Il mozzicone del campanile di San Siro

Questo anonimo torrione ormai dimenticato ed inglobato fra le irriverenti vicine abitazioni è quel che rimane della dugentesca torre campanaria della chiesa di San Siro.

L’antico campanile della primitiva cattedrale cittadina, contemporaneo di quelli ancora esistenti di S. Maria delle Vigne e di S. Giovanni di Pre‘, nel 1904 fu abbattuto perché inclinato e pericolante.

Tale sciagurata ed affrettata decisione venne presa sull’onda emotiva generata appena due anni prima dal clamoroso crollo del campanile della Basilica di San Marco a Venezia.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Finestre murate


Al tempo della Repubblica Ligure nel 1798, il governo per rimpinguare le esangui casse statali, casse istituì una tassa dal titolo assai curioso e pretenzioso:

“Sussidio patriottico sulle finestre “. Un modo come un altro per ridistribuire la ricchezza in un sistema, quello democratico della Repubblica, che si sostituiva a quello dell’oligarchia patrizia dell’Ancien Régime.

Beffarda trovata quella del funzionario dell’erario che ha inventato – passatemi il gioco di parole – l’imposta sulle imposte.


In sostanza a chi possedeva case con più di cinque finestre, fu richiesto un contributo calcolato sulla base del numero delle aperture sui muri esterni.

La balzana – è il caso di dirlo – imposta non piacque ai nobili che risultarono essere ovviamente i più danneggiati.

Costoro decisero così, pur di non versare l’odioso obolo, di murare le finestre esistenti e di sostituirle con quelle finte.


Alla luce si rinuncia ma non al gusto estetico ed ecco che si incaricano gli artigiani di decorare quegli spazi con l’ingannevole tecnica del Trompe – l’Oeil che fa sembrare tridimensionali come sculture dei semplici disegni.

Con certosina perizia in un gioco di pennelli, di contrasti di luci e ombre, di prospettive e colori, gli artisti riuscirono così a dipingere illusoriamente quello che non c’era: persiane, vasi di fiori, marmi e capitelli si mostrano ancora oggi ai nostri occhi in un magico immaginario.

La Grande Bellezza.

In copertina finestre murate sul palazzo ad angolo fra Via San Lorenzo e Piazza della Raibetta sopra la macelleria Balleari.

… Quando c’era il Ponte Morandi…

Il tanto atteso ponte di “Brooklyn” genovese nevralgico collegamento progettato dall’ingegner Morandi venne inaugurato il 4 settembre 1967 alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che lo definì «un’opera ardita e immensa».

L’innovativo viadotto che risolveva in maniera rapida ed efficace i problemi del traffico e della viabilità commerciale venne costruito in soli quattro anni (tra il 1963 e il 1967) presentava una campata lunga 210 metri, compresa fra le pile 10 e 11, che era a quel tempo la più estesa d’Europa e la seconda nel mondo.

Fu il progettista stesso però a sottolineare il carattere provvisorio della sua costruzione, realizzata in tempi rapidi e con moderne tecnologie, ma destinata ad una travagliata esistenza segnata da continue e costose manutenzioni.

Il resto – purtroppo – è drammatica e nefasta storia recente…

Il pesce alla ligure

La preparazione del pesce alla ligure sia che sia fatta in umido o al forno implica una profonda relazione con il territorio.

Qualunque sia il pesce cucinato, dall’anciôa (acciuga), al loasso (branzino), la simbiosi con i prodotti dell’orto è inscindibile: aromi e odori come aggio (aglio), timo, porsemmo (prezzemolo), persa (maggiorana), offèuggio (alloro), cornabüggia (origano), romanin (rosmarino), colàndro (coriandolo), sàrvia (salvia), baxaicò (basilico), ortiga (ortica); verdure come patàtte (patate), ciòule, (cipolle), suchinn-e (zucchine), tomatìnn-e (pomodorini ) oltre alle immancabili oîve, (olive) della riviera (fra cui le taggiasche), all’êuio d’oîva (olio extra vergine) nostrano e ai pigneu (pinoli).

