Complesso conventuale eretto nel 1305 dai monaci Cistercensi come ci ricorda una lapide, posta all’ingresso del chiostro dedicata al suo fondatore, Bongiunta Valente.
La piazza, protetta dai frastuoni e dal traffico quotidiano è un luogo dell’anima dove anche il tempo entra in punta di piedi perché ha paura di disturbare, di interrompere l’incanto.
Sulla lunetta un affresco con Madonna e bambino e S. Bartolomeo con in una mano un libro e nell’altra un coltello, a simboleggiare la supremazia della cultura sulla violenza.
Al suo interno, in pieno degrado, opere di artisti minori della scuola genovese.
In epoca napoleonica la chiesa venne requisita dalle truppe francesi e adibita a stalla, il chiostro a caserma.
Cessata l’indipendenza della Repubblica il complesso è stato sconsacrato, in parte inglobato dalle abitazioni circostanti, in parte utilizzato come teatro e luogo ricreativo.
Dal 1992 il grattacielo, noto come il “Matitone” è entrato a far parte del panorama portuale cittadino. Alto 109 metri e suddiviso in ventisei piani, un vero e proprio girone dantesco per gli utenti degli uffici del Comune e dei Servizi di Edilizia, Privata e Urbanistica, che rimbalzano da uno sportello all’altro come in un moderno cerchio infernale.
Deve il suo nome alla singolare forma ottagonale che lo caratterizza, un omaggio, una citazione dell’antico campanile medioevale della parrocchia di S. Donato, ricavato da una torre nolare a triplo ordine di bifore (il terzo ordine aggiunto in seguito ai restauri di fine ‘800).
figlio della Superba… condottiero di Spagna… terrore del Continente…
Ciò che rappresentò nel ‘500 l’Ammiraglio Andrea Doria per mare fu, per terra, nel ‘600 il Generale Ambrogio Spinola.
Il nobile genovese, entrato a servizio degli spagnoli, contribuì ad aumentarne la potenza e la gloria combattendo in tutta Europa, in particolare nei Paesi Bassi, dove le sue qualità di sublime stratega gli valsero unanimi riconoscimenti.
Molte furono le sue imprese, quella della presa di Breda, la più celebre.
Lo scrittore Don Pedro Calderon dedicò, infatti, a questo accadimento una commedia intitolata, appunto, “l’assedio di Breda” in cui il condottiero, al culmine del successo, rivolgeva il suo pensiero alla Superba in difficoltà… (lontana e assediata dai piemontesi)…
“Genova (timoroso leggo) è oppressa dal Duca di Savoia…
Mi perdoni il valore, l’invidia
mi perdoni, se m’intenerisce questa notizia, che a volte è valore la tenerezza;
e la mia patria, mi perdoni
se io vesto acciaio brunito
e non è per sua difesa.”
Ancor più eloquente fu “il Dialogo Militar” rivolto ad Ambrogio e composto da Lope de Vega…”
… Quella città famosa,
la cui Repubblica eccelsa
simili eroi produce
nelle armi e nelle lettere;
quella che da tanti secoli
regia maestà conserva,
a nessuna corona
sua antica testa è serva;
Genova la bella, dico,
cui il mar i piedi bacia.
… lo trovaron sempre
l’aurora e le stelle
vestito d’acciaio il corpo
e la sua anima verso gloriose imprese;
esempio per i suoi soldati
rispettato in tutte le frontiere,
invidia delle età passate,
gloria del secol nostro
… (le imprese) di questo grande Capitano,
Ambrogio il Magno, saranno di Italia e Spagna la gloria.”
Alla tradizione più antica, precedentemente raccontata, si aggiunge la variante fantastica dove gli aspetti religiosi assumono una valenza marginale. Come nelle migliori fiabe un giorno il santo, di passaggio per la città di Salem in Libia, incontra una principessa, figlia del re di quel regno, pronta a sacrificare la propria vita per placare le ire di un drago che dimorava in uno stagno poco lontano. Il popolo infatti, stanco di aver sacrificato i propri fanciulli, obbliga il re a rinunciare alla figlia, minacciando la rivolta.
Giorgio interviene prontamente placando la collera della plebe dopodiché affronta il mostro, lo ferisce e lo sottomette come un cagnolino obbediente. Ordina di far legare al collo dell’animale la cintura della principessa che, incredula, ritorna in città con il drago al guinzaglio.
