Furono a lungo signori di Varazze e Albissola prima di cederla dietro cospicuo compenso alla Repubblica.
Nel 1528 con la riforma degli Alberghi furono ascritti nei De Marini.
Il casato si è da secoli estinto ma la sua gloria si perpetua nel nome dell’isola canaria di Lanzarote intitolata a Lanzarotto (o Lanzerotto) l’esploratore che la scoprì nel 1312.
Non si hanno certezze sull’origine del toponimo del caruggio anche se si ipotizza, in virtù dei floridi commerci noti già dal XII secolo, derivi dal lucroso mercato di gemme con l’Oriente.
Si suppone quindi che qui avessero sede i laboratori e le botteghe di pietre preziose importate in città dai nostri mercanti.
Alcune di queste attività artigiane erano specializzate nel confezionare dei contenitori detti “arche” per custodire i gioielli.
Tali arche erano realizzate in ferro, ottone e legno di noce e decorate con elaborate incisioni.
In Copertina: Vico delle Pietre Preziose. Foto di Leti Gagge.
In Via San Luca all’angolo con vico del Serriglio si incontra un grande medaglione ovale in marmo.
La cornice è scolpita con cherubini alati e sulla mensola all base è inciso il motto SINE LABE.
La sei/settecentesca edicola in origine conteneva un dipinto di Madonna col Bambino oggi scomparso recentemente sostituita con una moderna immagine di Gesù.
In Copertina: Edicola in San Luca. Foto di Raffaele Repetto.
Prima della sua attribuzione al santo avvenuta nel 1868 il vicolo si chiamava vico dell’Amore ma già da tempo ospitava un oratorio a questi dedicato.
La modifica del toponimo è legata all’intitolazione da parte dei ragusei della cappella della chiesa di Santa Maria di Castello appunto a san Biagio nel 1581.
Costoro, visti i frequenti e proficui rapporti con la nostra città, avevano ottenuto di potervi erigere un altare per la propria comunità.
Biagio era infatti una figura molto amata e venerata dai marinai della Repubblica, odierna Dubrovnik in Croazia, di Ragusa.
Le navi dalmate che approdavano nel porto di Genova destinavano addirittura un obolo di quattro lire per il mantenimento della cappella.
Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana. Avendo costui guarito miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato come protettore per i mali di quella parte del corpo. Da ciò risale il rito della “benedizione della gola”, compiuto con due candele incrociate. Nell’VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie a Maratea (Potenza), di cui è patrono e dove è sorta una basilica sul Monte San Biagio.
A proposito dell’associazione santo gola Milano con il panettone e Genova con il pandolce sono legate da un’antica tradizione popolare che prevedeva di tenere da parte il giorno di Natale una fetta del dolce da consumare proprio il 3 febbraio festa di San Biagio, protettore della gola.
Il caruggio, prima della sua intitolazione al vescovo armeno avvenuta nel 1868, si chiamava vico dell’Amore perché pullulava di case di piacere.
Tra la targa del nome del vicolo e la finestra inferriata nell’intonaco scrostato si intravedono brani di antiche pietre e una loggia murata.
La Grande Bellezza…
In Copertina: Vico San Biagio. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.
Tra Via Lomellini a Via Cairoli si trovavano gli antichi laboratori di oreficeria. Ne sono curiosa testimonianza ancora oggi i toponimi di salita dell’Oro e dell’adiacente vico dell’Argento. Prima dell’apertura della via Nuovissima, odierna via Cairoli, il ” Caroggio dell’Oro”, si congiungeva con una curva alla salita dei Molini e finiva in San Siro.
Negli ultimi mesi del 2021 durante i lavori di preparazione per i la sistemazione del Museo della Città di Genova nella cinquecentesca Loggia dei Mercanti in Piazza Banchi è emerso uno straordinario ritrovamento archeologico.
“Ad oggi il cantiere di scavo condotto dalla Soprintendenza ha messo in evidenza due isolati della città medievale, sepolti al momento della costruzione della Loggia nel 1595, separati da vicoli e fiancheggiati da un’antica strada, corrispondente all’attuale via degli Orefici. L’eccezionalità del rinvenimento consiste nello straordinario stato di conservazione degli ambienti, sigillati al momento dell’abbandono: una bottega e un fondaco, conservato con elevati che superano i 3 m di altezza. Al loro interno le strutture di approvvigionamento idrico (condutture, canalizzazioni, pozzi e cisterne) e gli apprestamenti per le attività commerciali e artigianali (banconi che sostenevano tavolati di lavoro e di stoccaggio delle merci).
