Vico dei Castagna

Giunti in fondo a Salita del Prione sulla destra, quasi in Piazza delle Erbe, si incontra Vico dei Castagna.

L’angusto caruggio è noto per aver ospitato in passato una popolare casa di tolleranza frequentata soprattutto da studenti e, dal 1866, i laboratori della storica fabbrica di cioccolato di Viganotti.

Anticamente era noto come vico dei Callegari, ovvero dei calzolai perché qui avevano le loro botteghe.

L’origine del toponimo attuale si deve invece al nome della famiglia Castagna accorpata poi a quella dei De Marini.

La Grande Bellezza…

Ravecca

Tutta la contrada compresa tra Porta Soprana e Sarzano prende il nome dalla strada a mezza costa e parallela alle Murette che le collega.

Il toponimo Ravecca sarebbe un’evoluzione fonetica di Ruga Vecchia. Con il termine Ruga infatti nel Medioevo si identificava una strada maestra fra due ali di palazzi.

Si tratta di uno dei caruggi più coloriti e vivaci del centro storico. Una volta pullulava di forni, sciamadde e osterie. Oggi i locali che resistono si adattano ai cambiamenti dei tempi proponendo menù salutistici.

La Grande Bellezza…

In copertina: Via Ravecca. Foto di Leti Gagge.

Portale Nicola e Gio. Batta Spinola

Al civico n. 14 di via San Luca si trova il portale del XVI- XVII sec. di palazzo Nicola e Gio. Batta Spinola.

Particolari in tale nobile accesso sono le due enigmatiche erme con turbante che reggono capitelli ionici.

Sul trave si distingue un mascherone femminile centrale fra triglifi a mensola.

Il classico stemma col monogramma di Maria caratterizza il timpano spezzato con grandi riccioli.

L’attribuzione dell’opera è incerta: secondo alcuni a G.G. della Porta, secondo altri al Valsoldo. Certo il portale presenta tratti in comune con quello di Salita Santa Caterina. n. 3.

All’esterno dell’edificio, nonostante la sua importanza abbastanza trascurato, ai piani alti risultano ancora visibili brani dei superbi affreschi eseguiti nel 1560 da Ottavio Semino e nel 1610 da Gio. Andrea Ansaldo.

In copertina: Portale in via San Luca n. 14. Foto di Leti Gagge.

Salita Oregina

La Lanterna sullo sfondo vigila onnipresente mentre Salita Oregina s’inerpica nel cuore dell’omonimo quartiere fino al santuario della Madonna Regina di Genova a cui deve il nome.

Secondo la tradizione infatti, il toponimo della zona deriverebbe dall’invocazione “O Regina!”, riportata su un’immagine dipinta su un muro della Madonna collocata anticamente in cima alla collina, formula abitualmente ripetuta dai viandanti in segno di omaggio alla Vergine.

Col tempo tale locuzione, contratta in una sola parola, avrebbe finito per designare il luogo stesso dove si trovava l’immagine.

Come testimoniato dal vescovo e storico Agostino Giustiniani nei suoi “Annali”, Oregina nel XVI secolo era una borgata di campagna quasi disabitata costituita da poche casupole con modesti appezzamenti e pascoli.

«Usciti che si è dalla porta di S. Michele occorre, primo: la villa di Oregina, col fossato di S. Tomo [San Tommaso] il quale dà fortezza alla città; sono in questa villa insieme col fossato trentotto case, venti di cittadini e diciotto di paesani, quali tutte hanno terreno lavorativo.»

(Agostino Giustiniani, “Annali della Repubblica di Genova”, 1537)

Il bucolico borgo si trovava dunque al di fuori delle mura cittadine dentro alle quali venne inserito solo nel Seicento con l’erezione delle Mura Nuove.

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Salita Oregina. Foto di Maurizio Romeo

L’accesso alla collina era garantito dalla ripida crêuza, ancora oggi percorribile, di Salita Oregina, che partendo dalla porta di San Tommaso (piazza Principe) seguiva esternamente il recinto delle mura cinquecentesche giungendo al bastione del forte di San Giorgio, che dal 1818 ospita l’osservatorio meteorologico e astronomico della Marina.

Qui sul finire del XVI sec. sarebbe sorta la chiesetta intitolata alla Madonna di Loreto della quale i romiti fondatori erano devoti.

Intorno alla metà del secolo successivo il piccolo tempio venne inglobato in una grande chiesa con relativo convento francescano annesso.

Santuario di Nostra Signora di Loreto. Foto di Leti Gagge.
Scalinata di accesso al sagrato della chiesa. Foto di Leti Gagge.

