In Via Santa Croce, vicino al sito dove sorgeva l’omonima Porta, fa bella mostra di sé questo portale in ardesia, ricostruito recentemente su modello dell’originale cinquecentesco.
Il motto “flangar non flectar” (Mi spezzerò ma non mi piegherò) rispecchia, a mio modo di vedere, lo spirito con cui Genova ha sempre affrontato le dominazioni e le umiliazioni patite.
Il sovrastante stemma nobiliare invece rappresenta un’aquila a due teste che regge con le zampe un globo ed una fiaccola.
E’ l’insegna della Casata degli Spinola famiglia che, insieme a quella dei Doria faceva parte della fazione Imperiale, chiamata a Genova dei “Mascherati”.
I filo papali invece si chiamavano “Rampini”, fra le loro fila militavano, anche se la divisione non è così schematica ed assoluta, Fieschi e Grimaldi.
Frank “The Voice” Sinatra, di padre siciliano e madre genovese (di Rossi di Lumarzo) era un grande amante di Genova e del Genoa.
Non perdeva occasione la domenica, terminato di assistere alle partite di baseball, di chiamare in Liguria per sapere cosa avesse fatto il suo amato Grifone.
Sinatra infatti, a causa del suo forte legame materno, ha sempre considerato Genova la propria patria. Quando era in tournée in Italia faceva di tutto per capitare in città e cenare da “Zeffirino” del quale esportò il pesto negli States.
Quando morì nel 1998, in suo onore, Las Vegas spense le luci una notte intera e New York illuminò di azzurro (il colore dei suoi leggendari occhi) l’Empire State Building.
Interrogata in proposito la figlia, per sapere se Frank avrebbe apprezzato, costei rispose:
“Certo che si, ma se avessero proiettato le luci rossoblù, papà avrebbe gradito ancor di più…”.
The Voice volle affrontare infatti “l’ultimo Viaggio” per raggiungere, stella fra le stelle, il suo posto nel firmamento indossando una cravatta rossoblù.
Il 28 giugno 1960 i partiti antifascisti si coalizzano per difendere la Costituzione ed impedire che il Movimento Sociale Italiano organizzi a Genova il proprio Congresso Nazionale.
Il Presidente onorario di tal partito sarebbe dovuto essere Basile, in epoca fascista Prefetto per le Deportazioni.
A pronunciare il discorso contro il neonato fascismo è Sandro Pertini.
Il 30 giugno viene indetto lo Sciopero Generale a partire dalle 15 fino alla fine dei turni di lavoro.
Si forma così un Corteo di alcune migliaia di persone con destinazione Piazza della Vittoria.
Al termine della Manifestazione gran parte dei dimostranti risale verso Piazza De Ferrari dove sono schierate in assetto antisommossa le Forze dell’Ordine.Gli scontri sono violenti e durano circa due ore fino a quando il Presidente dell’Anpi Giorgio Gimelli e il Questore della città concordano la ritirata delle Forze di Polizia.Ovviamente il Congresso del Partito non si terrà più a Genova e, conseguenza di questo smacco, a Roma cadrà il Governo Tambroni. Una pagina memorabile della nostra Storia, un motivo in più per non dimenticare, per essere orgogliosi e fieri della nostra diversità…
D’altra parte così ci definiva il Sommo Dante: “Ahi genovesi, uomini diversi…..”.
L’11 gennaio 1999 Genova rimaneva orfana del suo figlio più devoto….
Il Poeta capace di comporre la più bella lirica per noi che amiamo questa città:
“Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sa che a ne liga e a ne porta nte ‘na Creuza de ma”(padrone di una corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare).
Nulla, meglio di questi versi intrisi di salsedine, riesce a descrivere duemila anni della nostra cultura.
Faber dipinge con le note e scolpisce con le parole.
A noi non resta altro che, a questa “corda marsa d’aegua e de sa”, rimanere ben ancorati.
storia di un celebre scrittore anglosassone… prodigo di ammirazione per le dame genovesi…
“Mi piacerebbe restare qui, preferirei non proseguire oltre.
Può darsi che vi siano in Europa donne più graziose, ma io ne dubito.
La popolazione di Genova è di centoventi mila anime: di queste due terzi sono donne e, almeno due terzi delle donne, sono belle, ben vestite, fini e leggiadre quanto si può senza essere angeli.
Gli angeli però, non sono molto ben vestiti, mi pare almeno quelli dei dipinti; non hanno che ali.
Queste donne genovesi sono incantevoli.
La maggior parte di queste damigelle sono vestite di una bianca nube dalla testa ai piedi, sebbene molte si adornino in una maniera più complicata, nove su dieci non hanno sul capo altro che un sottile velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia.
Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri, ma più spesso si vedono neri occhi mediterranei e sognanti occhi castani.”
In “Innocenti all’estero” del 1867 questo il dolce ricordo femminile dell’autore delle “Avventure di Tom Sawyer”, Mark Twain.
storia di un poeta, anzi del Poeta romantico… e di un magico notturno genovese…
“Questa città antica senza antichità, raccolta senza intimità e sudicia oltre ogni limite.
È costruita su una roccia, ai piedi di un anfiteatro di montagne che quasi abbracciano il più bello dei golfi.
I Genovesi hanno ricevuto dalla natura il porto migliore e più sicuro.
