“Pittoresca bellezza”…

Assai è noto con quanto di magnifica eleganza il Marchese Giancarlo Di Negro abbia dato molte solenni feste nella sua Villetta di Genova all’onore or di Eroi Italiani, or di suoi amici illustri. Innumerevoli persone, in tutta Italia e fuori conoscono la rara amenità del luogo, e quel meraviglioso prospetto di città e di mare, che il possessore cortesissimo concede liberamente di godere ogni giorno a tutti: ed è famoso lo spettacolo ch’essa rende illuminata copiosamente in quelle notti festose; al quale concorre plaudente un popolo numeroso nel sottoposto passeggio dell’Acquasola.

Cit. Pietro Giordani (1774-1848) scrittore italiano.

Sono andato a vedere la statua colossale nel giardino del celebre Doria, poi alla Villetta, delizioso giardino del marchese Di Negro: un uomo d’ingegno che, nonostante il suo blasone, fa buona accoglienza a tutti gli uomini di talento. […] Mi ha accolto con ogni cordialità m’ha offerto dell’uva della sua Villetta.

La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchese di Negro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.

Cit. Stendhal (1783-1842) scrittore francese.

La Grande Bellezza…

In copertina: da Villetta di Negro. Foto di Maurizio Romeo.

Salita Pietraminuta

Salendo Corso Dogali, dopo il quarto tornante sulla sinistra, più o meno all’altezza dell’Orto Botanico si nota all’interno di un cancello privato l’ottocentesca targa del civico n. 19 che rimanda al toponimo di Pietraminuta.

Da qui lo spunto e il pretesto per raccontare la storia dell’ampliamento verso ponente della cinta muraria, deliberato nel 1346 sotto il dogato di Giovanni da Murta (secondo doge della Repubblica dopo Simone Boccanegra).

I lavori completati nel 1350 prevedevano mura che, partendo dalla torre di Castelletto, scendevano a S. Agnese, risalivano per Carbonara per ridiscendere verso Pietraminuta (odierno Corso Dogali) e Montegalletto (attuale castello D’Albertis) e proseguire fino alla chiesa di San Michele sotto la quale si apriva la porta di S. Tomaso.

Come raccontato dal Dellepiane nel suo preziosissimo “Mura e Fortificazioni di Genova” da un atto notarile del 9 novembre 1346 del nostro Tomaso di Casanova si evince che: ” (…) la parte esecutiva per la costruzione dei bastioni di Pietraminuta venne affidata ai maestri antelami Giorgio Scriba, Giovannino da Biegna, Giacomo Piuma, Marchisio de Ceso, Antonio Sachero e Giovanni Gasparino”.

“Veduta di Genova cin il baluardo di Pietraminuta”. Immagine tratta da “Mura e Fortificazioni di Genova” di Carlo Dellepiane.

Si stabilì un’altezza delle mura compresa fra 18 e 25 palmi e una larghezza di sei, sette palmi. La parte superiore del muro doveva essere munita di parapetto alto cinque palmi coronato da merlatura di quattro palmi.

Si convenne che nella località di Pietra Minuta il muro difensivo doveva essere sormontato da tre torri; una sopra la piazza ivi esistente, un’altra sopra la strada ed infine l’ultima so doveva erigere sul terreno comune ai Monasteri di Pietra Minuta e di Santa Marta verso il Guastato.

Salita di Pietraminuta di arrampica nel buio da Via Balbi per guadagnarsi un solare e arioso panorama sui bastioni del Montegalletto.

Da Via Balbi, tra il collegio dei Gesuiti e la chiesa di San Carlo l’antico bastione è ancora oggi percorribile fino a Via Kassala.

In copertina: Salita Pietraminuta nel tratto in alto. Foto di Giovanni Sechi.

Gli ammiragli in Piazza Palermo n. 3

Al civico n. 3 di Piazza Palermo proprio accanto alla sede della Pubblica Assistenza della Croce Bianca locale è possibile ammirare un elegante portone in stile neo gotico rinascimentale.

Gli stipiti del signorile ingresso sono intarsiati e il trave è sovrastato da un tripudio di disegni geometrici, riccioli e volute.

Le due nicchie su basamento a colonna culminanti in cuspidi ospitano le statue di altrettanti illustri genovesi: Cristoforo Colombo a sinistra e Andrea D’Oria a destra.

Il primo vestito elegantemente è rappresentato assorto nei suoi pensieri mentre regge in mano il globo. Chissà quale rotta starà studiando?

Il secondo invece dall’aspetto austero è bardato nella sua cotta di rappresentanza. Con una mano stringe una pergamena arrotolata. Forse un’importante missiva o un vantaggioso contratto? Con l’altra impugna fiero l’elsa della sua preziosa spada di prestigioso Defensor della cristianità.

Le due sculture richiamano palesemente quelle più famose, ma altrettanto sconosciute ai più, di G.B. Cevasco in Via Gramsci al civ. 99r.

In copertina: il portale del civ. n. 3 di Piazza Palermo. Foto dell’autore.

