… Quando Via Gramsci…

si chiamava ancora Carlo Alberto… quando Torre Morchi non aveva dovuto ancora assistere sgomenta e impotente alla costruzione dell’orrendo palazzone sul fronte mare… quando non era difficile intuire perché la strada intitolata al Re sabaudo era nominata “la Carrettiera”… quando in mezzo alla via circolavano cavalli, muli e asini… rispetto ad oggi non è cambiato molto… solo agli asini quadrupedi si sono sostituiti quelli a due o quattro ruote….

“Appena scesa alla stazione…

… del paesino di S. Ilario, tutti s’accorsero con uno sguardo che non si trattava di un missionario…..
persino il Parroco che non disprezza, fra un miserere e un’estrema unzione, il bene effimero della bellezza, la vuole accanto in processione e con la Vergine in prima fila e Bocca di Rosa poco lontano, si porta a spasso per il Paese, l’amore sacro e l’amore profano.”… (Cit da Bocca di Rosa di Fabrizio De André)
e, là in fondo sdraiato, l’ineguagliabile Promontorio di Portofino, a giusta corona….

Cartolina tratta dalla Collezione di Stefano Finauri.

… “Se ti inoltrerai…

…. “lungo le calate dei vecchi moli, in quell’aria carica di sale, gonfia di odori, lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano, quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese, ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”.
(Cit. La Citta’ Vecchia di Fabrizio De André)….
51 anni fa Il Poeta scriveva il Quinto Vangelo…
Genova, Settembre 2016

… Quando sotto il castello Mackenzie…

c’era la Porta di San Bartolomeo… uno dei varchi minori aperti fra il 1626 e il 1639 durante l’erezione delle Mura Nuove… era dotata di un ingegnoso ponte levatoio e doveva il suo nome alla vicinanza con l’omonima chiesa degli Armeni, intitolata appunto all’apostolo Bartolomeo (la chiesa che custodisce il “Sacro Mandillo”).
Oggi la Porta sconosciuta ai più, raggiungibile da una stradina fra il castello e Via Cabella, giace tristemente dimenticata, in uno stato di incuria latente, confusa con un anonimo sottopasso.

San Bartolomeo
“La Porta così com’è oggi, sembra un anonimo tunnel abbandonato.”

 

… Quando a Murta…

fin dall’epoca romana, l’origine dell’etimo rimandava al mirto (murtin in genovese) che su questa collina cresceva spontaneo… quando Murta era orgogliosa di aver dato i natali a Giovanni, secondo Doge della Repubblica… quando alcuni suoi figli si distinsero contro i Pisani alla Meloria e, come sulle principali chiese genovesi, ne appesero le catene del porto, a mò di trofeo sulla loro…
San Martino Murta
“Chiesa di San Martino Monumento ai caduti”.
quando, in seguito all’insurrezione del 1746, i polceveraschi cacciarono gli austriaci dalla valle… quando lo Schulemberg, generale delle aquile bicipiti occupò Villa Clorinda, attendendo invano di riprendersi Genova… quando il parroco del paese mise al sicuro dal saccheggio foresto la Pala di San Martino opera del Van Dick… quando la comunità, prima in Liguria a farlo, volle omaggiare, con apposito monumento, i propri caduti durante la prima guerra mondiale… la collina di Murta, a partire dall’800 è stata, come testimoniano le sue numerose ed eleganti dimore, meta di villeggiatura estiva… oggi, tra una mostra della zucca e l’altra, è una apprezzata e ricercata zona residenziale immersa in un bucolico contesto…
Cartolina di copertina tratta dalla collezione di Stefano Finauri.

… Il Colonnello Cody…

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“Il circo di Buffalo Bill.”

Quando nel marzo 1906 il Colonnello Cody scese a capo della sua variegata spedizione alla stazione ferroviaria di Terralba, cinque treni speciali, circa cinquanta vagoni, cinquecento cinquanta cavalli, di cui cinquanta Mustang selvaggi e oltre ottocento figuranti…

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“La costruzione dell’accampamento indiano … la spianata come fosse la prateria e il Bisagno il Sand Creek.” Cartolina tratta dalla “Collezione di stefano Finauri”.
quando il Bisagno sembrava il Fiume Sand Creek, attraversato dal singolare corteo (indiani d’America, messicani, cosacchi, cow boys, amazzoni) diretto ad accamparsi sulla spianata di Piazza delle Armi…
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“Spettacoli equestri”.

quando per tre giorni il circo di Buffalo Bill entusiasmò i genovesi che, a causa del tutto esaurito, per assistere allo spettacolo, si assieparono lungo le Mura di Santa Chiara;  giochi equestri, gare di abilità, prove di destrezza e scenografiche rappresentazioni, come la rievocazione dello sterminio di Little Big Horn del settimo Cavalleria del Generale Custer…
quando… nel 1992 Faber

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“Il colonnello Cody, ovvero Buffalo Bill, appena approdato alla stazione di Terralba.”

rinunciò a salire sul palco a fianco di Bob Dylan e alla visibilità di un tale evento preferì il rispetto per i Nativi… “fu un generale di vent’anni, occhi turchini e giacca uguale…” (Cit. da Fiume Sand Creek) cantava il Poeta e Genova comprese che non era più il tempo dei circhi….