Poichè, come ho detto, tutta la città è costruita su un unico blocco di roccia, i Genovesi per sfruttare lo spazio, hanno costruito case altissime e strade strettissime, cosicché quelle sono quasi tutte buie, e solo in due di queste può passare una carrozza”.
Così apparve nel 1828 Genova agli occhi del poeta Heinrich Heine, massimo esponente del Romanticismo tedesco.
Ancor più intrigante è la sua visione notturna della città:
“Vista dal mare, specialmente verso sera, la città sembra più bella.
Giace sulla riva come lo scheletro imbiancato di un animale gigantesco vomitato dal mare, formiche nere che si chiamano Genovesi, vi strisciano sopra, onde azzurre lo bagnano e il loro sciacquio sembra una ninna nanna; la luna, occhio pallido della notte, guarda dall’alto malinconica”.
Questa è la nenia più dolce che tu possa sentire….
storia del Divin Poeta, di una stirpe a questi ostile… e di ligustiche ispirazioni…
Fra le numerose tappe del suo lungo esilio, probabilmente nel 1311, Dante fu ospite a Genova e in Liguria.
Qui incontrò l’imperatore Arrigo VII nel quale riponeva le speranze di veder realizzato il suo sogno politico delle due autorità, quella pontificia e imperiale, destinate a sovrintendere le “humanae cose” per il bene comune.
A differenza di quanto accaduto in altre città, Dante a Genova però non si sentì né apprezzato né ben voluto, anzi rivide nelle locali fazioni dei Rampini e Mascherati le stesse scellerate litigiosità dei Guelfi e Ghibellini fiorentini.
Nell’Inferno fra i traditori pose, infatti, Branca Doria ancor vivo, reo di aver fatto a pezzi il suocero Michele Zanchè per impadronirsi dei suoi possedimenti sardi.
Come racconta il Foglietta nei suoi resoconti il Poeta, giunto nella Dominante, “fu solennemente bastonato sulla pubblica via dagli amici e dai servi di Brancaleone.
Da questa offesa, non potendo il Sommo, vendicarsi con le mani, si vendicò con le parole e la penna”.
Da qui la celebre invettiva scolpita nel Canto XXIII dell’Inferno, versi 151-153:
“Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogni magagna,
perché non siete voi del mondo spersi?”.
Il “Ghibellin fuggiasco” prende inoltre a modello, dopo averla attraversata entrandovi da Lerici, l’aspra nostra terra, per descrivere la montagna del Purgatorio:
“Tra Lerice e Turbia la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole ed aperta”.
(Canto III del Purgatorio, verso 49-51).
Proseguendo verso Genova Dante s’imbatte infine nella splendida foce del fiume Entella così descritta:
“Intra Siestri e Chiaveri s’adima
una fiumana bella….”
(Canto XIX del Purgatorio, versi 100-101).
La più antica cattedrale cittadina era l’odierna chiesa di S. Siro fondata, fuori le Mura, nel lV sec d.C. con il nome di Dodici Apostoli.
In seguito al miracolo di Siro, il Vescovo della cacciata del basilisco, la basilica ne assunse il nome. Causa le continue scorrerie piratesche il luogo di culto fuori porta non venne più ritenuto sicuro e si deliberò di adottare due sedi in contemporanea.
Si decise così di spostare in estate (periodo favorevole alla navigazione e ai probabili saccheggi) la sede vescovile in San Lorenzo, all’interno della cinta muraria e di mantenere S. Siro come dimora invernale. L’alternanza durò fino al 1006 anno in cui S. Siro cessò la sua funzione di cattedrale rinunciando al suo titolo in favore di San Lorenzo.
Dal 1007 nel gioco delle alternanze, nel ruolo di sede estiva a S. Siro subentrò S. Maria di Castello che manterrà tale privilegio per tutto il secolo.
Di fatto però, già nel 1098, a suggellare l’ormai acclarata supremazia di S. Lorenzo, come definitivo centro di potere ecclesiastico GuglielmoEmbriaco, di ritorno dalle Crociate, vi consegnerà il bottino di guerra e le ceneri del Battista. Sarà Papa Gelasio II nel 1118 a consacrare ufficialmente S. Lorenzo come cattedrale di Genova.
In Copertina: La Cattedrale di San Lorenzo. Foto di Leti Gagge.
A testimonianza dei molteplici rapporti con il mondo musulmano molti palazzi genovesi presentano rivestimenti di stile moresco.
Gli azulejos, dall’arabo “al zulaycha” che letteralmente significa “piccole pietre policrome”, sono piastrelle caratterizzate da motivi geometrici in rilievo, di origine orientale.
Giunsero a Genova nel’400 importati da Spagna e Portogallo.
In voga presso le principali famiglie genovesi gli azulejos mutarono i loro disegni lineari in motivi floreali e in composizioni figurative composte da più piastrelle.
Si incominciò anche a produrli anche in loco e vennero chiamati, dall’arabo “zullaygiun”, laggioni.
Passati di moda, vennero distrutti, intonacati o dimenticati.
Qualcosa però si è salvato e si possono ancora ammirare, ad esempio, nella sala del Capitano del Popolo, nel Palazzo di S.Giorgio, nella Cappella Botto in S. Maria di Castello, nella dimora di A. Doria in S. Matteo, nel Museo di S. Agostino e nel Palazzo Di Negro in Piazza della Lepre.