“.. intanto la nostra formazione, che con l’arrivo da Chiavari di numerosi volontari s’era fatta più consistente, s’era spostata a Cichero, nel Casone dello Stecca, una grossa baita sulle pendici del Ramaceto ma a ridosso di Lorsica…”
Cit. da “La Repubblica di Torriglia” di G. B. Canepa il partigiano “Marzo”. F.lli Frilli editore.
Il casun du Stecca, dal nome del contadino che lo aveva generosamente offerto ai partigiani, è il luogo dove si tennero i primi incontri del primitivo nucleo di ribelli della “banda di Cichero”.
Nell’ottobre del ’43 infatti vi si rifugiarono, provenienti da Castello di Malvaro dove non si sentivano più al sicuro, i partigiani che organizzarono la Resistenza nel levante ligure.
“… c’era una baita appollaiata su un costone folto di castagni, in località Rocca di Merlo, dov’erano rifugiati una dozzina di renitenti alla chiamata alle armi e qualche inglese scampato dal vicino campo di prigionieri a Calvari.
I contadini dei dintorni gli portavano patate e farina di castagne: quel poco che potevano dare, che altro non avevano, povera gente; i quattro giovani si sistemano lassù con loro, mentre per tutta la valle e fin giù nelle cittadine rivieraschi, con la presenza a Rocca di Merlo di quel pugno di uomini decisi a far qualcosa, non importa cosa, pur di fare, già si stava acquistando fiducia nel domani e si guardava con commiserazione quei pochi fascisti che, dopo l’8 settembre, avevano ripreso a circolare.
Poi ai primi di ottobre sul monte Antola vi fu in convegno di dirigenti del Movimento di Liberazione, e si cominciò con l’assegnare le zone e a dare le direttive: la più importante era di attaccare e far fuori il maggior numero di fascisti e di tedeschi.
Attaccare con che cosa?
Ebbene, il fatto della mancanza di armi in realtà rappresentava un inconveniente trascurabile, poiché era ovvio che, attaccando nemico, le armi sarebbero conquistate…”.
Cit. da “La Repubblica di Torriglia” di G. B. Canepa il partigiano “Marzo”. F.lli Frilli editore.
“Così nella prima quindicina di novembre, gli uomini della banda di Cichero salirono in due gruppi da Lavagna (guidati da Bini) e da Rapallo (guidati da Bisagno) sino al casone messo a disposizione da Stecca, un contadino-ciabattino che abitava in località Gnorecco di Cichero.
Qui, si incontrarono Aldo Gastaldi (Bisagno), GiovanniSerbandini (Bini), G.B.Canepa (Marzo) e vennero poste le basi della Resistenza nel Levante.
A questi si unirono una decina di uomini di Lavagna e tre soldati siciliani, sbandatisi dopo l’armistizio del 8 settembre 1943. Bisagno ebbe il comando della banda e Bini ne fu il primo commissario. Otello Pascolini (Moro), che era rimasto a Lavagna per dirigere l’organizzazione clandestina, raggiunse gli altri alla fine di novembre, sfuggendo alla cattura.
Nei giorni che seguirono, sino alla fine di dicembre, la banda si temprò attraverso dure esperienze, mantenendo sempre un saldo nucleo, che non si disgregò neppure quando le peggiori privazioni ed i più gravi pericoli ne assottigliarono il numero”.
Cit. da “Una città nella resistenza” di Carlo Brizzolari, Valenti editore”.
E’ in questo ostico contesto che fu elaborato e composto, fortemente voluto dal comandante Bisagno stesso, quello straordinario documento dall’incomparabile significato morale, di disciplina e normecomportamentali dei partigiani noto con il nome di CodicediCichero:
in attività e nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti, ci sarà poi sempre un’assemblea per discuterne la condotta;
il capo viene eletto dai compagni, è il primo nelle azioni più pericolose, l’ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario, gli spetta il turno di guardia più faticoso;
alla popolazione contadina si chiede, non si prende, e possibilmente si paga o si ricambia quel che si riceve;
non si importunano le donne;
non si bestemmia
Notizia di pochi giorni fa il comune di San Colombano Certenoli ha deciso di finanziare il recupero ed il restauro di questo sito dall’alto valore simbolico.
Quando in via Strada Grande del Guastato, voluta dalla famiglia Balbi, in mezzo alla carreggiata convivevano tram a rotaie, carrozze e carretti di merci varie. Sul marciapiede invece passaggiavano eleganti signori in tuba.
Quando in Piazza San Leonardo non esistevano ancora le antiche trattorie da Genio (fuori campo) e da Domenico (oggi scomparsa).
Davanti alle garritte di guardia della caserma D’Oria, un tempo convento di San Leonardo, a soddisfare le esigenze dei militari, bastavano una birreria ed una bottiglieria.
