Vico del Pepe

“Va ciù unn-a grann-a de peivie che unn-a succa”. L’antico adagio la dice lunga sul valore che aveva il pepe nel panorama delle spezie.

Genova contese a lungo senza successo il monopolio del pepe a Venezia e, come si evince dal toponimo, qui stabilì magazzini e rivendite del prezioso aroma.

La Grande Bellezza…

Foto di Giovanni Cogorno.

Manarola

Manarola come del resto le altre quattro con sorelle che compongono le Cinque Terre è una perla incastonata nella roccia.

I suoi abitanti originari furono i membri di un’antica tribù ligure della Val di Vara costretti a cercare sbocco verso il mare dalla crescente urbanizzazione romana.

Assai particolare è la via dei Birolli lungo la quale oltre a locali e ristoranti, non essendoci un vero e proprio porticciolo, sono parcheggiate le barche.

I gozzi infatti vengono calati in mare con un ingegnoso paranco.

Oggi Manarola è famosa in tutto il mondo per il suo grande presepe di luminarie, ideato da Mario Andreoli, che illumina nel periodo natalizio tutta la collina.

Ancora riconoscibile ė il primitivo castello scavato nel costone attorno al quale si è formato il nucleo cittadino.

Nonostante sia stato ormai inglobato nelle abitazioni limitrofe e non funga più da baluardo contro le scorrerie turche e saracene, la sua forma arrotondata in pietra è inconfondibile.

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In copertina: Manarola di notte. Foto dell’autore.

“Genova è davvero la più bella città di mare d’Italia…”

“Scoprire Genova come ti venne raccontata sui libri (e come i suoi abitanti amano narrarla) procura una sensazione incantevole. In primo luogo perché ti restituisce quel minimo di fiducia necessaria nella parola scritta e nel racconto orale, senza di cui vagheresti senza bussola nelle tue elucubrazioni sull’universo mondo. In secondo luogo perché Genova è bellissima davvero. La guardi e brilla nei suoi palazzi meravigliosi, a qualunque altezza sul livello del mare. Di più: è letteralmente sfolgorante nelle successioni di bianco impero, di ocra, di verde muschio, di rosso bruno. Dal Porto Antico al Matitone nelle ore della tarda mattinata che dovrebbero essere infuocate e non lo sono. Le strade non starnazzano, perché il traffico d’agosto rende tutti più civili e spensierati. Intorno e sopra di te c’è solo un’architettura mozzafiato di forme e di colori che ti puoi fermare a contemplare estasiato, senza temere che ogni minuto di sosta ti renda più appiccicosa la camicia. Insomma quando non piove e non c’è la macaia (non ho mai capito come si scriva) Genova è davvero la più bella città di mare d’Italia”.

Cit. Fernando dalla Chiesa. Scrittore.

In copertina i tetti di Genova visti dalla Spianata di Castelletto. Foto di Leti Gagge.

Scurreria la Vecchia

Via di Scurreria detta la Vecchia per non confonderla con la Nuova aperta nel XVI sec. per volontà della famiglia Imperiale, non era altro che l’antica via Scutaria.

Qui avevano sede le officine degli scudai sostituite poi nel tempo dalle botteghe dei setaioli, tessuto per il confezionamenti del quale i toscani erano maestri.

Non a caso la piazzetta dove oggi c’è la farmacia era nota come piazzetta dei Toscani e con lo stesso nome era identificata tutta la contrada.

In Scurreria la Vecchia era inoltre consuetudine dei mercanti toscani stendere a terra stoffe, velluti e arazzi preziosi in concomitanza del passaggio della processione del Corpus Domini.

Qui ebbe bottega anche Paolo da Novi – tintore di stoffe di professione – eletto a furor di popolo nel 1507 primo doge popolare.

Costui capeggiò la ribellione che nello stesso anno mise in fuga il governatore francese e la principale famiglia cittadina sostenitrice di Luigi XII, quella dei Fieschi.

Purtroppo per i ribelli il re i suoi seguaci in due mesi riconquistarono il potere. Il doge venne rinchiuso nella torre del Popolo, o Grimaldina che dir si voglia, e pubblicamente giustiziato per decapitazione davanti a palazzo ducale il 10 luglio 1507.

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In copertina: Scurreria la Vecchia. Foto di Stefano Eloggi.

