Piazza Cernaia

Nel cuore della zona della Maddalena si trova Piazza Cernaia.

L’intitolazione del sito rimanda al fiume Cernaia in Crimea presso il quale nel 1855 si svolse l’omonima battaglia vinta dai piemontesi contro l’esercito russo.

La piazza, nonostante i suoi edifici nei secoli precedenti abbia subito diversi accorpamenti, mantiene inalterato il suo fascino.

Ai resti di quel che rimane di una piccola quanto trascurata edicola contenente un tempo la statua della Madonna della Provvidenza si deve il nome della sottostante farmacia ivi presente.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza Cernaia. Foto di Giovanni Cogorno.

Le Sciamadde

Le sciamadde, dal termine genovese sciamadda ovvero “fiammata”, costituiscono caratteristico patrimonio della gastronomia genovese.

Difficile raccontarle perché, un po’ friggitorie, un po’ rivendite di torte, un po’ forni, un po’ rosticcerie, vanno frequentate, vissute e annusate.

Eppure questi spartani locali con le pareti rivestite con le classiche piastrelle bianche, il bancone di marmo e i tavoli di legno tipo osteria, custodiscono i sapori più autentici della tradizione.

Interno dell’Antica Sciamadda di Via San Giorgio. 14r Foto di Maurizio Romeo.

La loro origine risale intorno al tardo ‘600 quando Genova aveva il monopolio del sale. Le sciamadde, fornite di forni dove si potevano anche cuocere torte e focacce, venivano infatti utilizzate come vendita al dettaglio del prezioso minerale.

La principale caratteristica della sciamadda è proprio la proposta delle: torta di bietole, di cipolla, di riso, di carciofi e Pasqualina non possono mancare.

Le torte sul bancone dell’Antica Sciamadda di Via San Giorgio 14r. Foto di Maurizio Romeo.

Così come non possono mancare il polpettone e le verdure ripiene, la farinata, la panissa sia fritta che condita con olio e aceto o limone, i friscioeu e i cuculli.

I friscioeu sono frittelle aromatizzate con salvia tritata e/o rosmarino, maggiorana ed erba cipollina. I cuculli sono identici ma preparati con la farina di ceci al posto di quella zero.

Antica Sciamadda di Via San Giorgio 14r.

Questi luoghi del gusto povero, popolare ma sincero, veri antesignani del moderno street food, vanno purtroppo scomparendo.

Le sciamadde raggiunsero infatti la massima diffusione a cavallo tra ‘800 e ‘900 quando nei caruggi si potevano trovare un po’ ovunque. Oggi, a presidiare il territorio e a preservare la tradizione -spero di non averne dimenticato qualcuna- ne rimangono circa una decina: Trattoria Sciamadda di Ravecca 19r, Antica Friggitoria Carega in Sottoripa 113r, Le Delizie dell’amico in Canneto il Lungo 31r, Antica Sciamadda in Via San Giorgio 14r, Sa Pesta in Via dei Giustiniani 16r, Farinata dei Teatri in Piazza Marsala 5r, Ostaja San Vincenzo nell’omonima via al 64r, da Domenico in Piazza Giusti 56r, Franz & Co in Via Struppa 81r e Ristorante Vexima a Voltri in Via Cerusa 1r.

Buon appetito!

In copertina: La Sciamadda di Ravecca. Foto di Stefano Eloggi.

Pasolini a Genova

Genova, giugno (1959)

“Il mare cambia colore, dopo essere scomparso per decine di chilometri in una enorme fuligginosa città di magazzini: ricompare dietro due spunzoni di roccia e una torre campanaria tra barbaresco e liberty, con una fila di grattacieli sopra un’altura color polvere, com’è polvere tutto.

Genova fuma, sfuma in un guazzabuglio supremo. L’attraversi, a metà Corso Italia, già verso Levante, ti volti, e alle tue spalle ecco la più bella visione di tutta la Liguria.

Il porto, con catene di navi, banchine battute da un mare color paglia, una frana di palazzi, impastati in un’unica polvere, e più vicino vecchie navi ruggini, moli di massi neri, il mare verde oliva, torbido come un fiume in piena, con un ghirigoro di scoglietti, isolotti, rotonde, tutto di ferro battuto, e orridi, qui sotto, con erbe, fichi d’India e spazzatura.