Il legame di questi profumi rapportato al pesce non può prescindere dai vini bianchi con cui accompagnare la pietanza, autentici capolavori, estorti con sudore e sacrificio alla natura con inestimabile passione e perizia dai viticoltori: da ponente a levante – solo per citare i più noti – Valpolcevera nostrano, Coronata, Bianchetta Genovese, Vermentino di entrambe le riviere, Pigato di Albenga, Cinque Terre, Sciacchetrà e bianco Colli di Luni.

Uscendo dal classico binomio pesce vino bianco non vanno tuttavia dimenticati i rosati fra i quali spiccano l’Ormeasco e lo Sciac – trà di Pornassio (ma possono essere anche rosso o passito) e i rossi, più adatti forse alle zuppe e alle buridde, come Ciliegiolo del Tigullio, Granaccia delle colline savonesi e Rossese di Dolceacqua.

Scriveva in proposito con mirabile sintesi poetica e amore per la propria terra Vittorio G. Rossi nel suo “Vino e cibi di Liguria”:

“Mangiavamo quelle cose con un godimento segreto, ma pensando che gli altri mangiavano il pane degli angeli e noi quelle robette fatte dalle nostre nonne, madri, zie e sorelle dalla faccia come un’ascia d’arrembaggio. Ora si sono accorti che quella era una grande cucina, si sono accorti dei nostri vini fatti dalla pietra, dal sole, dal respiro del mare e hanno il profumo dell’alba nelle calme di luglio”.

In copertina pesce castagna (rondanin) alla ligure (con libera aggiunta di zucchine dell’orto) pronto per essere infornato.

Foto e preparazione dell’autore.

In Vico Vegetti

Vico Vegetti si snoda in salita con il suo sinuoso percorso.

Pietra e mattonata rossa sono le tipiche caratteristiche della creuza genovese.

All’altezza del civ. n. 8 si nota un’arrugginita insegna, testimonianza di antichi artigiani, della Mutua Assistenza Lavoranti in legno.

Poco più sopra s’intravvede quel che resta della secentesca Madonna della Misericordia, un’edicola – purtroppo – priva della statua marmorea della Vergine, con il tabernacolo a tempietto in pietra nera.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Campopisano

Prima del 1284, l’anno della Meloria, quando i prigionieri pisani vennero tradotti in città, l’area era identificata come Campus Sarzanni e fino a gran parte del ‘400, fu adibita a cimitero per poveri e pellegrini.

Fu solo a fine secolo che si iniziarono a costruire, slanciate e accatastate le une alle altre, le prime case.

Vista la loro inusuale altezza, osservate dal mare, dovevano proprio ricordare gli odierni grattacieli di una metropoli scolpita nella pietra e aggrappata alla scogliera.

“Andiamo al Campo Pisano: ivi i tredicimila prigionieri fatti alla Meloria cainesca e le larve disperatissime dei tremila uccisi fecero ringhiare il proverbio tremendo: – Chi vuol veder Pisa vada a Genova“.

Cit. Ambrogio Bazzero scrittore (1851 – 1882).

In realtà i prigionieri fatti alla Meloria furono circa 9000, probabilmente lo scrittore aveva conteggiato un numero più alto includendo i catturati delle numerose altre battaglie avvenute in quegli anni con l’odiata rivale.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Le ceneri dell’esploratore

Assai avventurosa e di difficoltosa tracciabilità è la vicenda legata agli spostamenti delle ceneri di Cristoforo Colombo confuse, secondo alcuni studiosi, se non addirittura mischiate, con quelle del figlio Diego al tempo in cui quelle di entrambi erano ricoverate a Santo Domingo.

Da qui l’annosa diatriba, tuttora in evoluzione, che assume i nebulosi ma intriganti contorni del giallo internazionale che si dipana sostanzialmente lungo due filoni: quello, il primo, che asserisce che le spoglie del navigatore siano a Siviglia per via cubana, e l’altro, il secondo che invece le assegna, per il percorso dominicano, spartite tra Pavia e Genova.

