Oggi sono stato ospite del Principe, questi impeccabile nella sua uniforme nera di ammiraglio supremo, da buon anfitrione mi ha accompagnato nostalgico lungo i suoi giardini.
Mentre passeggiavamo mi ha raccontato della sua fontana preferita (a lui dedicata da Gianandrea), quella che lo rappresenta come una sorta di Dio Nettuno;
delle terrazze che, un tempo, degradavano fino al mare dove, al posto della Stazione marittima, v’era la Porta di San Tommaso, l’accesso all’Arsenale.
Qui sempre erano ormeggiate almeno dodici galee in assetto da guerra, pronte a salpare in ogni stagione per difendere Genova:
come quella volta in cui l’aveva liberata dai Francesi con l’impresa della Briglia, rifiutandone la signoria “perché Genova è nata libera e libera deve restare”.
Dove, al posto delle navi da crociera, era attraccata la sua quadrireme, la nave piu grande del globo al servizio, come la sua temibile flotta, di Francia prima e Spagna poi… mi ha ricordato che i terreni della sua Villa fuori le mura scollinavano fino al Lagaccio (lago artificiale da lui fatto costruire per essere autonomo in caso di assedio), che al posto del Miramare c’erano orti, frutteti, altri giardini, un parco e tanta cacciagione.
Poi mi ha preso paternamente sotto braccio e mi ha condotto all’interno della sua lussuosa dimora per la costruzione della quale – dice – ha ingaggiato il miglior artista del suo tempo, Perin del Vaga.
Mi ha mostrato orgoglioso, da energico “pater familias”, la loggia degli Eroi, un tributo di affreschi ad Ansaldo, Martino, Oberto, Lamba, Pagano… gli illustri avi della Casata.
E poi mi ha spiegato, nella sala dei Giganti, la storia di Alessandro Magno, immortalata nei preziosi drappeggi degli arazzi fiamminghi, gli stessi arazzi che invece, in un altra sala, descrivono le imprese di Lepanto del suo futuro erede, il pronipote Giovanni Andrea Doria.
L’ammiraglio si è poi commosso nel rivivere la scomparsa dell’adorato nipote Giannettino, durante la sciagurata e scampata congiura dei Fieschi.
Il condottiero non ha poi nascosto tutto il suo amor proprio nel rivedere i ritratti che lo raffiguravano ancora giovane e fiero in tutto il suo autorevole metro e novanta… anche se, ce n’è uno che lo ritrae, ormai anziano, con il suo gatto Dragut (chiamato così in onore del Corsaro suo nemico), quasi come fosse un comune mortale.
Immerso quindi nei ricordi di una vita lunga novantaquattro anni, si è emozionato nel raccontare del suo amore per donna Peretta, la sua sposa e, per darsi un contegno, mi ha indicato anche, vicino ad un gigantesco camino in pietra di Promontorio, il quadro del Roldano il fedele cane molosso donato dall’imperatore Filippo II a Giovanni Andrea, in segno di amicizia e alleanza fra i due Stati.
Un animale così amorevole e fedele da meritarsi la sepoltura sotto la Statua del Gigante (una statua di circa otto metri scolpita con le fattezze di Carlo V come se fosse Giove voluta anch’essa dal pronipote Gianandrea) che un tempo si stagliava a monte della villa… e poi mi ha aperto le porte di stanze lussuose e confortevoli ben separate – mi raccomando – precisa, fra uomini e donne… che ognuno si occupi delle proprie faccende e non interferisca in quelle altrui.
Ormai stanco si è seduto vicino a me nella sala Aurea dove, al posto degli odierni turisti, erano ospitati un tempo, elenca, i re di Spagna, di Francia e di mezza Europa, per i quali -ricorda- si apparecchiavano pantagruelici banchetti e inscenavano festosi ricevimenti… il tutto vegliati da onnipresenti aquile nere, il millenario simbolo araldico della famiglia.
Nere come l’abito che Andrea, salutandomi, indossava ancora con nobile portamento.
A presto Signore del mare… tornerò ancora a trovarti e ad ascoltare le tue storie….
In Copertina: Camera da letto con il Pregadio degli ambienti privati degli eredi Doria Pamphili.