Nell’omonima salita che conduceva al convento, fondato nel 1317 per volere del vescovo Leonardo Fieschi, nel ‘600 ebbe bottega il celebre pittore barocco Domenico Piola. Nel ‘900 la creuza ospitò anche la principale sede cittadina del Partito Comunista Italiano.
Uno scorcio di inizio ‘900 con due batosi e una bimba che posano incuriositi, come il signore che poggia la mano sul muretto della scalinata, per lo scatto.
Rapito invece dal superbo panorama di pietra e ardesia, oggi solo uno sbiadito ricordo in bianco e nero, è il papà che tiene per mano la figlioletta.
Risulta invece beffarda la secentesca epigrafe “Posuerunt me custodem” che, posta sulla parete della chiesa, è riferita alla Madonna Regina di Genova.
La Vergine, a cui tante volte in precedenza era stata attribuita la salvezza della Superba, questa volta non è riuscita a proteggerla dai suoi stessi spietati cittadini.
L’ignobile opera demolitrice si svolse incessantemente a partire dal 1972 fino al 1980.
Sia imperitura vergogna della Commissione Astengo istituita dal Sindaco Pertusio che l’ha decisa, del Cardinale Siri che l’ha approvata e benedetta e degli architetti Dasso, Bruzzone e Aulenti che l’hanno progettata e attuata.
A parziale soddisfazione di tale imperdonabile offesa ci ha pensato il tempo rendendo il moderno quartiere della Regione, che ha sostituito quello più antico, un vuoto e triste contenitore senz’anima e vita.
Dopo aver girovagato a lungo in esposizioni e musei vari il presepe della duchessa dal 2017 è finalmente tornato nei locali del Santuario di Nostra Signora delle Grazie di Voltri accanto al legittimo proprietario, Maria Brignole Sale la duchesa di Galliera appunto.
Il presepe fu commissionato nel 1873 dalla duchessa e dal figlio Filippo che si occupò personalmente di allestire all’interno del convento un ambiente idoneo a valorizzare le preziose statuine realizzate nel XVII, il XVIII ed il XIX secolo. Alcune sono di scuola napoletana altre invece genovese, alcune attribuite addirittura a Pasquale Navone (1746-1791).
La differenza sostanziale tra le statuine genovesi e quelle partenopee consta nei materiali usati per animare i diversi personaggi, le genovesi avevano il corpo, la testa e le membra in legno intagliato e scolpito mentre le napoletane avevano il corpo in canapa con le mani, i piedi e le teste in terracotta dipinta.
Particolare anche l’ambientazione, tra il parco della villa e le strade limitrofe, in una suggestiva Voltri del ‘700.
In copertina: il presepe della Duchessa. Foto di Domenico Carratta
Alcuni passanti osservano, all’altezza di Villa Croce in Corso Saffi, la potente quanto spettacolare mareggiata.
Al centro si riconosce il bastione della batteria della Strega e in lontananza s’intuisce il profilo della chiesa di San Pietro della Foce,
A monte, al posto della salita occupata oggi da Via Atto Vannucci, tratti delle antiche mura secentesche di Santa Chiara e sullo sfondo, ancora più in là, la collina di Albaro.
Da Via Cairoli s’imbocca vico alla Casa di Mazzini che introduce in Via Lomellini al quattrocentesco Palazzo Adorno.
L’edificio nella versione odierna è frutto della ristrutturazione di metà ‘800.
Nel 1925 è stato dichiarato monumento nazionale e dal 1934 ospita la sede del museo del Risorgimento italiano perché fu – appunto – a partire dal 1794 la dimora natale dell’apostolo della Libertà.
La Grande Bellezza…
In copertina: Vico alla Casa di Mazzini. Foto di Stefano Eloggi.
In Salita Santa Caterina al civ.n.3 si trova, costruito a metà del ‘500 da Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco, il Palazzo dal nome del suo committente, Tomaso Spinola.
Nell’atrio tutt’altro che spazioso, nonostante l’evidente dislivello tra l’ingresso e il ballatoio di accesso al vano scala e l’inconveniente dell’unica rampa di scale presente a sinistra risolto con la costruzione del triforio e dello scalone monumentale, il Bergamasco riesce a conferire indubbia grandiosità all’ambiente.
Gli spettacolari affreschi che rappresentano scene ed episodi mitologici, circondati da decorazioni a grottesca, sono opera di Andrea e Ottavio Semino. Nel quadro centrale è rappresentata “Angelica legata alla rupe e Guerriero che interroga due donne”. Secondi altri esperti invece l’affresco rappresenterebbe “Andromeda che accoglie Perseo Liberatore”.