Nel 1282 era scoppiata la guerra che si trascinò per due anni con esito incerto; la vittoria arrideva ora ai genovesi, ora ai pisani. Questi ultimi sembravano in vantaggio, ormai padroni della Sardegna e, a differenza dei liguri lacerati da lotte intestine, uniti e per questo vicini al successo.
Il 5 aprile del 1284 Benedetto Zaccaria issa lo stendardo di S. Giorgio e salpa al comando di 30 galee in assetto da guerra. Il 9 aprile si presenta davanti a Porto pisano provocando i nemici. Inizia a presidiare tutti i collegamenti con Corsica e Sardegna; nel giro di due mesi i convogli mercantili genovesi riprendono a navigare sicuri, mentre quelli pisani non osano uscire dal porto. Il genovese impone ai toscani il blocco commerciale con le isole e con le colonie del Levante e taglia loro i rifornimenti marittimi. I pisani allora tentano di far circolare le proprie merci su imbarcazioni appartenenti a nazioni neutrali come Amalfi, Barcellona e Venezia. Benedetto non chiede di meglio, esperto com’è nella guerra di corsa, in due mesi cattura numerosi vascelli, si impossessa di merci ed equipaggi, rendendo vano anche questo tentativo dei rivali.
Costoro, esasperati, proclamano podestà il veneziano Morosini, nella speranza che ciò serva a guadagnarsi il supporto dei veneti. Venezia invece, fedele ai patti, rimane neutrale e le due repubbliche tirreniche devono sbrigarsela da sole. I toscani giocano il tutto per tutto allestendo una poderosa armata di 65 galee e 11 galeoni, stabiliscono di uscire dal porto di sorpresa e di sterminare la flotta di Benedetto che, nel frattempo, dalla Corsica si preparava ad assediare Sassari in Sardegna. Avvertito del pericolo fa vela verso Genova mentre il Morosini contando di tagliargli la via per il ponente, lo attende vanamente al largo di Albenga. Zaccaria rientra invece per la riviera di levante.
Il 31 luglio i pisani si schierano davanti alla Superba dove ad aspettarli, pronte allo scontro, ci sono 58 galee al comando del capitano del popolo Oberto D’Oria. La sera stessa da Portofino giungono anche le navi dello Zaccaria, sfuggite all’imboscata dei nemici.
Ai pisani, presi in mezzo dalle due flotte, non resta altra scelta che la ritirata verso i propri lidi. La sera del 5 agosto le due flotte genovesi raggiungono i pisani nella loro baia ma Benedetto ha una geniale intuizione, ammaina le vele, nasconde gli stendardi e si mantiene a debita distanza, sparpagliando la flotta qua e là confondendola fra le imbarcazioni di supporto.
La mattina del 6 agosto, giorno di S. Sisto, i pisani credendosi più numerosi e incoraggiati della stanchezza dei rivali provati per l’inseguimento, attaccano battaglia. Quando lo scontro sembrava volgere a favore dei pisani, Benedetto entra in scena puntando direttamente la capitana del Morosini, strappandole lo stendardo. Catturata la nave ammiraglia dei pisani, accerchia i nemici facendone scempio: 7 galee affondate, 33 catturate, alcune migliaia i prigionieri (fra cui Rustichello autore sotto dettatura di Marco Polo del “Milione”), lo stendardo, il sigillo del podestà, il gonfalone del comune, lo strepitoso bottino.
Il 6 agosto 1284 Genova pone fine alle ambizioni marittime dei rivali. Benedetto a ringraziamento per l’epica vittoria dona, acclamato dalla folla festante, un prezioso pallio d’oro alla chiesa di S. Sisto di Via Prè.
L’anno seguente i Padri del Comune progettano di dare il colpo di grazia definitivo ai rivali inviando Oberto Spinola dal mare e sollevando loro contro fiorentini e lucchesi, secolari nemici, da terra. Il tentativo, per ragioni politiche, fallisce miseramente.
I pisani cercano di risollevare la testa imbastendo una guerra di corsa e piccola pirateria obbligando i genovesi a mantenere un manipolo di navi a presidio delle proprie rotte. Benedetto è ancora una volta il prescelto per il comando.
L’ammiraglio avrebbe voluto mettere in piedi però una risoluzione definitiva “Pisa delenda est” ma la Repubblica, comunque provata dalla lunga guerra, si accontenta della semplice supremazia.
Zaccaria è insoddisfatto, inoltre dai suoi feudi in oriente giungono notizie poco rassicuranti. E’ tempo di tornare a Bisanzio e riprendere in mano gli affari di famiglia, i commerci e le sue molteplici attività.
Prima però di congedarsi nel 1287 compie con 6 navi quello che tre anni prima non riuscirono a fare in 65: a bordo della sola “Divizia” viola il porto militare facendosi largo fra le torri di difesa, mentre un suo sottoposto (capitano Nicolino da Petraccio), al timone delle altre 5, entra nel bacino mercantile spezzandone le catene. Catene che furono, fino al 1860, appese alla chiesa di San Lorenzo. Benedetto rimase gravemente ferito durante l’eroico assalto ma in seguito alla sua coraggiosa impresa, impauriti, i pisani siglarono la pace. I patti furono talmente duri per i toscani che questi, non rispettandoli, videro nel 1290 il loro approdo definitivamente distrutto ed interrato ad opera di Corrado D’Oria. Alla stessa maniera le catene conquistate nel 1290 furono esposte sulle principali porte e chiese della Superba
Come a suo tempo auspicato da Benedetto “Pisa delenda est”.
Zaccaria, ristabilitosi dalle ferite e rientrato dall’oriente dove in pochi mesi aveva sistemato le sue faccende private, viene richiamato a Genova.
I successi dello Zaccaria gli procurarono molti onori ma anche parecchie invidie. Le gesta dell’ammiraglio rimbalzavano dal Tirreno a Costantinopoli, così i padri del comune, colsero l’occasione della richiesta di aiuto proveniente da Tripoli, per allontanarlo dal Tirreno dove la sua fama ormai precedeva le sue galee. La colonia del regno latino versava in grave difficoltà oggetto delle mire di varie nazioni; la Repubblica lo nominò Vicario del Comune in Oltremare, affidandogli però due sole galee. La missione era ambigua e rischiosa perché avrebbe potuto risultare invisa agli interessi “in loco” sia dei veneziani che degli egiziani.
in questo modo sia che il suo mandato fosse fallito o riuscito, sarebbe stato facile dimostrare, a seconda dell’occorrenza, l’estraneità della Repubblica e riversare tutta la responsabilità sull’ammiraglio, come se avesse agito per interessi personali e privati, senza compromettere quindi le relazioni diplomatiche del Comune.
Ma Benedetto troppo avvezzo agli intrighi di corte era uomo dalle mille risorse…
In copertina: La Battaglia della Meloria. Illustrazione tratta dalle trecentesche Croniche del lucchese Giovanni Sercambi.
Continua…