I sudditi sono in festa e, riconoscenti, si convertono in massa assieme a re e principessa al Cristianesimo. Il cavaliere uccide il mostro, lo taglia a pezzi e lo fa trascinare fuori dal paese trainato da quattro paia di buoi. Un’altra variante suggella il gran finale con il matrimonio fra il nostro eroe e la principessa Sabra.
Da qui in poi, in particolare dalle Crociate, San Giorgio diverrà l’alfiere dell’Occidente, simbolo della lotta del bene contro il male. Il suo mito si diffonde in tutta Europa; in suo nome vengono erette molte chiese dall’Egitto a Costantinopoli, in Italia, Spagna, Portogallo, fino alla Germania, l’Inghilterra e il Caucaso.
A Genova, già dal 700, una guarnigione di soldati greco bizantini portava in processione, accompagnata dalla popolazione, il vessillo nella chiesa a questi intitolata.
Ma è al ritorno dalla presa di Antiochia (1098) e dalla conquista di Gerusalemme (1099) che i genovesi dell’Embriaco lo elevano ufficialmente a simbolo della città e della Repubblica. Da allora, per oltre cinquecento anni, le grida di battaglia saranno: “Viva San Zorzo” e “Pe Zena e pe San Zorzo”.
I portali delle dimore delle grandi famiglie si adorneranno delle sue gloriose effigie e saranno testimonianza perenne del prestigio da queste acquisito.
Solo agli ammiragli e ai capitani che lo avevano difeso e onorato in battaglia con orgoglio era concesso infatti esporre i simboli del santo guerriero.
San Giorgio protegge dalla sifilide e dal morso delle vipere, sconfigge lebbra, streghe e peste bubbonica, è il protettore degli armaioli e dei sellai e dell’agricoltura in tempi di siccità.
Oggi è patrono dello scoutismo, dell’Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, della Serbia, di Barcellona e della Catalunya, di Mosca e di oltre cento comuni italiani di cui ventuno ne portano il nome.
In Germania fa scaturire acque miracolose, in America dà il nome ad uno stato e, nel Caucaso, ad una repubblica.
La festa a lui dedicata è, a seconda dei paesi in cui si celebra, il 23 o il 24 aprile. La religione islamica lo venera tra i profeti.
Le sue reliquie sono sparse un po’ ovunque: il cranio nella basilica di S. Giorgio in Velabro a Roma, un braccio a Ferrara, l’altro a Venezia. Altre parti si trovano a Le Mans e a Limoges in Francia e in svariate località della Spagna e, naturalmente, custodite nella chiesa a lui dedicata sul promontorio, a Portofino.
Nel 1637 con l’elezione della Madonna a Regina, il pagano “Viva San Zorzo” cede il passo al più ecumenico “Viva Maria” ma già da tempo i fasti dei crociati genovesi sono un lontano ricordo.
Nel 1969 la Santa Congregazione dei Riti lo declassa da “santo ausiliatore” a “memoria facoltativa”.
Ecco perché mi arrogo la “facoltà” di ricordarlo.
In Copertina: Il Vessillo di San Giorgio fino al 1242, anno dell’assunzione ufficiale dello scudo bianco rosso crociato, identificato come la bandiera di San Giorgio.
Notizie certe non ce ne sono anche perché, si perdono nella notte dei tempi:
La tradizione più antica fa capo ad una biografia, “La Passio Georgii”, risalente al v sec., relegata dal decreto gelasiano fra gli scritti apocrifi (cioè non conformi alla dottrina).
Secondo questo testo il santo sarebbe nato nel 280 d.C. in Cappadocia (attuale Turchia).
Secondo altre fonti sarebbe invece originario di Lydda (odierna Tel Aviv), in Palestina.
Nei secoli successivi fu un proliferare di ulteriori rielaborazioni agiografiche.
Fino a che, nel ‘200, il Vescovo di Genova Jacopo da Varagine, completò la sua celebre “Legenda Aurea”.
Secondo questa leggenda Giorgio, educato alla fede cristiana, intraprende la carriera militare fino a diventare una delle guardie del corpo dell’imperatore Diocleziano.
A quel tempo l’Impero romano è in lotta con i cristiani e settantadue re si riuniscono per deliberare misure comuni contro la nuova religione, considerata sovversiva.
Giorgio si autoaccusa di essere cristiano, dona i suoi averi ai poveri e, una volta imprigionato, subisce torture d’ogni sorta.