Nel limite di questi quadro, ai piedi di chi guarda, in fondo a un vertiginoso muraglione da città del futuro, sotto una rete di protezione, c’è una piccola spiaggia di ciottoli. Si intravede, nella luce del temporale, qualcuno che fa il bagno. Una ragazza bionda, nuda, di carne, di carne calda, in mezzo a tutto quel ferro”.

Pier Paolo Pasolini. “La lunga strada di sabbia” (1959).

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Pasolini con la maglia del Genoa. Foto dal web.

Il 29 maggio del 1975, curioso aneddoto, il famoso poeta e regista bolognese e tifoso felsineo fu protagonista, in veste di capitano, in un derby infrasettimanale beneficenza tra vecchie glorie e personaggi dello spettacolo di Genoa e Sampdoria.

In copertina: Pier Paolo Pasolini con sullo sfondo il quartiere della Foce prima della costruzione di Piazzale Jennedy e della zona. Immagine tratta dalla mostra sul regista a Palazzo Ducale di Genova (30/11/21 – 13/3/22).

Il Mattatore genovese

A ricordare i natali genovesi di Vittorio Gassman rimane una targa affissa dal Comune di Genova nel 2005.

Il celebre attore italiano nacque infatti il primo settembre 1922 in Via Benedetto da Porto nel quartiere, a quel tempo comune autonomo, di san Siro di Struppa.

Foto di Nonno Aldo.

Accanto a questo gruppo di vecchie case dotate dei classici lavatoi Vittorio mosse i primi passi.

Qui, nel Porto Antico nel 1998 con la sua versione del Moby Dick di Melville, mosse gli ultimi da artista annunciando l’addio alle scene.

Si prestò volentieri a raccontare i molteplici aspetti e caratteri storici della sua città in un documentario Rai. Con consueta arguzia ed empatia comunicativa Gassman descrive la Superba:

“Genova Soltanto un anno dopo” di Carlo Posio e Francesco di Ciccio (allego il link di un piccolo brano del racconto riproposto da Techeteche).

https://fb.watch/aIQ8Qk74F-/

Genovese dunque, non romano e romanista come molti erroneamente credevano e, di conseguenza genoano (la Sampdoria a quel tempo, essendo fondata nel 1946, non esisteva ancora).

Vittorio riceve la spilla del Genoa direttamente appuntato da Riccardo Carapellese. Foto tratta da pianetagenoa 1893.net.

A un giornalista che gli chiedeva se fosse un romanista, il grande attore infatti rispose : «No, ahimè, sono Genoano. E pur con magre soddisfazioni» Tratto da “I Racconti del Grifo. Quando parlare del Genoa è come parlare di Genova”, Nuova Editrice Genovese, 2017 (breve estratto di un racconto, “Genoani Illustri”, in vista di una seconda edizione dei racconti).

Nel centenario della nascita del Mattatore.

Genova Gennaio 2022.

In copertina: la foto della casa natale di Gassman. Foto di Nonno Aldo.

Palazzo Cicala

Al civ. n. 6 di Piazza dell’Agnello si trova il Palazzo di Vincenzo e Carlo Pallavicino, l’edificio più importante della piazzetta, noto anche come Pallavicino Richeri o Palazzo Cicala.

Fu progettato da Bernardino Cantone nel 1542 su precedenti proprietà e, nella parte esterna, era decorato con sfarzosi affreschi di Lazzaro Calvi, lo stesso magnifico artista che ha realizzato le pitture del Palazzo Antonio D’Oria (Prefettura). Oggi di queste splendide opere rimane solo una traccia sbiadita che meriterebbe un adeguato restauro.

Il portone a colonne doriche che poggiano su basi decorate con fregi di teste di leone, meduse, trofei di guerra è attribuito ai grandi maestri antelami rinascimentali (provenienti dal comasco e dall’alta Lombardia) Giacomo della Porta e Nicolò da Corte.

Non mancano purtroppo le insensate scritte, firma indelebile dell’ignoranza di chi le ha prodotte, ad imbrattare i muri.

Sull’architrave risaltano due sinuose figure femminili adagiate su un letto di cornucopie ricche di fiori e frutti, che rappresentano le virtù. In origine le due statue reggevano lo stemma del Casato che è andato perduto.

Al primo piano le finestre con gli archi a tutto tondo sono nobilitate da tre sculture di Tritoni che sorreggono panoplie. Non si conosce con certezza l’autore di tali opere tuttavia secondo alcuni studiosi sarebbero addirittura riconducibili nientepopodimeno che al Montorsoli (chiesa di S. Matteo e relativa Criptagiardini Villa del Principe).

