Questa costruzione (Palazzo Bandinelli Sauli) venne eretta con il preciso intento di conferire maggiore dignità alla piazza principale della città dell’epoca, quella appunto prospiciente il suo più importante luogo di culto. Per questo motivo il Comune impose dei rigidi vincoli all’architetto; più precisamente stabilì che il palazzo dovesse avere un portico pubblico lato piazza. Oggi questo grande porticato è ridotto a triste e disadorno luogo di passaggio con le vetrine chiuse. Il palazzo si presenta apparentemente, su tre piani. In realtà ne ospita ben otto, di cui due rivolti verso il cavedio e il fianco di Vico del Filo. Sopra il portico una cornice marmorea di triglifi alternati a metope scolpite con elmi. Il primo piano nobile alterna alle finestre delle lesene ioniche a reggere il cornicione marcapiano ornato con conchiglie e ghirlande. Negli archi delle finestre, all’altezza del piano ammezzato nascosto, le figure allegoriche della Fama e della Vittoria. Il secondo piano nobile è a lesene corinzie a reggere il sontuoso cornicione. Sull’attico la balaustra ospita otto statue di illustri personaggi: Barabino, Viviani, Badano, Traverso, P. Piola, Assarotti, Garibaldi e Cambiaso. Il fianco verso la via San Lorenzo appare quasi identico, a parte la presenze delle finestrelle dei piani ammezzati, decorate con putti seduti e cornucopie.
In Via San Lorenzo, largo G. A. Sanguineti 11, il Palazzo Senarega Zoagli sul cui prospetto è affissa una lapide commemorativa che ricorda come questa fu la casa di Goffredo Mameli, nato al 30 di Piazza San Bernardo: “Dava il Sangue alla Patria / Ai Secoli il Canto / Goffredo Mameli / che in Queste case / ebbe (cancellato) Dimora / 1827 – 1849 / La Democrazia Genovese Poneva / il 30 Luglio 1876”.
A fianco, sotto l’archivolto di Vico Gesù, rivolta verso Canneto il Lungo, un’edicola marmorea racchiusa in un piccolo ovale che conteneva un dipinto andato perduto del volto di cristo. In basso i resti di una cassetta delle elemosine in marmo. Nello stesso vicolo, dove vige il più completo abbandono, un piccolo portale al civ. n. 2 con stipiti decorati e intrecci con testina sul trave (sec. XVIII).
Al civ. n. 17 forse l’edificio più famoso, il Palazzo di Sinibaldo Fieschi, noto anche come De Ferrari Ravaschieri. Opera dell’architetto Bartolomeo Massone lo possiamo ammirare con la facciata sostanzialmente immutata dal 1618. Nel 1839,con l’allargamento della via, venne interamente smontata e riassemblata tre metri più indietro, sconvolgendo l’assetto degli interni e comportando l’innalzamento di un piano. Al piano nobile sono stati restaurati e, in parte ridipinti, gli affreschi che altrimenti sarebbero apparsi mutili. Il palazzo è l’unico della via a liste in conci bicromi per tutta la sua altezza, reminiscenze dei fasti medievali della Repubblica e dei privilegi del casato. Il portale marmoreo con semi colonne doriche è scolpito nelle metope a bucrani ed elmi, alternate da sei mensole con testine. Il timpano è sostituito da una trabeazione piana con le statue di Marte sul leone e Nettuno sul cavallo marino.
Al centro campeggia il grande stemma nobiliare dei Fieschi coi sette gigli e la corona. A fianco due cherubini alati con elmi. Sul fornice a tutto tondo il cartiglio con il testo. “Lvx Dei VestigiVm”. I mascheroni ghignanti, simili a quelli di palazzo Tursi, sono opera di Taddeo Carlone. Sono stati concepiti a coronamento dei timpani ad arco spezzato delle finestre del primo piano rialzato e del piano nobile. Altre testine appaiono sui portalini dei negozi al livello della strada. Nell’atrio una grande lapide narra le vicende del palazzo, dall’acquisto dell’area, all’edificazione nel 1611, ai lavori per l’ampliamento di Via San Lorenzo e infine, alla vendita al marchese Tomaso De Ferrari nel 1879.
Al civ. n. 19 il Palazzo de Franceschi, meglio noto come Palazzo Casaretto. L’edificio è il risultato di due palazzi contigui accorpati con il fronte arretrato di circa tre metri per l’apertura della nuova via. Il portale a lesene doriche con timpano triangolare e fregi nelle metope. Fornice a tutto tondo con lunetta in ghisa sopra il portone. Le stesse caratteristiche sono riportate nel finto portale al civ. 17° occupato da un negozio.
In tutti i tre piani del palazzo, le pareti delle scale e dei pianerottoli cono rivestite in azulejos e costituiscono uno degli esempi meglio conservati di questo suggestivo arredo. Le tre rampe di scale hanno volte a crociera con peducci in pietra nera, colonne e balaustre marmoree. Dai finestroni che danno su Canneto il Lungo è possibile ammirare, da un punto di vista privilegiato, la Torre dei Maruffo. Sul retro, in Via Canneto il Lungo, al civico 72 r, il primitivo ingresso del palazzo stesso.
Sul lato di Vico San Gottardo, su un pilastro in pietra un’edicola a cornice quadrangolare che conteneva un dipinto su ardesia andato perduto i cui decori sono stari trafugati. La parte in ardesia è retta da mensole in ferro battuto. Sul lato di Vico Nostra Signora del Soccorso, sotto le sbeccature degli intonaci, si notano tracce dell’edificio originario del sec. XIII, con archi a conci bicromi tamponati e colonnine marmoree coperte dagli intonaci.
Sull’abside destra della Cattedrale al 48r, la Madonna della Misericordia del sec. XVII-XVIII. Due angeli sorreggono la raggera con la colomba che rappresenta lo spirito Santo. La Madonna incoronata, con ai piedi il beato Botta, è posta in un elegante tabernacolo, protetta da un vetro.
Alla base l’epigrafe: “Avita Dei Param Religio Primum Decus Prolatae Viae”.
A fianco dell’edicola due lapidi che, in origine, erano site sull’abside della chiesa.
Al 105 r la farmacia Papa, un tempo Odero, che fu uno dei principali centri di cospirazione dei massoni ginevrini e dei giacobini alla fine del ‘700.
O caroggio do fi u nu va ciù drito a San Loenso, ovvero Il caruggio del filo non va più dritto in San Lorenzo, vale a dire che, a volte purtroppo, le cose vanno storte e non più dritte come ai bei tempi!