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L’altare Maggiore con la statua della Madonna di Loreto.
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Primo piano della Madonna di Loreto

Il santuario assunse particolare importanza quando nel 1746 la Repubblica di Genova decise di celebrarvi la cacciata, iniziata dal Balilla, degli austriaci.

Si stabilì quindi come simbolica ricorrenza il 10 dicembre giorno della vittoria sulle aquile bicipiti asburgiche.

Nel 1847 in occasione del centounesimo anniversario della rivolta si radunarono alcune migliaia (30000 secondo le cronache) di patrioti. L’imponente corteo partito dall’Acquasola che, attraversò il centro e imboccato Via Balbi, raggiunse il santuario.

Qui, sul sagrato della chiesa, venne eseguito per la prima volta dalla Filarmonica Sestrese, al cospetto dei suoi autori Mameli e Novaro, il Canto degli Italiani, quello che sarebbe poi diventato nel 1946 l’ Inno Nazionale italiano.

Targa della Scalinata Canto degli Italiani.

Nell’ottica dell’ampliamento urbanistico della città di Genova dovuto al forte sviluppo portuale, il quartiere di Oregina fu interessato dalla messa in opera di Via Napoli, la principale arteria del quartiere lato monte. La strada fu tracciata alla fine del XIX secolo e ultimata, nei tratti delle odierne Via Bari e Via Bologna, all’inizio del secolo seguente.

In copertina: Salita Oregina. Foto di Leti Gagge.

Piazza Don Andrea Gallo

Fino a qualche anno fa lo slargo intitolato a Don Gallo nel cuore del ghetto ebraico genovese era un triste cumulo di decennali macerie post belliche.

Grazie al Comune che ha contribuito alla pavimentazione e alle associazioni di quartiere che lo hanno pulito, con in primis l’abbellimento floreale ad opera di “Princesa”, lo spiazzo il 18 luglio 2014 é diventato piazza in memoria – come recita la targa – di don Andrea Gallo prete di strada.

Particolare e significativo il disegno che, prendendo spunto da un pilastro di una loggia tamponata utilizzato a mo’ di tronco d’albero, rappresenta un bambino che annaffia la pianta.

Particolare disegno nella piazza”. Foto di Giovanni Caciagli.

Proprio come nei versi della celebre canzone di De Andre’, del resto siamo proprio nei pressi di Via del Campo, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza Don Andrea Gallo. Foto di Leti Gagge.

La lapide di Vico Biscotti

L’attuale conformazione di vico Biscotti, completamente distrutto dai bombardamenti del 1942, costituisce uno dei peggiori esempi di ricostruzione post bellica.

Il nome del caruggio rimanda all’omonima nobile famiglia di fede guelfa che, originaria di Lucca nel XV sec., nel 1528 fu ascritta nell’albergo dei Grillo.

Tutta l’area compresa fra S. Agostino e piazza delle Erbe che ospitava le antiche piazza dei Tessitori e vico Mezzagalera (l’ultima sede del ghetto ebraico), negli anni ’90 è stata occupata da una colata di cemento: terrazze di asfalto e posteggi interrati sono sorti sulle macerie dei bombardamenti.

Il vico costeggiava un tempo, sul retro della chiesa di San Donato dove vi era anche un piccolo cimitero, l’Oratorio della Morte e della Misericordia.

I membri di tale Confraternita erano preposti alla sepoltura dei poveri durante le pestilenze.

A ricordo di questo macabro passato rimane solo una sbiadita lapide del del 1885 che racconta -appunto- della nefasta peste del 1656.

In copertina: la lapide di Vico Biscotti.

Salita della SS. Incarnazione

La creuza della Salita della SS. Incarnazione che deve il suo toponimo dall’omonimo monastero , detto anche delle “turchine” per via del colore dell’abito delle monache.
Il complesso eretto nel 1604 in Castelletto sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca dalla genovese Beata Maria V⁰ittoria de Fornari Strata (1562 – 1617) comprendeva due complessi attigui, separati da una strada, detti rispettivamente “Turchine di sopra” e “Turchine di Sotto”.

Dell’antico edificio scomparso restano i toponimi delle due vie di accesso Salita dell’Incarnazione appunto e Salita delle Monache Turchine che ne costeggia l’ultimo muro rimasto.

Le monache turchine si sono traferite dopo la prima guerra mondiale a San Cipriano portando con se i preziosi oggetti, i quadri, le secentesche sculture, gli arredi liturgici e il mobilio di maggior pregio.

Il risseu nella sua originaria collocazione all’interno del monastero.

La più significativa testimonianza del monastero rimane comunque il raffinato risseu del cortile interno del monastero che, recentemente restaurato dall’artista Gabriele Gelatti, fa bella mostra di se nel cortile di Palazzo Reale dove era stato ricostruito negli anni ’60 dal maestro Armando Porta.

