Il 10 maggio del 1625 alla guida di 8000 soldati il Duca Carlo Emanuele I di Savoia si presentò, dopo aver occupato la Riviera di ponente e le località al confine fra i due Stati (attuale basso Piemonte), alle porte di Genova.
La Repubblica era allo stremo e non poté far altro che inviare sul passo del Pertuso, presso Mignanego, dove erano giunti gli occupanti, uno sparuto drappello di soldati comandati dal Commissario d’armi Stefano Spinola.
A questi si unirono numerosi volontari della Valpolcevera guidati dal parroco di Montanesi Giovanni Maria Lucchesi e alcuni banditi, a cui era stata promessa la grazia, comandati dal brigante Giambattista Marigliano.
Al parroco apparve in sogno la Madonna che lo avrebbe rassicurato in merito all’esito della battaglia.
Ottomila invasori vennero così respinti da poche centinaia di patrioti.
Sul luogo dell’epico scontro i Genovesi vollero erigere immediatamente un Santuario a ringraziamento che ricordasse l’impresa e onorasse la Madonna protettrice nel frattempo, nel 1637, eletta Regina.
Nel 1654 il complesso venne ampliato e la Repubblica donò al Santuario la Pala, commissionata a Tommaso Orsolino, raffigurante la Madonna in mezzo ai Santi protettori della Superba, con nella mano sinistra la palma della Vittoria, in quella destra il Bambinello con il Vessillo di Genova.
In realtà i Genovesi trionfarono ovviamente non per intervento divino ma perché, alla notizia che le navi spagnole erano arrivate in porto anticipando quelle francesi e che 20000 iberici guidati dal Duca Feria stavano marciando verso il Passo, erano sorti dissidi fra il Duca piemontese e il Generale transalpino alleato il Lesdiguieres.
In seguito a questo scampato pericolo i nostri avi deliberarono la costruzione delle Mura Nuove del 1639 che avrebbero garantito maggiore e adeguata protezione alla città.
Un secolo più tardi, quando tutta la valle venne occupata dagli austriaci il Santuario subì gravi danni e i valligiani stessi, per non lasciarlo in mano nemica, contribuirono alla sua demolizione.
Si salvarono solo la sacrestia, l’altare con la Pala, il campanile e gli arredi sacri portati al sicuro a Serra Riccò dal parroco.
Una volta ricostruito, a partire dal 1751, divenne il simbolo della Libertà dall’occupazione straniera e meta di pellegrinaggi di reduci della Prima Guerra Mondiale.
Il Generale Armando Diaz in persona, Capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano nel 1919 donò, esposto tuttora sul sagrato, un obice austriaco e sul muro del campanile fece incastonare il suo bollettino della Vittoria del novembre 1918.
Piemontesi, francesi, spagnoli, austriaci e poi ancora austriaci, in un intreccio lungo quasi trecento anni non poteva mancare anche il ricordo dell’apporto all’ultima guerra di Liberazione, quello della Brigata partigiana di Serra Riccò che, al pezzo di artiglieria austriaca, ha affiancato un cannone anticarro strappato ai tedeschi.
… “Fino alla Vittoria… sempre”.