Per questo motivo numerose sono le località che ne vantano – o ne hanno vantato – per lo meno un parziale possesso: Valladolid, Siviglia, Santo Domingo, Cuba, Venezuela, Stati Uniti, Cadice, Pavia, Genova.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è FB_IMG_1586974705976.jpg
“Raccolta del Municipio in cui si racconta la donazione dominicana delle ceneri”

Nel 1877 infatti i resti del corpo all’interno della tomba monumentale di Siviglia furono identificati come quelli del figlio di Colombo e si scoprì così che le spoglie dell’esploratore erano rimaste ancora a Santo Domingo.

A quel tempo i fatti le ceneri di Colombo erano state affidate da Gio Batta Cambiaso, console di Santo Domingo al fratello Luigi, console italiano dell”isola caraibica, che le aveva ripartite in tre parti:

una parte fu inviata a Genova; un’altra parte, la seconda, fu mandata in Venezuela, prima terraferma scoperta da Cristoforo Colombo e l’ultima, la terza, fu spedita erroneamente a Pavia, perché si credeva che il celebre esploratore avesse studiato in quella famosa Università.

Cristoforo Colombo morì infatti il 20 maggio 1506 in Spagna e fu sepolto il giorno successivo nella cappella di Santa Maria de la Antigua nella chiesa di San Francesco a Valladolid.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 220px-Columbus_Tomb_Dominican_Republic_01_2018_6805.jpg
“Tomba a Santo Domingo”.

Nell’aprile 1509 il figlio Diego, dando inizio alle avventurose peregrinazioni, fece trasportare la salma a Siviglia nella cappella di Sant’Anna nella Cartuja di Santa Maria de las Cuevas dove, una iscrizione recita” A Castilla y a León, Nuevo Mundo diò Colón”.

Fu poi l’Imperatore Carlos I che, in Valladolid il 2 giugno 1537 con “Real Cédula”, concesse a  doña María de Toledo di trasferire e deporre i resti di  Colón, come il genovese stesso aveva sempre desiderato, nella cappella maggiore della cattedrale di Santo Domingo nell’isola di Hispaniola.

Nel 1541 i resti dell’Ammiraglio vennero quindi collocati nella cappella dell’altar maggiore della chiesa di San Francesco a Santo Domingo dove già si trovavano sepolti altri congiunti come il figlio Diego, i nipoti Luigi e Cristoforo II, il fratelli Bartolomeo e altri membri della famiglia.

“Il carro che trasportava l’urna con le ceneri dell’esploratore”. Foto originale di Giovanni Benzo.

Passano i secoli ma Colombo non trova requie: col trattato di Basilea del 22 luglio 1795 infatti la Spagna cedette alla Francia la parte orientale dell’isola di Hispaniola, Santo Domingo, che ancora occupava.

In concomitanza di quello storico passaggio di consegne l’Ammiraglio spagnolo Don Gabriel de Aristigabal ottenne dal governo francese l’autorizzazione di trasferire le ceneri di Cristoforo Colombo nell’isola di Cuba.

Così il 20 dicembre 1795 dopo una solenne cerimonia nella cattedrale di Santo Domingo, le preziose reliquie furono imbarcate sul brigantino francese “La Découverte” e trasbordate sul vascello spagnolo “San Lorenzo” per essere traslate nella cattedrale dell’Havana a Cuba.

Come prassi del codice della navigazione il porto si fermò in rispettoso silenzio mentre le navi presenti in rada spararono diversi colpi a salve e resero ai resti di Cristoforo Colombo gli onori militari dovuti ad un Ammiraglio di cotanto lignaggio.

Ma le peripezie non finirono qui perché, conseguenza del Trattato di Parigi del 1898 che sanciva l’isola di Cuba come possedimento degli Stati Uniti, il governo spagnolo stabilì di riportare le spoglie di Cristoforo a Siviglia.

“Mausoleo di Siviglia”.

Il trasporto venne effettuato in pompa magna con tutti gli onori a bordo della nave da guerra “Conde de Venadito” che viaggiò da Cuba sino a Cadice.