 

 

 

 

 

 

Storia del terribile…

Sacco di Genova… di un Papa… e di un perdono non concesso “Nec possum, nec volo, nec debeo”….
Nell’anno del Signore 1522 Genova, ancora sotto l’influenza francese, divenne obiettivo spagnolo e subì l’onta dell’occupazione e del saccheggio.
A parte San Lorenzo, qualche altra chiesa, San Giorgio, la Dogana e il Porto non vi fu abitazione o luogo sacro che non venisse violato.
Causa di tale violenza fu l’esasperazione dei comandanti imperiali di fronte al protrarsi delle trattative di pace.
Infatti la sera del 30 maggio i dodici ambasciatori genovesi, inviati per concordare la resa, posero troppi vincoli cosicché Prospero Colonna, Francesco Sforza, i Fieschi fuoriusciti e il Marchese Pescara, senza remore, assaltarono e devastarono la città.
Alcuni mesi più tardi il neo eletto Papa Adriano VI passando da Genova e osservando la miseria in cui era caduta la Superba negò l’assoluzione richiesta dal Pescara e dal Colonna per il loro misfatto.
“Non posso, nè voglio, nè lo debbo”…
queste furono le sue lapidarie parole…

Storia di un pozzo…

 … e del Giano Bifronte…
Collocato al centro della Piazza di Sarzano alla confluenza con Via Ravecca, il pozzo eretto nel 1583 ad opera di Bartolomeo Bianco (celebre architetto operante in Via Aurea), un tempo si trovava davanti alla vicina chiesa di San Salvatore.
Nel ‘800 fu il Resasco (storico ideatore del cimitero monumentale di Staglieno) a spostarlo, insieme al busto, nella posizione attuale.

Il busto di Giano Bifronte infatti è attribuito alla perizia della famiglia Della Porta, noti scultori lombardi che l’avevano concepito per la fontana dei Vacchero, in Via del Campo.
L’originale, approdato dopo varie traslazioni, in cima al pozzo è custodito nel Museo Civico di Sant’Agostino, quello esposto è una fedele copia.
Già nel ‘300 la zona era utilizzata per la lavorazione delle sartie e del cordame navale, attività che necessitavano di molta acqua.

“Il Pozzo”. Foto di Bruno Mangini.

Per questo la Piazza era dotata di due cisterne utili anche, in caso di assedio, a garantire l’autonomia della città; una era posta sotto l’attuale chiesa di S. Salvatore l’altra, appunto, in corrispondenza del tempio di Giano.
Il Dio bifronte ha triplice origine orientale, greca e romana e simboleggia i nobili natali rivendicati dalla Dominante prima, Superba, poi.
Una faccia rivolta al mare, una ai monti, due facce speculari come il seno di Giano primitivo approdo della Genova medievale, che stringe a se il mare in un materno e rassicurante abbraccio.

In Copertina: il Pozzo di Sarzano. Foto di Stefano Eloggi.

Storia di una Moschea… anzi due… prima parte…

forse sei… di un Imam… di galee…
Già almeno dal ‘200 la Dominante aveva concesso libertà di culto agli arabi di stanza o di passaggio in città.
Come testimoniato dalla Sura scolpita in cufico presente nella Cattedrale di S. Maria in Castello, i rapporti fra le due culture, nonostante le continue guerre e scorribande sulle due sponde del “mare nostrum”, sono sempre stati proficui e tolleranti.
Oltre che mercanti a Genova non mancavano scribi, traduttori e agronomi musulmani.
Probabilmente già da prima, ma sicuramente dal ‘600, gli infedeli avevano ottenuto il permesso di edificare una moschea nel cuore della Superba, proprio davanti alla Darsena (darsena deriva dall’arabo e significa “casa del lavoro”) presso l’attuale palazzo di Scio (Facoltà di Economia).
Oggi i resti di una colonna del Tempio, in pietra di Promontorio, delimitano un’aula del complesso chiamata, appunto, “sala della Moschea”.
Secondo alcune fonti le moschee sarebbero state addirittura sei ma i documenti accreditati raccontano di due; oltre a quella di cui resta traccia la colonna si sa di un altro luogo di culto, sempre in porto, ma di epoca posteriore (‘700) all’altezza dell’attuale depuratore.
Nel ‘700 gli arabi ottennero persino un quartiere tutto loro, ubicato vicino alla spiaggia della Foce, dove esercitare anche il diritto di sepoltura.

“Piazza Caricamento… il momento della preghiera… Genova negli anni ’70 fu la prima città italiana a permettere la costruzione delle moschee… Oggi nel centro, anche se in forme e dimensioni diverse, ve ne sono almeno una decina”.


