I cavolini alla panna, immancabili protagonisti delle tavole domenicali, sono uno dei dolci più apprezzati dai genovesi.
Già nel 1863 il Ratto nella sua celebre Cuciniera li cita come beignets ripieni di soffice panna montata e ne spiega la preparazione:
”Con un coltello fate un piccolo buco e introducetevi la panna montata o lo zabaione, spolverizzateli di zucchero. Serviteli freddi”.
Oggi i Cavulin, ormai per condivisa praticità, vengono realizzati con un taglio netto della parte superiore, che poi viene posta a cappello cosparsa di granella di zucchero su una godereccia nuvola di panna.
La vendita dei cavolini è assai diffusa sia nei bar e nei forni dolce salato che nelle più rinomate pasticcerie.
I Cavolini. Foto di Leti Gagge.
Accanto alla versione tradizionale a base solo di panna nel tempo se ne sono sviluppate altre che prevedono il bignè ripieno di crema, di zabaione, o di cioccolato e la sovrastante panna spruzzata di cacao in polvere o cannella.
“La vie n’est que de l’ennui ou de la crème fouettée”.
“La vita non è che noia o della panna montata”.
Cit. di Voltaire (filosofo francese 1694-1778).
In Copertina: I Cavulin protagonisti nel cabaret della Pasticceria San Sebastiano di Genova Quinto.
L’origine del toponimo rimanda alla presenza in loco di un’edicola, oggi scomparsa, intitolata alla Madonna della Salute.
Oltre che raccomandarsi alla Madonna i genovesi affidavano la tutela della salute pubblica al collegio di medicina e filosofi la cui corporazione aveva sede in vico della Scienza.
I medici dovevano indossare una veste talare e durante l’esercizio delle proprie funzioni muoversi sempre a cavallo.
Non potevano partecipare a funerali se non di parenti stretti o di qualche collega e in tal caso era prescritto loro di portare il lutto, per non impressionare i pazienti, non più di un mese.
In Copertina: Vico della Salute. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.
La piccola piazzetta sulla quale si affacciano eleganti palazzi, fra i quali quello cinquecentesco iscritto ai Rolli di Clemente, è intitolata al nobile casato dei della Rovere.
La famiglia orginaria di Savona si occupava di pesca e nel ‘400 si trasferì a Genova.
Fra i suoi membri si annoverano diversi cardinali, numerosi senatori della Repubblica di Genova e nel 1765 addirittura un Doge, Francesco Maria.
Ma senza dubbio il personaggio più illustre, fautore della loro fortuna e nobiltà, fu nel 1467 il cardinale Francesco passato alla storia nel 1471 con il nome di Papa Sisto IV.
A lui si deve la committenza della Cappella Sistina del Palazzo Apostolico di Roma (oggi parte dei Musei Vaticani) che durante il papato del nipote Giulio II verrà affrescata da Michelangelo.
La Grande Bellezza…
In Copertina: Piazza della Rovere e Palazzo Clemente della Rovere. Foto di Leti Gagge.
In via Lomellini n. 8 si trova il prestigioso palazzo Cosma Centurione, anche Durazzo Pallavicini dai suoi successivi proprietari.
Nell’atrio, adornato da colonne doriche, della settecentesca dimora si trova un ninfeo che, sormontato da una conchiglia sulla volta, rappresenta Diana cacciatrice.
In Copertina: atrio di Palazzo Centurione in via Lomellini n. 8. Foto di Stefano Eloggi.
Vico Mezzagalera fa parte di quel gruppo di caruggi in zona delle Erbe che ospitò l’ultimo ghetto ebraico cittadino (in precedenza al Molo e in zona di Porta dei Vacca).
La contrada fu quasi completamente distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e ricostruita, in maniera molto discutibile, in concomitanza delle Colombiadi.
In occasione degli scavi del 1992 furono ritrovate strutture murarie di epoca romana datate tra il I sec. a. C. e il I sec. d. C., una grande cisterna con relative condotte, un pozzo medievale, monete, ceramiche e soprattutto il famoso anfiteatro romano sottostante i Giardini Luzzati di Vico dei Tre Re Magi.
L’origine del toponimo rimanda alla presenza in loco di abitazioni che venivano ipotecate dalla Repubblica come garanzia per finanziare con denaro pubblico l’allestimento di navi di piccole dimensioni rispetto alle galee, dette appunto mezze galere.
In Copertina: Vico Mezzagalera. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.
L’origine del toponimo nulla ha a che vedere con questioni climatiche ma rimanda alla presenza in loco di un palazzo appartenente alla nobile famiglia dei Buontempo.
”Nebbia bassa, bon tempo a lascia”. Antico proverbio genovese.
In Copertina: Vico del Tempo Buono. Foto di Stefano Eloggi.
“Genova è una sorta di città di frontiera, con il mare e quindi le culture mediterranee di fronte, e l’Europa continentale alle spalle. E la mia città mentale è così anche verticale, dai monti al mare con tutto quello che ci sta in mezzo”.
Cit. Max Manfredi cantautore (Genova 1956).
In Copertina: Panorama genovese. Foto di Anna Armenise.
Furono a lungo signori di Varazze e Albissola prima di cederla dietro cospicuo compenso alla Repubblica.
Nel 1528 con la riforma degli Alberghi furono ascritti nei De Marini.
Il casato si è da secoli estinto ma la sua gloria si perpetua nel nome dell’isola canaria di Lanzarote intitolata a Lanzarotto (o Lanzerotto) l’esploratore che la scoprì nel 1312.
Non si hanno certezze sull’origine del toponimo del caruggio anche se si ipotizza, in virtù dei floridi commerci noti già dal XII secolo, derivi dal lucroso mercato di gemme con l’Oriente.
Si suppone quindi che qui avessero sede i laboratori e le botteghe di pietre preziose importate in città dai nostri mercanti.
Alcune di queste attività artigiane erano specializzate nel confezionare dei contenitori detti “arche” per custodire i gioielli.
Tali arche erano realizzate in ferro, ottone e legno di noce e decorate con elaborate incisioni.
In Copertina: Vico delle Pietre Preziose. Foto di Leti Gagge.