La Grande Bellezza…

In copertina: Palazzo Cicala. Foto di Stefano Eloggi.

Le “Meraviglie” di Angela?

Ho appena seguito la parte della puntata dedicata a Genova da parte di Alberto Angela. Pur comprendendo gli spazi e i tempi televisivi ridotti che imponevano scelte risicate, sono rimasto deluso.

A parte il discorso sui Celti e sull’origine del toponimo Ianua, ormai confutati da tempo e le imprecisioni sui Rolli e su Dragut, non mi è piaciuto l’aver tralasciato i caruggi, le chiese, i forti, le mura, insomma l’anima vera della città raccontando solo in modo riduttivo l’epopea del D’Oria.

Troppo spazio dedicato alla Lanterna raccontando il niente.

Genova 25 gennaio 2020

A proposito del “Principe Libero”…

Certo due cose non mi sono, come credo alla maggior parte dei miei concittadini, piaciute: più che l’inopportuna inflessione romana, l’assenza se non della lingua, per lo meno della cantilena nostrana la prima; la citazione fra tante specialità genovesi (anche cantate da Faber penso alla Cima e al pesto) della carbonara, la seconda.

Si può anche discutere sul finale già che siamo in tema romano “alla volemose bene” e ai diversi pesi in termini di importanza attribuiti ai vari episodi della vita dell’artista.

Molto ad esempio è stato dedicato all’esperienza sarda e al rapimento, nulla al periodo infantile piemontese e poco a quello inerente agli ambienti anarchici rappresentati in maniera marginale dalla figura del poeta Riccardo Mannerini.

Genova proprio come una madre discreta appare, seppur di una bellezza disarmante, un po’ in disparte.

Il protagonista a livello di mimica, secondo il mio modesto parere, è stato all’altezza e così gli altri attori. Detto questo, nel complesso vado “in direzione ostinata e contraria”, il fumettone non mi è dispiaciuto.

Avendo letto diverse biografie, mi riferisco in particolare a quelle di Milesi e Viva e il suo unico romanzo scritto a quattro mani con Gennari “Un destino Ridicolo”, ho trovato corrispondenza con quanto era di mia conoscenza.

Credo che la delusione di molti sia dovuta al fatto che si aspettavano un panegirico sul De Andre’ artista e invece è stato un racconto del Fabrizio uomo. Con le sue debolezze, contraddizioni, sofferenze. Insomma la sua umana fragilità così bene espressa nella sua canzone manifesto e autobiografica “Amico Fragile”.

Il rapporto intimo con la divinità che alberga in ogni uomo e non nelle chiese e l’anarchia sperimentata come soluzione a domande che risposta non hanno.

La scrittura di parole e musica come catarsi, come unica via di salvezza. La scelta di schierarsi con gli ultimi e di interrompere il banale refrain “Cuore e Amore” per proporre qualcosa di più colto elevato ma, al contempo, fruibile a tutti.

Perché Fabrizio sceglie si il linguaggio ma anche il suo interlocutore, l’anima e quella non ha censo né titoli.

All’insicurezza e alla timidezza dell’artista fanno da contraltare la carnalità delle sue frequentazioni nei caruggi, l’amicizia intellettuale con Tenco e quella goliardica con Villaggio.

Il Fabrizio figlio di un padre ingombrante e fratello di un altro De André non meno competitivo. La paura di non farcela, di non essere all’altezza.

Il matrimonio borghese con la prima moglie Puny, il rapporto di padre assente nei confronti di Cristiano prima e di Luvi poi, perché immerso nella ricerca, prima che della perfezione, di sé stesso.

Il fumo l’alcool come anestetici di un’anima troppo sensibile per annegare nelle convenzioni borghesi. Convenzioni infrante dall’amore maturo e spontaneo con Dori.

L’esperienza devastante del rapimento in Barbagia. La straordinaria promessa al padre in punto di morte per me, forse il momento più alto, in cui Fabrizio uomo si supera cercando di esaudire prima che il padre la propria coscienza. Perché in fondo tutti noi non aneliamo altro che scendere dalle braccia del padre e correre per il mondo per poi tornarci fra quelle braccia e dire “Hai visto papà?”.

Papà ha visto eccome perché parole sue “Regalandoti una chitarra ho fatto il più grande investimento della mia vita”.