La lettura delle stratigrafie murarie consente di valutare come il primo impianto medievale possa risalire già alla metà del XII secolo, cui seguirono successive modifiche e ristrutturazioni fin quasi al momento della demolizione alla fine del ‘500. La ricerca d’archivio, ancora in corso, ha consentito di individuare la proprietà degli immobili appartenente ad antichi gruppi nobiliari (gli Usodimare, i De Nigro e gli Imperiale), e ricostruire la maglia insediativa di questo specifico settore della città, centro della vita economica e finanziaria, con le attività dei notai, dei cambi valuta e le vendite pubbliche all’asta, tra cui le famose compere del Banco di S. Giorgio.
Si tratta di un sito medievale di grande valore, collocato in un contesto urbano eccezionale, che lascia presagire ulteriori nuove e interessanti scoperte che permetteranno di arricchire la storia della città nelle epoche più remote: dagli scavi emergono infatti le prime strutture e i livelli di vita di epoca romana, ricchissimi di frammenti di anfore provenienti dalle navi che attraccavano in porto, testimonianza preziosa di come la zona di Banchi attraverso i secoli abbia svolto il fondamentale ruolo di crocevia strategico tra il porto e la città.”.
La descrizione, nelle parti a mio parere più significative, è presa dal sito del Comune di Genova:
Per tre giorni, a partire dal 17 febbraio, il sito sarà aperto al pubblico. Grazie ad Armando Pittaluga e Lorenza Rossi per la loro preziosa testimonianza fotografica.
Proprio il 17 febbraio del 2017 se ne andò il Professore che per primo intuì le straordinarie potenzialità della nostra città.
“Genova è un atto di prepotenza dell’uomo sull’ambiente naturale e ancora oggi sconta le conseguenze di questo atto. Essa infatti si è sviluppata per un fatto di posizione nodale rispetto alle correnti di traffico. Ma alla posizione corrispondeva un sito impossibile per una città. Senza terreni pianeggianti, ma pendii precipitosi verso il mare, senza entroterra che la potesse sostenere, la sua condizione normale non era dissimile a quella di una nave e si capisce come il popolo che questo sito selezionò fosse una razza di marinai, di commercianti, di finanzieri cioè di gente abituata a ricavare altrove il proprio sostentamento e il proprio guadagno o di sfruttare il traffico che doveva passare per questo porto. Un sicuro approdo per le merci che dalle altre sponde del Mediterraneo per le vie di oltregiogo transitavano verso i mercati della Valle Padana e dell’Europa centro occidentale o riprendevano per mare la rotta del nord Europa. E ancora adesso le possibilità di vita della città non devono essere basate su una abbondante disponibilità di terreno, ma sulle risorse umane”.
Cit. Cesare Fera architetto (1922-1995).
In Copertina: Genova vista da ponente sul monte Reixa. Foto di Andrea Polidori.
E’ vero a Genova non ha lasciato traccia del suo multiforme ingegno ma ciò non giustifica il fatto che Leon Battista Alberti sia uno dei genovesi, fra quelli illustri, più dimenticati.
L’umanista per eccellenza nasce infatti a Genova nel febbraio del 1404 da Lorenzo Alberti membro di una ricca famiglia di banchieri fiorentini in esilio e da Bianca Fieschi appartenente invece ad uno dei più antichi e potenti casati della Superba.
Leon Battista fu un genio poliedrico, una delle personalità più affascinanti del Rinascimento: scrittore, architetto, crittografo, matematico, filosofo, musicista, linguista e persino archeologo.
I suoi trattati il “De pictura”, il “De statua” e il “De re aedificatoria” cambieranno i canoni precedenti ed amplieranno gli orizzonti delle rispettive discipline: nel primo definisce il concetto di prospettiva, nel secondo conferisce dignità come opera dell’ingegno e non solo manuale alla scultura e nel terzo stila un manuale per l’edilizia pubblica e privata, sia civile che militare.
Le sue opere architettoniche più celebri sono: le facciate del Palazzo Rucellai e della Basilica di Santa Maria Novella, la cappella del santo Sepolcro nella chiesa di San Pancrazio a Firenze, i rifacimenti delle chiese di San Sebastiano e di S. Andrea a Mantova, il tempio malatestiano a Rimini.
“Ieri passò, domani non ha certezza. Vivi tu adonque oggi”.
Cit da “Sentenze pitagoriche”. Leon Battista Alberti (Genova 14/18 febbraio 1404 – Roma 20/25 aprile 1472).
In Copertina: Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli Uffizi a Firenze.