A Capolungo

“Vicinissimo, sotto i nostri occhi, scavato a lungo andare dall’impeto del torrente che scorre sotto casa nostra, il povero piccolo porto di Capolungo, che i Rocca hanno confiscato per abbellire il loro parco”.

Cit. Jules Michelet storico francese (1798 – 1874).

La Grande Bellezza…

Foto di Lino Cannizzaro.

Sun zeneize e no ghe mòllo

L’ho trovato intento ad ammirare perplesso il chiostro di S. Andrea e quando l’ho chiamato, si è rivolto a me con un’espressione smarrita, bofonchiando:

“E questo cos’è?, ai miei tempi non c’era! o meglio esisteva ma si trovava non lontano da qui, tra il colle di S. Andrea e Piazza San Domenico.

Non certo in Vico dritto di Ponticello!”

“Porta Soprana”. Foto di Leti Gagge.

Mi ha guardato sconsolato dichiarandosi confuso molto più qui sulla terra ferma oggi che nell’oceano oltre 500 anni fa, che gli sembrava di aver abitato un tempo in questa zona e di aver riconosciuto l’antica Porta, senza però trovare la sua dimora.

– “Allora è vero che non lei non è genovese – lo provoco io – non vede la targa affissa su questa abitazione che certifica qui la sua permanenza?”

“Casa di Colombo in Vico dritto di Ponticello”. Foto di Leti Gagge.

Mi fulmina col suo sguardo severo e autoritario e risponde con un tono che non ammette repliche:

– “Non scherzare amico, io sono nato a Genova nel 1451 da mio padre Domenico originario di Terrarossa una frazione di Moconesi in Val Fontanabuona e da mia madre Susanna proveniente da Fontanarossa, odierno quartiere di Quezzi in Val Bisagno (anche se altri insistono sull’omonimo toponimo della Val Trebbia).

Da piccolo ho abitato, così mi ha raccontato mio padre, in una casa in Vico dell’Olivella accanto all’omonima Porta di cui egli era custode.

“Porta dell’Olivella nei pressi di S. Stefano”. Foto di Paola Bertino.

Con la caduta in disgrazia per motivi politici del babbo ci siamo trasferiti – così raccontava mia madre, io avevo 4 anni e ricordo poco – in Ponticello, dove ci troviamo adesso, anche se a parte Porta Soprana fatico a riconoscere questi luoghi un tempo a me familiari.

Qui papà esercitava la professione del lanaiuolo e, per arrotondare, smerciava anche vini e formaggi.

Negli anni’70 i miei si sono spostati a Savona per prendere in gestione un’osteria ed io, fra un viaggio e l’altro, ho abitato con loro.

Visto che il mio primo ingaggio marittimo è avvenuto quando avevo 14 anni, già da tempo la mia casa infatti era diventata il mare”.

– “D’accordo Sig. Colombo ma a parte questi sbiaditi ricordi della sua infanzia come può – lo incalzo scettico – dimostrare i suoi natali?”

– “Giovanotto, innanzitutto, quando si rivolge ad un ammiraglio della Repubblica di Genova, del Portogallo, della Castiglia e di Spagna, si metta sull’attenti e rammenti che, dopo il re, è la più alta carica e autorità militare. Chiuda dunque quella bocca impertinente e mi stia ben a sentire:

durante la preparazione del quarto e ultimo viaggio per il Nuovo Mondo ho inviato il 2 aprile del 1502, per mezzo di Francesco Rivarolo, fidato e illustre banchiere mio concittadino in Sicilia, a Nicolò Oderigo, già ambasciatore genovese in Spagna, un plico contenente una raccolta di copie di lettere, una copia del Libro dei Privilegi, una lettera indirizzata al Banco di san Giorgio, una lettera per due altri miei amici genovesi e alcune istruzioni da trasmettere a Santiesteban a cui ho affidato il compito di conservare il tutto in un luogo sicuro e di metterne a conoscenza mio figlio Diego.

“Riproduzione del Libro dei Privilegi, una raccolta di contratti, decreti reali, privilegi, concessioni, lettere, ordinanze e documenti vari indirizzati a Colombo dal momento in cui i reali spagnoli accolsero la sua propostadi Buscar el levante por el poniente, verso le Indie”.