Vico chiuso del Leone

Circa a metà della Salita San Siro che raccorda piazza del Fossatello con la chiesa, la ex cattedrale di S.Siro ci si imbatte in un sinistro cancello varcato il quale si accede all’angusto vico chiuso del Leone.

Il buio caruggio versa nel più completo degrado: fili penzolanti, depositi rifiuti, muri scrostati.

Eppure anche questo apparentemente anonimo vicolo ha la sua storia da raccontare legata in questo caso al nome dell’albergo Leon Rouge dove nel 1857 la polizia sabauda aveva attirato con l’inganno Mazzini per arrestarlo.

Costui riuscì ad evitare l’imboscata trovando rifugio e accoglienza in vico delle Monachette.

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In copertina: Vico chiuso del Leone. Foto di Roberto Crisci.

Vico e Piazza della Posta Vecchia

Nel cuore del centro storico, tra la zona delle Vigne e quella della Maddalena, si trovano vico e piazza della Posta Vecchia:

ingombranti impalcature, muri imbrattati, e piazza quasi deserta. Non bastano i vivaci colori delle mercanzie del bezagnino a rendere giustizia ad una piazza con attiguo caruggio dal passato ricco di storia e di vita.

In Piazza Posta Vecchia infatti, anticamente si trovavano gli uffici postali trasferiti qui nel ‘600 dalla zona di San Lorenzo, vicino alla Cattedrale.

Nel 1826 vennero spostati in Piazza Fontane Marose, quindi in Via Roma e dal 1911 nell’attuale sede, angolo Piazza Dante, di Via Boccardo.

Nella via si trovano palazzi nobiliari cinquecenteschi quali Bernardo e Giuseppe De Franchi e Paolo Giustiniani oltre a splèendidi portali come il San Giorgio che uccide il drago del civ. 12, o al civ 16, il Trionfo degli Spinola.

Al civ. n. 3 ha sede A Compagna l’associazione genovese che da un secolo (fondata nel 1923) si occupa di mantenere vive lingua, cultura e tradizioni della nostra città.

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In copertina Piazza della Posta Vecchia. Foto di Vittorio Zoppi 2018

Vico della Pece

Vico della Pece trae l’origine del suo toponimo dalla presenza in zona di laboratori legati alla corporazione dei Calafati. Costoro avevano le proprie botteghe in Vico Stoppieri e con la loro preziosa attività artigiana svolgevano l’indispensabile compito di impermeabilizzazione delle navi.

Per realizzare ciò in questo caruggio si impregnavano le fibre di canapa o stoppa di pece calda che, al fine di sigillare le fessure del fasciame, venivano interposte fra le assi di legno. Un bravo artigiano prima di ottenere il titolo di maestro calafato impiegava fino a otto lunghi anni di apprendistato.

Essendo a continuo contatto con il fuoco per riscaldare la pece gli stoppieri elessero a loro patrona Santa Tecla, la santa che secondo la tradizione uscì viva dal rogo.

I calafati avevano la cappella di loro giurisdizione nel secondo altare della navata destra della chiesa di S. Marco al Molo.

Nel 1735 commissionarono a Francesco Maria Schiaffino un sontuoso gruppo marmoreo raffigurante i SS. Nazario e Celso.

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In copertina: Vico della Pece. Foto di Stefano Eloggi.

Vico del Pomino

Qui un tempo la contrada era tappezzata dagli orti di Banchi.

E’ lecito dunque pensare che l’origine del toponimo del Pomino, che per altro sfocia in Vico delle Mele, sia da ricondurre alla presenza in loco di qualche albero del succoso frutto.

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In copertina: Vico del Pomino. Foto di Giorgio Corallo.

Via Tommaso Reggio

La strategica via intitolata a Tommaso Reggio, vescovo prima di Ventimiglia e di Genova poi dal 1892 al 1901, è sede di importanti edifici legati al potere e agli intrighi della Genova medievale.

Qui infatti si trovano il cinquecentesco Palazzetto Criminale, il ponticello di collegamento tra il Palazzetto stesso e la cattedrale di San Lorenzo, la torre del Popolo, la Loggia degli Abati, una parete perimetrale di palazzo Ducale e il Museo Diocesano.

Atmosfere cupe, angoli bui, incolpevoli testimoni, come certificato dalle lapidi di infamia che vi sono affisse, di cospirazioni e congiure contro la Repubblica.

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In copertina: Via Tommaso Reggio. Foto di Stefano Eloggi.