Vico Testadoro

Originariamente vico Testadoro era un vicolo unico che collegava direttamente Luccoli con Via S. Sebastiano.

Con l’apertura di Via XXV Aprile, nei primi decenni dell’Ottocento, il caruggio fu diviso in due (la parte verso Luccoli è infatti Vico Inferiore di Testadoro).

“Vico Inferiore Testadoro”. Foto di Giorgio Corallo.

Nei documenti antichi è indicato come Testa Auri (conchiglia o testa d’oro) il cui toponimo, secondo alcune fonti non certificate, deriverebbe dalla presenza in loco di un’omonima locanda.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico Testadoro. Foto di Raffaella Magherini.

Vico Angeli

Vico Angeli si trova nell’intricato dedalo di caruggi che compongono il sestiere della Maddalena.

Il toponimo, di cui si ha già notizia almeno dal 1798, trae origine dall’antica famiglia Angeli o De Angeli che qui aveva le proprie case.

Il personaggio di maggior spicco di tale casata fu Lorenzo che nel 1357 rivestì il ruolo di ambasciatore presso il Duca di Milano.

Anticamente il caruggio era noto come vico Testadoro. Mutò il nome per non confonderlo con l’omonimo vicolo che, all’inizio di via XXV Aprile, ospita la famosa trattoria dalla “Maria”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico Angeli. Foto di Leti Gagge.

L’Arciconfraternita della Morte ed Orazione

L’orribile edificio di vetro e cemento in piazza Santa Sabina che ospita una filiale della banca Carige sorge sulla demolita omonima chiesa fondata nel VI sec., luogo di ristoro per i pellegrini della Terrasanta.

“Filiale Carige sui resti della chiesa”.
“La chiesa venne soppressa e bombardata nel maggio 1944 durante l’ultimo conflitto e successivamente inglobata dalla banca”.
“L’abside della chiesa. Vi si accede da vico della Croce Bianca”. Sullo sfondo il palazzo Belimbau in piazza della Nunziata. Foto di Roberto Crisci.

Dei tesori della chiesa resta solo, nel salone degli sportelli, la Santissima Incarnazione di Bernardo Strozzi. Quello che è sopravvissuto dei traslochi successivi alla sconsacrazione del 1939 è stato trasferito nella nuova Santa Sabina in via Donghi.

“La Santissima Incarnazione di Bernardo Strozzi dell’abside della ex chiesa, oggi banca”.

A fianco della ex chiesa si trova l’oratorio della Veneranda Arciconfraternita della Morte con la sua eloquente effigie scolpita in facciata: un terrificante rilievo marmoreo adorno di simboli macabri, teschi e ossa incrociate a celebrazione della morte.

Da notare le inquietanti clessidre a simboleggiare l’inesorabile scorrere del tempo e quindi la nostra provvisoria presenza su questa terra.

“L’ottocentesca facciata dell’oratorio in via delle Fontane”.

Qui aveva sede la Casaccia che si occupava di assistere i malati e soprattutto della sepoltura dei poveri durante le epidemie di peste colera.

In copertina: il simbolo della Confraternita. Foto di Bruno Evrinetti.

L’edicola dell’incuria

Edicola dell’incuria così ho “battezzato”questa grande cornice abbandonata che si trova in vico Cioccolatte nel quartiere del Carmine.

Osservandola da vicino si notano ancora labili tracce del dipinto che ospitava: una Madonna col Bambino e altri personaggi non definibili alla base riemergono da un lontano passato nonostante il colpevole abbandono.

In copertina: edicola di vico Cioccolate. Foto di Giovanni Caciagli.

Caligo

Oggi non c’è stato un solo genovese che non abbia rivolto lo sguardo ai quattro punti cardinali per capire da dove provenisse quella specie di fumo che impediva la visibilità. Forse un incendio?

Niente puzza di bruciato quindi tale ipotesi non reggeva.

Poi dopo qualche momento di smarrimento si è capito trattarsi della caligo, ovvero quel raro fenomeno marinaro che, dall’incontro sotto costa di aria calda con la superficie fredda dell’acqua, produce nebbia. La foschia ha così dal mare lentamente ammantato la città fino a far scomparire – come per magia – persino la Lanterna.

Intanto senza il faro come riferimento le sirene delle spaesate navi urlano, segnalando la posizione, tutta la loro preoccupazione.

“Tetti di Genova avvolti nella caligo”. Foto di Gianni Cepollina.

Vi è poi una suggestiva credenza popolare, tramandata di generazione in generazione, che sostiene la caligo essere una sorta di mantello magico che avvolge e accompagna le anime dei marinai verso la loro pace. Gli spiriti risalirebbero dunque dal mare per venire a prendere le anime rimaste, in una specie di limbo, incastrate tra la vita terrena e quella ultraterrena.

“La nebbia arriva
su zampine di gatto.
S’accuccia e guarda
la città e il porto
sulle silenziose anche
e poi se ne va via”.


Cit. Carl Sandburg. Poeta americano (1878-1967).

La Grande Bellezza…

In copertina: caligo a Genova. Foto di Gianni Cepollina 24 febbraio 2021.