De André che dipinge con le note e scolpisce con le parole. Un artista che non lascia nulla al caso e che leviga i versi alla ricerca perenne dell’irraggiungibile perfezione, come fa il mare con i sassi sulla spiaggia.

Il tendere alla perfezione questa la vera cifra di Fabrizio.

Ecco forse il De André artista meritava più risalto ma senza l’uomo così umano e fragile non ci sarebbe stato il più grande poeta del Novecento e questo – spero – insieme all’ineguagliabile bellezza della Superba, l’abbiano capito anche i sei milioni d’italiani che hanno seguito la fiction.

Genova 16 febbraio 2018

Genova città davvero segreta?

In molti mi avete contattato per avere la mia opinione sulla puntata di “Genova città segreta” trasmessa ieri. Argomento dunque le mie impressioni:

Mi piacciono l’eleganza e il garbo con cui Augias ha condotto il suo racconto e, tenendo conto che il suo obiettivo era quello di inchiodare al teleschermo dal malgaro del Trentino al pescatore di Mazara del Vallo, direi che ci è riuscito bene. Sul format che consiste in un guazzabuglio di storia, arte e monografie agiografiche non entro nel merito perché “così è se vi pare” scriveva un grande siciliano.
Sicuramente Genova, come per la fiction “Blanca”, ha goduto di un bello spot pubblicitario confezionato certo meglio di quello proposto l’anno scorso da Angela jr.

Se considero i contenuti però non sono soddisfatto. Si poteva e si doveva fare meglio. Un genovese che ama la sua città non PUÒ e non DEVE essere contento.

Mi spiego meglio: tralascio gli errori fonetici (Embriáco) o topografici (via Torino) e la narrazione della quale ho fatto fatica ad identificare il filo conduttore (a proposito quale era? Genova termometro del Paese?).

Non mi è piaciuto il racconto della Costa e della tradizione navale genovese associata alla Concordia. Un pò come raccontare la Ferrari attraverso un incidente di Badoer. Se proprio si voleva parlare del tema mare naufragio forse quello della London Valour sarebbe stato più attinente.

Non mi è piaciuto non aver dedicato neanche un’immagine ai nostri Forti che costituiscono un unicum paesaggistico irripetibile.

Non mi è piaciuto, dopo aver parlato di verticalità, non aver sentito un cenno o una visuale delle funicolari e della più bella poesia mai scritta su Genova, ovvero Litania di Giorgio Caproni.

Sempre in ambito poetico non mi è piaciuto aver dimenticato Eugenio Montale premio Nobel per la Letteratura.

Mi sarebbe piaciuto che si raccontasse di Sarzano e Santa Maria di Castello dove tutto, circa 2500 anni fa, ebbe inizio.

Mi sarebbe piaciuto che si raccontasse l’epopea di Caffaro e Guglielmo Embriaco e delle imprese della Repubblica nelle Crociate.

Mi sarebbe piaciuto che si ricordassero i nostri straordinari ammiragli e condottieri.

Mi sarebbe piaciuto che dai caruggi trapelasse qualche, odore, aroma, profumo, al limite olezzo o refrescumme.

Mi sarebbe piaciuto che si raccontasse che San Giorgio è la banca più antica del mondo.

e che in Piazza Banchi è nato il termine bancarotta.

Mi sarebbe piaciuto che si raccontasse dell’unica corporazione tuttora riconosciuta, quella dei Caravana e del mito di Bartolomeo Pagano, il dannunziano Maciste.

Mi sarebbe piaciuto che si parlasse delle relazioni culturali e degli scambi commerciali con il mondo arabo.

Mi sarebbe piaciuto che si narrasse la potenza, la ricchezza, e la munificenza del Marchese De Ferrari e della Duchessa Maria Brignole Sale.

Mi sarebbe piaciuto che oltre a Colombo (per altro dimenticato) si facesse cenno alla scienza dei genovesi, ovvero la strumentazione nautica, la cartografia, le esplorazioni geografiche per conto di Spagna e Portogallo.

Mi sarebbe piaciuto che si desse più risalto all’incredibile patrimonio artistico delle nostre chiese e all’inarrivabile opulenza del Barocco secentesco genovese.

Mi sarebbe piaciuto che si ricordasse la primogenitura del capo d’abbigliamento più diffuso sul nostro pianeta, il blue jeans.