Nella capitale del Mediterraneo minareti e muezzin convivevano con campanili e Cardinali;  ma le regole erano ben chiare e non c’era perdono per la disobbedienza,
la durezza delle galee genovesi fungeva da ottimo deterrente
a tal punto da far annotare nei suoi appunti, ancora nel 1785, allo scrittore francese Dupaty:

“Ma cos’è questa specie di prigione… com’è bassa, oscura e umida!.. Che animali sono questi qui coricati per terra… non mangiano altro che pane duro e nero? non bevono che acqua putrida e fangosa?… da quanto si trovano in questa condizione?… almeno vent’anni… Come li chiamate voi?… miserabili Turchi…”
“Tuttavia i Genovesi hanno dato un esempio di tolleranza… hanno accordato a questi Turchi una Moschea.
Turchi che ho visto contendersi gli avanzi del cibo ai cani.
In Francia i Protestanti non hanno templi…
Genova, i tuoi palazzi non sono abbastanza alti, né abbastanza ampli, né abbastanza numerosi, né abbastanza splendenti: si distinguono le tue galee…
fine prima parte continua…

 

Link utili:

Santa Maria di Castello

Storia di una Moschea… anzi due… seconda parte…

 forse sei… di un Imam… e di galee…
Si sa per certo che, in pieno ‘700, la comunità islamica incaricò il proprio Imam della Darsena, dai genovesi per scherno soprannominato “Papasso”, perché mediasse con le autorità cittadine.
Nel 1739 questi, stanco di non essere ascoltato, scrisse una lettera al Bey di Tunisi denunciando che: “a Turchi qui schiavi non si permetteva l’esercizio della loro fede, ai vecchi impossibilitati al travaglio non si desse da mangiare, agli infermi non si prestasse assistenza et anzi che per forza si facessero fare Christiani e che, per ultimo, li detti schiavi erano necessitati di pagare per essere sepolti.
E che per questo si apprestassero a Christiani schiavi in Tunisi i più inumani trattamenti.”
Della missiva venne a conoscenza padre Serrano, amministratore dell’ospedale di Tunisi, il quale subito ne informò del contenuto il Magistrato delle Galee di Genova.
Costui furibondo, temendo un incidente diplomatico, predispose un documento di smentita da far firmare a tutti gli schiavi della Darsena.
Istigati dal Papasso, che pure ne ammise la veridicità, nessuno lo sottoscrisse almeno fino a quando, parole dell’Imam, “a vantaggio degli schiavi, non gli si accordasse quanto voleva, sapendo quello che i Christiani passano in Algeri, e che se li Genovesi tratteranno male li schiavi Turchi, faranno essi peggio a Christiani”.
Il Papasso presentò così un vero e proprio decalogo di richieste:
Primo. “la costruzione di una nuova e più grande Moschea il cui accesso fosse interdetto al Magistrato delle galee.

moschea
“Fotomontaggio provocatori0 del Secolo XIX che immagina la nuova Moschea, con tanto di Minareto, all’Expo, cuore del Porto Antico.”

Secondo. permesso a tutti gli schiavi di andare in “branca” (gruppo in catene), sorvegliati dalla guardia, a vendere in Riviera per poi rientrare alla sera.
Terzo. di tenere magazzini in Sottoripa e sul piano di S. Andrea e di poter vendere qualunque mercanzia in giro per la città.
Quarto. proibire alle guardie di perquisirli al rientro presso le loro baracche e di arrestarli nel caso in cui fossero stati trovati in possesso di acquavite.
Quinto. Che in Genova, Corsica e nelle Riviere gli schiavi “in branca” si potessero muovere senza limitazione alcuna di tempo e numero.
Sesto. il permesso di andare all’ospedale, starvi tutto il giorno a servire gli schiavi infermi, vegliando che non si convertissero in Christiani.
Settimo. quando uno schiavo turco moriva chiedeva che non si pagasse per la sepoltura né il lavoro degli addetti che dall’ospedale trasportavano il cadavere in Darsena.
Ottavo. che si lasciasse immediatamente libero lo schiavo che pagava il riscatto.

"Ricostruzione con la Moschea in primo piano e, sullo sfondo la Lanterna. Lo skyline potrebbe essere molto simile a quello di Instanbul."
“Ricostruzione con la Moschea in primo piano e, sullo sfondo la Lanterna.
Lo skyline potrebbe essere molto simile a quello di Istanbul.”

Nono. “che gli si accordassero le cose necessarie, e che se gli si mancava di parola avrebbe saputo cosa fare, avendo in Turchia credito la sua lettera, e non quella degli altri schiavi.”
Decimo. concludeva infine minacciando che a Tunisi e ad Algeri, finché le sue richieste non fossero state accolte, i Christiani sarebbero rimasti in miserevole condizione.” … fine seconda parte… continua….

In Copertina: La Moschea Blu di Istanbul con i suoi suggestivi minareti.