Inoltre, per tutelarmi da spiacevoli sorprese, ho affidato gli originali a Gasparre Gorricio perché li custodisse nel monastero di Las Cuevas a Siviglia.

Ne ho prodotto poi quattro copie: la prima l’ho lasciata ad egli stesso, la seconda ad Alonso Sanchez de Carvajal perché la portasse alle Indie, la terza ho chiesto appunto al Rivarolo di inviarla a Nicolò, al quale due anni più tardi ho inviato per maggior sicurezza anche la quarta.

Delle due copie genovesi – mi dicono – una è finita una in Francia requisita da Napoleone, l’altra invece dopo varie peripezie rimasta al Comune, è ora visibile nella mia città natale presso il Museo Galata”.

– “Parole, Eccellenza, soltanto parole. Ma di concreto, che documenti e prove ha accampato a sostegno della sua tesi che possano essere ancora oggi attendibili e consultabili a Genova? Verba volant scripta manent!”

– “Se lei fosse un marinaio del mio equipaggio avrei già punito la sua sfacciata arroganza che – per altro – è pari solo alla sua incommensurabile ignoranza, mettendola ai ferri a marcire in sentina, o al sole a bruciare sul ponte.

Perciò stia zitto, non mi interrompa con queste inopportune osservazioni e, soprattutto, non abusi della mia limitata pazienza!

Nel 1504 ho inviato a Siviglia per mezzo di Francesco Cetanio un’altra copia del Libro dei Privilegi con la raccomandazione di metterla al sicuro insieme alla precedente.

In quell’occasione consegnai a Francisco de Ribarol altre due lettere indirizzate al Banco di San Giorgio.

“Lettera indirizzata al Banco di San Giorgio. Il documento è custodito presso il Museo Galata nell’apposita sala dedicata all’ammiraglio”.
Immagine tratta dal web.

Benché il corpo cammini qui, il cuore sta lì di continuo.

Questo mio incipit, già la diceva lunga e non lasciavo spazi ad equivoci o fraintendimenti.

Nella missiva proseguivo informando i rettori del Banco che lasciavo a mio figlio Diego il compito di versare annualmente a Genova la decima parte della rendita che avrebbe ricavato dai suoi redditi e privilegi, in sconto delle gabella sul grano, sul vino e su altre provviste che gravavano sul popolo. Raccomandavo inoltre ai Protettori del Banco di vegliare su di lui”.

– “Ciononostante nei secoli successivi, Quinto, Savona, Cogoleto, Albisola, Terrarossa, Chiusanico, Cuccaro Monferrato Bettola e Piacenza, per non parlare di Calvi in Francia, hanno millantato i suoi natali.

Che dire poi delle sue presunte origini ebraiche sefarditiche, catalane, galiziane o andaluse in Spagna, portoghesi e cubane?”

– ” Tutte fandonie!

Ci mancava solo dicessero che fossi il figlio di un re in Polonia, o nipote di un Papa in Vaticano e poi le avrebbero trovate tutte pur di fregiarsi della mia fama”.

– “Non vorrei contraddirla – illustrissimo Viceré delle Indie – ma hanno già insinuato anche a questo: secondo i polacchi lei sarebbe Segismundo Henriques, figlio di Ladislao III re di Polonia; a Sanluri in Sardegna sostengono invece che lei sia Cristoval De Sena Piccolomini imparentato con il futuro Papa Pio II”.

A sentire questa serie di fantasiose sciocchezze l’esploratore del Nuovo Mondo, scuotendo il capo piuttosto contrariato, sentenziava:

– “Eppure già nel mio testamento datato 22 febbraio 1498 avevo messo per iscritto la raccomandazione rivolta a mio figlio Diego di adoperarsi sempre per il bene, l’onore e l’accrescimento della città di Genova, donde – soggiungi -trassi origine e nacqui”.

Prima di salutarci l’ho accompagnato in Darsena al Museo Galata nella sala a lui dedicata dove riposano le sue ceneri (ritornate da Santo Domingo) e sui moli a vedere il mare, il suo mare.