Mi sarebbe piaciuto, per quanto io lo adori, che si raccontasse come la scuola genovese non fosse solo De Andre’.

Mi sarebbe piaciuto ricordare il legame di Boccadasse con la Boca di Buenos Aires, i transatlantici e l’emigrazione.

Mi sarebbe piaciuto che si ricordasse quanto c’è di Genova nel Sud America.

Mi sarebbe piaciuto piuttosto che al posto della signora Shelley si fosse virato su autori come Dickens, Nietzsche o Valery che a Genova vissero davvero significative esperienze creative.

Mi sarebbe piaciuto che oltre a Mazzini, Bixio e Mameli si citassero anche Michele Novaro coautore dell’Inno e Jacopo Ruffini, martire della Giovine Italia.

Mi sarebbe piaciuto che oltre ai Rolli si facesse cenno anche al Palazzo Ducale.

Mi sarebbe piaciuto che, con rispetto parlando, al posto di Moana Pozzi si celebrasse, come sacro santo che fosse, Gilberto Govi il più grande attore nostrano e che si ricordasse che qui sono nati, fra gli altri, anche Vittorio Gassmann, Enzo Tortora, Alberto Lupo ed Emanuele Luzzati.

Mi sarebbe piaciuto che si raccontassero, a metà tra storia e fantasticheria, le gesta di G.B. Perasso, il ribelle Balilla.

Mi sarebbe piaciuto che si ricordassero la figura e l’umanità di Don Gallo.

Anche se mi è piaciuto come invece è stata approcciata la Resistenza forse la più potente diocesi dopo Roma, meritava con i cardinali Boetto e Siri qualche parola in più.
Almeno un pensiero poi per Remo Scappini comandante della piazza di Genova e per il primo Partigiano d’Italia, il Partigiano Bianco Aldo Gastaldi, il comandante Bisagno.

Mi sarebbe piaciuto che si ricordasse il più importante ospedale pediatrico del Paese e fra i primi nel Continente, il Gaslini.

Mi sarebbe piaciuto, visto che ho apparentemente “brontolato” finora si raccontasse la genesi del nostro esistenziale mugugno.

Genova è la città più bella del mondo diceva Čhechov e solo Napoli – aggiungo io – può reggere il confronto.

Magari, per questioni di tempo, non tutti ma certo alcuni di questi spunti avrebbero contribuito a rendere meglio anche ai foresti l’idea di Genova.

Genova è una madre burbera
che, da dietro le quinte, osserva orgogliosa i suoi figli e li protegge.

Ma si sa io sono di parte…

Genova 3 gennaio 2022.

Scorci di Canneto

L’origine del toponimo rimanda alla presenza dei cannicci che costeggiavano il tragitto che degradava dal Piano di S. Andrea al mare.

Fino al X secolo il Canneto segnava il confine dell’antico castrum ed era fiancheggiato dalle prime mura cittadine che proprio in quel periodo vennero ampliate per inglobare il palazzo Fieschi (futuro Ducale) e la Cattedrale.

Il budello che si immette nel ventre cittadino è tradizionale meta degli acquisti alimentari natalizi.

Numerosi sono gli spunti storici artistici che si possono cogliere in questo caruggio.

Ad esempio in questo scatto sul lato sinistro s’intravede il cinquecentesco sovrapporta del civ. 67a/r con San Giorgio che uccide il drago.

Di fronte invece si scorge il profilo del contemporaneo portale del palazzo De Franceschi al civ. 72r.

In copertina: Canneto il Lungo. Foto di Leti Gagge.

San Giorgio che uccide il drago in Via Canneto il Lungo 67a/r

In Via di Canneto il Lungo, all’angolo con vico Valoria, al civ. 67a/r si trova un portale di San Giorgio che uccide il drago.

La rappresentazione è quella classica con il santo a cavallo che proviene da destra e ai lati della scena angeli alati.

Particolare in alto a sinistra la principessa inginoccchiata tiene al guinzaglio il drago sdraiato.

Tale immagine deriva dalla narrazione del finale della Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine in cui il vescovo descrive l’ingresso nella città libica di Salem della principessa con il mostro.

Il santo infatti dopo aver ferito e sottomesso il drago ordina alle guardie di legare al collo della bestia la cintura della principessa.

Ella può così condurlo docilmente in città dove il popolo grato e festante si converte alla fede cristiana ed assiste euforico alla sua uccisione.

In copertina: San Giorgio che uccide il drago.