Dio in persona gli appare in visione spiegandogli che per tre volte morirà e per altrettante risorgerà:
Viene tagliato in due da una ruota di chiodi e spade, resuscita e compie numerosi miracoli.
Converte l’imperatore Anatolio e la sua consorte Alessandra, resuscita morti e fa incenerire i settantadue re che lo avevano imprigionato.
Viene decapitato e, risorto una seconda volta, diventa un cavaliere errante….
“Io vo’ Vedere il Cavalier de’ Santi:
Il Santo io vo’ Veder de’ Cavalieri.”
Cit. Rime Nuove. Giosuè Carducci.
In Copertina: San Giorgio che uccide il drago opera di Lazzaro Tavarone nel 1606 (restaurato nel 1990 da Raimondo Sirotti) sul prospetto rinascimentale di Palazzo San Giorgio.
I membri della Confraternita di S. Germano si divertivano, sbucando nel buio della sinistra Crosa del Diavolo (odierno Largo S. Giuseppe) a spaventare i passanti.
Indossavano un lenzuolo sotto il quale nascondevano una lanterna illuminata e calzavano lunghi trampoli.
In realtà, più che di un’associazione religiosa, si trattava di un gruppo di cospiratori e affaristi politici che, durante i loro incontri, non tolleravano intrusi e avevano ideato questo stratagemma per spaventare i curiosi.
Nei rigogliosi giardini dietro a palazzo Tursi, si aggira invece un elegante e fascinoso spettro di dama bianca.
Chi lo ha visto svanire nel loggiato sostiene essere una signora molto simile a quelle che Rubens e Van Dyck, a loro tempo, amavano ritrarre nei loro dipinti.
Poco distante, nel caruggio sottostante Palazzo Rosso, in Vico Brignole, al tramonto si possono udire i singhiozzi e i lamenti di una enigmatica figura di donna con il volto velato.
Un altro sito molto gettonato per le apparizioni sovrannaturali è la zona dell‘Acquasola che, oltre ad essere stata luogo di culto pagano, nel 1657 in seguito alla peste, è divenuta cimitero di circa ottantamila nostri concittadini.
Nel centro storico bighellona anche lo spettro di un lussurioso tedesco in cerca di piacere che, nonostante le raccomandazioni dei suoi commilitoni di non inoltrarsi nel pericoloso labirinto dei caruggi, non ha obbedito al consiglio ed è stato trucidato dai partigiani.
Dal 1943 dunque, le “Graziose” confermano l’apparizione del fantasma di un uomo in uniforme militare.
L’ho lasciato per ultimo perché ne hanno parlato anche le televisioni nazionali e le emittenti private ed è sicuramente il fantasma più famoso di Genova: la vecchina di Vico Librai.
L’anziana signora gironzola nei pressi di Porta Soprana chiedendo informazioni sulla strada da percorrere per raggiungere la propria abitazione in Vico Librai.
Il vico, a cavallo degli anni ’60 e ’70 è andato distrutto insieme a tutto il quartiere della Madre di Dio in seguito alla vergognosa e spregiudicata politica di rinnovamento urbanistico decisa a quel tempo.
A rendere ancora più affascinante la vicenda di questa nonnina è il ritrovamento, all’interno di un locale dove era entrata per chiedere informazioni, di un borsellino contenente monete del regno, immaginette sacre e un antico rosario.
Tutti oggetti risalenti all’800.
In Copertina:Ritratto di nobildonna genovese, realizzato da Antoon van Dyck all’incirca tra il 1625 e il 1627 a Genova.
di marmo lasciassero il loro ottocentesco tracciato alla moderna sopraelevata… sopra eleganti signori in tuba e marsina mostravano orgogliosi alle loro dame il panorama portuale…
sotto laboriosi camalli rifornivano efficienti magazzini ed esercizi commerciali inerenti le attività marittime.
Pregevole ed imponente edicola barocco secentesca raffigurante il fondatore dei Padri Carmelitani, S. Simone Stock, ordine religioso che, in fuga dalle Crociate, trovò parecchi proseliti nella nostra città, in particolare proprio nel quartiere del Carmine, dove eresse nel 1262 la strepitosa parrocchia di Nostra Signora del Carmine e di S. Agnese.
Al suo interno sono stati rinvenuti, durante attività di restauro, affreschi di Manfredino da Pistoia, collega del più celebre Giotto e allievo del Cimabue.