“31 Maggio 1945 i soldati della 92^ divisione Usa Buffalo Soldier al comando del generale Ned Almond restituiscono, in una solenne cerimonia celebrata sotto sotto l’Arco dei Caduti in Piazza della Vittoria, le ceneri di Colombo. Tali reliquie custodite in una teca furono inizialmente conservate a Palazzo Tursi, oggi sono visibili nella sala dedicata all’illustre navigatore presso il Museo Galata”.
Proprietario delle foto Bruno Aloi Presidente del Comitato Nazionale Cristoforo Colombo.

– “Per me, ammiraglio, oltre che un onore, è stato un piacere conversare con lei. Spero abbia perdonato la mia goliardica insolenza e non mi voglia annoverare fra i suoi detrattori?”

Avvolgendosi nel suo grande mantello di velluto nero il comandante mi ha congedato con gesto austero e, mantenendo comunque le distanze, come si addice ad un nobile del suo rango, ha proclamato orgoglioso con voce stentorea:

“Sun zeneize e no ghe mòllo”.

Chissà se mi avrà perdonato?

In copertina ritratto di Cristoforo Colombo eseguito nel 1520 da Ridolfo del Ghirlandaio esposto presso il Museo Galata di Genova.

… Quando in Via Rivoli…

Quando in fondo ad una elegante via Rivoli ottocentesca non c’era solo il mare ma anche gli stabilimenti balneari dei bagni della Cava.

Le grosse pietre del selciato costituivano testimonianza di come dalla sottostante cava si estraesse il materiale pietroso destinato alle costruzioni in porto.

La bimba di spalle sulla sinistra, probabilmente rapita da quello scivolo proiettato verso l’azzurro, interrompe i suoi giochi nella pozzanghera in primo piano.

Il Portale di san Silvestro

Nella zona verso S. Maria di Castello i giardini che degradano sul colle in quell’epoca facevano parte del confinante complesso di S. Maria in Passione. Quest’area, oggi chiusa da una grata di ferro, costituiva l’antica piazza di S. Silvestro, l’originario ingresso degli omonimi convento e chiesa.

La contrada venne ripetutamente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale ma nonostante ciò il magnifico portale barocco rimase intatto.

Così l’importante scultura realizzata nel 1707 nel dopo guerra venne trasferita nel cortile del giardino di Palazzo Rosso.

Per la sua complessa realizzazione collaborarono tre maestri dello scalpello:

i due splendidi angeli alati che fungono da telamoni infatti sono opera di Giacomo Gagini, il medaglione sorretto da due angeli di Carlo Cacciatori, mentre gli elementi architettonici, di Angelo Maria Mortola.

… Quando c’era il Balilla…

Preziosa immagine che immortala in località Pratolongo di Montoggio la presunta casa natale di Giovanni Battista Perasso passato alla storia, secondo la tradizione, come il Balilla.

L’eroe che il 5 dicembre 1746 diede il via all’insurrezione anti austriaca pronunciando il famoso “Che l’inse?”.

Accanto ai familiari che posano per lo scatto si notano in facciata la corona e la lapide che attestano come l’edificio fosse stato dichiarato monumento nazionale.

“Quel che resta oggi della casa “.

Purtroppo della casa oggi sono rimasti solo i ruderi perché gli eredi non si misero mai d’accordo e la lasciarono cadere in malora.

Polittico di San Lazzaro

Questa suggestiva cinquecentesca opera d’arte conservata nel museo Diocesano di Genova era custodita un tempo nella chiesa di San Lazzaro.

Tale edificio religioso con annesso ospitale per pellegrini che sorgeva nell’ attuale piazza Di Negro (più o meno dove oggi di trova la chiesa di San Teodoro), fu demolito nel 1870 per far posto ai Magazzini Generali.

Il polittico ben conservato e con colori ancora vividi rappresenta la Madonna in trono con Gesù bambino al centro con ai lati San Lazzaro vescovo e San Lazzaro lebbroso.

Autore di questo capolavoro è Pietro Francesco Sacchi ( Pavia 1485 – Genova 1528 ) detto “il Pavese”.

