturato con artigli di bronzo
San Ippolito smembrato con i cavalli
La sepoltura di San Ippolito
San Lorenzo che introduce l’altissimo imperatore dei greci Michele Paleologo nella chiesa genovese (scena centrale del drappo).
Oggi il Pallio di San Lorenzo è custodito presso il Museo di Sant’Agostino di cui costituisce ineguagliabile fiore all’occhiello.
All’angolo con Piazza Stella si trova il Vico del Sale. Qui e nel vicino quartiere del Molo e in Darsena davanti a Porta dei Vacca, la Repubblica aveva infatti i propri magazzini di stoccaggio e rivendita del sale.
Genova, in virtù della produzione autoctona e dei suoi possedimenti sardi, ne aveva praticamente il monopolio nel Tirreno. Monopolio rafforzato inoltre dai carichi provenienti dalla Provenza e dalle Baleari.
Il sale come elemento di conservazione degli alimenti e in cucina era infatti talmente importante che la Repubblica aveva istituito presso San Giorgio un’apposita magistratura di otto membri che si occupava di contrattare il costo delle partite acquistate, di stabilirne il prezzo di rivendita, di riscuotere le gabelle e in generale di legiferare in materia.
Se da un lato era infatti obbligo dei consoli acquistare tutti i carichi degli importatori che facevano scalo a Genova, dall’altro le tasse sul minerale erano per le casse della Repubblica le più elevate e remunerative in assoluto.
Dal porto partivano così carovane di muli che da Voltri percorrendo la via – detta appunto del sale – rifornivano anche il Piemonte e la Lombardia del prezioso minerale.
In copertina: Magazzini del sale in Vico del Sale. Foto di Leti Gagge.
In Piazza Cavour gli arredi in legno stile vecchia osteria della trattoria Cavour 21 sono collocati su un tratto di strada notevolmente rialzato rispetto al livello della piazza stessa.
Si tratta di quel che rimane dell’antico tracciato della ripa coltelleria, ovvero la naturale continuazione di Sottoripa, demolito nel 1865 per la costruzione di Via Turati.
Ripa coltelleria – si chiama così – perchè qui fin dal 1262 avevano sede le botteghe della corporazione dei coltellieri. Le attività e i commerci di tali artigiani raggiunsero tra sei e settecento il periodo di maggior splendore.
Proprio come in Sottoripa infatti gli edifici, caratterizzati da logge e coperti dai portici, presentano ancora brani originali dell’acquedotto medievale.
Sul campanile della Commenda di San Giovanni di Pre’ sono incastonate delle curiose decorazioni. Tali ornamenti sono composti da forme di ceramica invetrata smaltata e colorata.
Si tratta per lo più di piatti e catini che, come con suetudine nell’area mediterranea al tempo delle Crociate, stavano ad indicare che in quel luogo si poteva ricevere ristoro e ospitalità.
Secondo alcuni esperti i bacini ceramici -questo il loro nome in gergo tecnico – non erano altro che vasellami donati da pellegrini o crociati come ringraziamento al termine della propria degenzenza.
La maggior parte di questi manufatti era di fattura islamica e ciò – ad altri studiosi- ha fatto ipotizzare che fossero prede di guerra e avessero la funzione di bottino da ostentare.
Un’altra corrente di ricercatori invece sostiene che i catini costituissero solo elementi decorativi. Poco cambia poi che fossero previsti già in fase progettuale o aggiunti, in appositi spazi dedicati, in momenti succesivi.
Altri infine, molto più pragmaticamente, propendono per una versione di natura economica: tali elementi decorativi erano infatti meno costosi rispetto ad altri materiali quali marmi o pietre preziose e pertanto più accessibili durante gli scambi commerciali con i musulmani.
In copertina: le ceramiche del campanile della Commenda. Foto di Leti Gagge.
Ubi fenum ponderatur, ovvero dove veniva pesato il fieno.
Nasce così, in una contrada che, fin dal XII secolo ricca di scuderie, necessitava di continuo foraggio per gli animali, il toponimo di Vico del Fieno.
In epoca successiva il caruggio veniva popolarmente identificato come il caröggio di camalli.
Si tratta di un caruggio poco noto ma onusto di significative testimonianze del passato: portali, portalini, edicole votive, medaglioni e archetti sono presenti un po’ ovunque.
In particolare al civ. n. 9r, edificio del XVII appartenuto alla nobile famiglia De Fornari e demolito dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, nel 1751 venne istituita l’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Del palazzo originario resta visibile, affacciata su vico della Neve, la loggia.
In primo piano nella foto al civ 18 si trova, nei suggestivi locali liberty di un ex bordello, il ristorante I Cuochi uno dei più rinomati del centro storico.
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In copertina: Vico del Fieno. Foto di Maria De Mattia.
La Fontana detta dei “Cannoni del Molo”, sovrastata dall’edicola di San Giovanni Battista, era una delle stazioni terminali dell’acquedotto storico.
A tale cisterna risalente al 1634 erano collegati i tubi, un tempo chiamati “cannoni” che distribuivano l’acqua alle fontane pubbliche.
I cannoni, a differenza dei più evoluti bronzini dotati di valvola, erano forniti solo di tappi costruiti in marmo o ceramica, o ferro.
Proprio accanto al piccolo tempio si notano due listelle di marmo incastinate nelle pietre con numerazione araba e romana. Sotto s’intuisce la bocca marmorea, oggi occlusa, di uno di questi cannoni.
In copertina: la fontana dei Cannoni. Foto di Leti Gagge.