Ospitava inoltre l’altare e la Confraternita dei Camalli.
“San Giovanni apostolo, particolare degli affreschi duecenteschi”.
Numerose sculture e quadri del Barocco secentesco genovese sono qui racchiuse come dentro a un prezioso scrigno… Nicolò Traverso, G.B. Paggi, G. De Ferrari, G. Assereto, Domenico Piola, G.B. Carlone e Giovanni David hanno lasciato traccia della loro preziosa arte.
Curiosità finale, questa Parrocchia oltre ad ospitare i funerali di Don Gallo, ha battezzato Palmiro Togliatti, padre del Comunismo nostrano.
L’origine del tessuto più commercializzato sul pianeta è qui a Genova.
Infatti già in pieno medioevo la saia di color indaco proteggeva, sotto l’armatura, i nostri Balestrieri.
Il commercio su larga scala iniziò a cavallo tra medioevo ed età moderna quando Genova era snodo di importazione di cotone e esportazione di fustagni e tele.
Il colore utilizzato era l’indaco proveniente dal Bengala e da Giava, meglio noto come Blu de Genes in francese e, tradotto in inglese, appunto Blue Jeans.
La Repubblica affidò la lavorazione di questo tessuto che, inizialmente aveva utilizzi prettamente navali, ai piemontesi di Chieri e ai provenzali di Nîmes.
Per questo motivo il Jeans è anche noto come Denim (De Nîmes… per contrazione “Denim”).
Nel nuovo mondo il Jeans divenne l’indumento principe di cercatori d’oro, di minatori e di vaccari, insomma dei cow boys.
Nell’800 continuò ad essere indossato dai portuali e persino da Garibaldi ed i suoi Mille.
A metà del secolo scorso raggiunse l’apice della popolarità grazie a James Dean, Kerouac e alla Beat Generation.
A testimonianza del legame popolare con la nostra città, un collezionista privato ha raccolto un presepe settecentesco le cui statuine sono vestite con abiti di jeans.
Esistono poi quattordici paramenti sacri cinquecenteschi dipinti su tela blu, provenienti dall’antica Abbazia di San Nicolò del Boschetto ora conservati presso il Museo Diocesano.
di Santi, di Madonne, di galeotti, di pittori e di assassini.
Nel 1133 San Bernardo di Chiaravalle che è a Genova per tentare di riappacificare la città con Pisa vi diffonde il culto della Madonna di cui è devoto.
Genova diventa fra le prime città in Italia a venerare la madre di Gesù. I caruggi, agli angoli dei palazzi, si popolano di edicole (“piccolo tempio” in latino) dedicate ai Santi protettori e a Maria.
Raggiungono la massima diffusione nel ‘700 dopo l’elezione nel 1637 della Madonna a Regina. Ogni corporazione gareggia per avere l’edicola più bella.
E’ un onore essere scelto per la loro cura, manutenzione e illuminazione.
In questo modo la sera Zena, a gratis, è sempre illuminata (altro che Londra o Parigi dicono i viaggiatori del tempo). Molte sono state rubate, altre distrutte dalle intemperie o deturpate dall’incuria: solo che nel centro storico se ne contano ottocentoquarantanove.
Alcune meritano di essere ricordate; “La Madonna del Galeotto” posta sotto il Ponte di Carignano così chiamata perché un giorno un marinaio arrestato ingiustamente si gettò ai suoi piedi per testimoniare la propria innocenza. Le catene si ruppero e il devoto Galeotto fu liberato senza processo;
La settecentesca “Madonna delle Cinque Lampadi” (in ardesia) presso l’omonima piazza, all’angolo con Vico del Filo, talmente bella che veniva illuminata giorno e notte appunto da cinque lanterne.
Secondo altre fonti invece nella zona sarebbe stata in compagnia di ulteriori quattro immagini sacre illuminate da altrettante lampade e, sarebbe quindi questa l’origine del toponimo;
“L’edicola degli orefici” dedicata a S. Eligio patrono degli orafi commissionata al pittore Pellegro Piola perché fosse, fra tutte, la più sfarzosa. Il Bianco, pittore amico del Piola, quando la vide, comprese quanto l’autore di tale opera gli fosse superiore.
Morso dall’invidia e dalla gelosia, la sera stessa, in Piazza Sarzano, attese il rivale e lo uccise accoltellandolo.
La leggenda narra che il fantasma del Piola, di notte,