La Grande Bellezza…

La Madonna della Pappa

Opera del pittore olandese di scuola fiamminga David Gerard (Oudewater 1460-Bruges 1523) a Palazzo Rosso si trova questa particolare rappresentazione della Vergine con il Bimbo.
“Madonna della pappa” (1510 -1515), questo il suo nome, è un dipinto appartenuto alla collezione privata Brignole -Sale che fu acquistato probabilmente nel corso del ‘800 dalla duchessa stessa.

Trasferito dapprima nella residenza parigina dei Galliera, nel 1874 rientrò a Genova a Palazzo Rosso ed insieme alla raccolta di altre opere che avrebbero costituito il futuro embrione dei Musei di Strada Nuova, venne donato al Comune di Genova.

La specificità di questo quadro si ravvisa nell’intimità della scena rappresentata.

La Vergine, dall’umile atteggiamento e il dolce sguardo sembra una mamma qualunque immortalata nel più materno dei gesti quotidiani, la preparazione – appunto – della pappa.

Una mamma premurosa che tiene sulle ginocchia il suo bambino e si prepara ad imboccarlo.

Un’immagine quindi semplice, familiare che rivela però significati e simbologie sottese.

Dalla finestra si scorge un paesaggio che si apre all’orizzonte ma la vera protagonista diviene proprio la quotidianità con la descrizione puntuale degli oggetti in primo piano: il pane, la ciotola con il latte, il coltello e la mela che paiono rispettivamente alludere a un preciso messaggio di contenuto eucaristico; in questo modo gli oggetti quotidiani acquistano anche un significato metafisico e il pane e il latte della pappa diventano simbolo dell’Eucarestia di Cristo mentre il coltello ne prefigura la Passione.

La Grande Bellezza…

Il Rabbino di Genova

Riccardo Reuven Pacifici (Firenze, 18 febbraio 1904 – Auschwitz, 11 dicembre 1943) è stato un rabbino italiano, vittima dell’Olocausto.

Pacifici era discendente da un’antica famiglia sefardita di origine spagnola e di tradizione rabbinica stabilitasi in Toscana, dapprima a Livorno e successivamente a Firenze, la cui presenza è documentata in quella regione già nel XVI secolo.

Terminato il Liceo Classico Riccardo si iscrisse all’Università di Firenze dove nel 1926 si laureò con lode in lettere classiche. Nel 1927 conseguì, presso il Collegio Rabbinico di Firenze, il titolo di Chachàm ha shalèm (Rabbino maggiore).
Prima ottenne l’incarico di vice rabbino di Venezia dal 1928 al 1930, poi quello di direttore del Collegio Rabbinico di Rodi dal 1930, infine di Gran Rabbino di Rodi fino al 1936.

In quell’anno gli fu affidata, in qualità di Rabbino Capo, la sinagoga di Genova. Compito che Pacifici assolse con zelo fino al giorno della sua deportazione.
Infatti, nonostante le ripetute minacce ricevute, non volle abbandonare la Comunità di Genova di cui si sentiva responsabile e capo spirituale.

Il carisma del rabbino aveva più volte messo in soggezione i vertici tedeschi cittadini. Fu così che venne catturato con l’inganno dai nazisti e deportato ad Auschwitz dove morì con la moglie Wanda Abenaim e molte altre persone appartenenti alla famiglia Pacifici.

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“La lapide in onore di Pacifici all’esterno della Sinagoga di Genova”.

Genova non ha voluto dimenticare né l’abnegazione con cui Pacifici ha prestato soccorso ai suoi correligionari, né il senso di appartenenza dimostrato, in un momento di grande pericolo, alla città che lo aveva accolto.

Nel 1966 gli è stata intitolata una piazza nel quartiere di Castelletto sulle alture della città: Largo Riccardo Pacifici.

In sua memoria inoltre il 29 gennaio 2012 a Genova è stata collocata uno Stolpersteine (pietra d’inciampo) sul marcia piede, davanti a Galleria Mazzini (lato Carlo Felice), luogo dove venne catturato dai nazisti il 3 novembre 1943.

Per non dimenticare mai.