A Cadice le spoglie vennero trasbordate sullo yacht reale “Giralda” che risalì il Guadalquivir con le bandiere a mezz’asta ma lasciando bene in vista lo stemma dell’Ammiraglio, ancorando a Siviglia il 19 gennaio 1899 . 

A Siviglia le ceneri vennero  poi sbarcate e portate definitivamente nella cattedrale del capoluogo andaluso.

“La cerimonia della consegna sotto l’Arco dei Caduti”. Foto originale di Giovanni Benzo.

La parte delle ceneri genovesi provenienti da Santo Domingo furono riconsegnate (recuperandole dal ratto tedesco) il 31 maggio 1945 in Piazza della Vittoria dal generale della 92^ divisione fanteria USA ” Buffalo Soldier Division”:

“Oggi come comandante delle Forze americane in Genova, restituisco alla vostra città queste ceneri di un vostro figlio famoso, nello stesso modo con cui le nostre truppe hanno restituito a Genova la pace e la sicurezza poco più di un mese fa.

La teca presso il Galata Museo con le Ceneri di Colombo

Questo simbolo che era stato asportato dalla città dalle forze sinistre dei vostri recenti oppressori vi è ora restituita”.

Da qui vennero trasferite nel Municipio genovese a palazzo Tursi dove rimasero al sicuro per diversi decenni.

Oggi, nella speranza che l’Odissea sia terminata, l’ampolla di Colombo si trova sempre a Genova, ma ha cambiato domicilio ed è custodita, in una sala appositamente dedicata al nostro illustre concittadino, al Museo Galata.

In copertina l’ottocentesco Monumento di Colombo in Piazza Acquaverde a Genova. Foto di Bruno Evrinetti.

Fonti:

Odissea delle ceneri di Cristoforo Colombo- Da Valladolid a Siviglia, Santo Domingo, Havana, Cadice e Siviglia.

Il generale americano Ned Almond consegna alla città di Genova le ceneri di Cristoforo Colombo. 31 maggio 1945. ⋆ Comitato Nazionale Cristoforo Colombo

Link al sito: Homepage ⋆ Comitato Nazionale Cristoforo Colombo

Autore degli articoli e proprietario delle foto Bruno Aloi Presidente del Comitato Nazionale Cristoforo Colombo.

Le giraffe del porto

Le gru del porto, gigantesche giraffe d’acciaio, si stagliano all’orizzonte come sentinelle del porto.

“Le gru, acciò che ‘l loro re non perisca per cattiva guardia, la notte li stanno dintorno con pietre in piè.
Amor, timor e reverenza: questo scrivi in tre sassi di gru”.

Cit. Leonardo Da Vinci genio (1452 – 1519).

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

L’elegante Lanterna

“Preferisco Genova a tutte le città in cui ho abitato. È che mi ci sento sperduto e a casa mia – fanciullo e straniero. Essa ha una distesa di cupole, monti calvi, mare, fumi, neri fogliami, tetti rosa, e quella Lanterna, così alta ed elegante”.

Cit. Paul Valery scrittore francese (1871 – 1945).

La Grande Bellezza…

… Quando suonavano i Beatles…

Giunsero a Genova il 25 giugno e alloggiarono al Columbia Excelsior in Via Balbi, vicino alla stazione ferroviaria di Piazza Principe.

Quando, come molti illustri viaggiatori del passato, si fecero scorrazzare sulle alture per poter ammirare il panorama della Superba e del porto illuminato di notte.

Non contento George Harrison giunse sino a Sori per fare un bagno in mare.

Quando il 26 giugno 1965 al Palasport si esibirono, nella loro unica tournée italiana, i Beatles.

Salirono sul palco due volte per poco più di mezz’ora nello stesso giorno: davanti a 5000 spettatori nel pomeriggio, 15000 alla sera.

Oltre a Genova, scelta da Mc Cartney perché città di mare come Liverpool i Beatles, dopo essersi esibiti a Milano, suonarono infatti solo a Roma.