“Spettacolare immagine dall’alto del risseu”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Salita della SS. Incarnazione.

Foto di Leti Gagge.


Le Filippine in Via Polleri

A pochi passi dalla chiesa dell’Annunziata a fianco di piazza Bandiera si snoda via Polleri la strada che inizia l’ascesa verso la circonvallazione a monte.

Per la sua costruzione vennero abbattuti attorno al 1870 alcuni caruggi del quartiere e l’originaria chiesa di S. Agnese il cui titolo nel 1797 era già stato trasferito alla vicina chiesa del Carmine.

Del vecchio edificio religioso resta traccia in un muro maestro all’interno del civ. n. 4.

Più o meno all’altezza dell’omonimo vicolo che ricorda l’antico monastero di S. Agnese si nota una chiesa curiosamente inglobata all’interno di un palazzo.

Si tratta della sede della Congregazione delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, meglio note come Filippine, istituita come opera Pia nel 1705.

L’edicola, protetta da una grata, della Madonna della Misericordia posta sull’ingresso dell’asilo nido. Foto dell’autore.

Il nome delle suore si deve alla devozione del loro fondatore Padre Antonio M. Salata nei confronti di San Filippo Neri, le cui pertinenze (chiesa e oratorio) si trovano nella vicina Via Lomellini.

Costui si occupò, nel nome della Madonna della Misericordia, di assistere, istruire, educare e dare un tetto alle molte fanciulle abbandonate del centro storico.

Visita del Cardinale di Genova Angelo Bagnasco in occasione della celebrazione della Madonna della Misericordia del 20 Marzo. Foto di Andrea Gaggioli.

Attualmente l’impegno sociale della Congregazione si concretizza con le adozioni a distanza e con l’attività delle scuole primarie e materne di Genova.

In copertina: la chiesa della Congregazione delle Filippine. Foto dell’autore.

Quando in Corso Europa

Due carabinieri salutano il corteo di auto delle autorità aperto da sei vigili motociclisti.

Quando nel 1959 venne inaugurato il primo dei quattro tratti della strada pedemontana che partiva da San Martino e terminava in via Isonzo.

Gli altri tre lotti di Corso Europa furono infatti costruiti successivamente: il secondo lotto terminava a Quarto all’altezza di via Pianelletti nel 1961; il terzo all’altezza della stazione ferroviaria di via Filzi a Quinto, nel 1963; il quarto fino a via Santorre di Santarosa con relativo svincolo per via Oberdan a Nervi, nel 1964.

In tutto 6,5 km si super strada per collegare il centro con il levante cittadino.

San Giacomo delle Fucine

In Salita Santa Caterina all’altezza del civ. n. 21r. imbrigliata fra i cavi elettrici è affissa una curiosa lapide che sovrasta un cinquecentesco portale.

Sono queste le ultime tracce dell’oratorio di San Giacomo delle Fucine fondato nel XVI sec. da alcuni membri appartenenti all’Oratorio dei SS. Giacomo e Leonardo di Pre’.

Sulla lastra è incisa una croce con scolpiti ai lati due incappucciati dei quali uno flagellante.

Il testo dlle’epigrafe dedicata a San Giacomo Maggiore recita:

Recressvs Pnt s Viae Pvb Pvit / Ex Perm. App Cois. Andre / Qveste et Nvper Conclaves / Evndi et Redevndi Cofrib / Domvs Disciplinantivm S. / Jacobi de Fvssinis AD.B.P. / Patrvm Cois A. P. V. 1574 / Die 18 Novembris.

Tale tavella venne qui posta dalla confraternita di San Giacomo delle Fucine a ricordo della demolizione del proprio oratorio nel 1866 a seguito dell’apertura di Via Roma.

La casaccia di San Giacomo delle Fucine, fra le più facoltose e potenti perché finanziata dalla ricca corporazione dei Tintori, gareggiava con le altre (in particolare Sant’Antonio della Marina) per opulenza di addobbi e paramenti sacri, delle casse processionali e dei crocifissi durante le processioni.

Cassa processionale di San Giacomo Maggiore. Foto di Roberto Crisci.
Il Cristo Moro delle Fucine. Foto di Roberto Crisci.

Appartenevano loro ad esempio la strepitosa tardo settecentesca cassa processionale con San Giacomo Maggiore che abbatte i Mori di Pasquale Navone e il celeberrimo Cristo Moro delle Fucine del Bissoni del 1639 ritenuto il primo esempio di grande crocifisso processionale ligure.

Scolpito in  legno di giuggiolo tinto al naturale con fregi in tartaruga e fogliame d’oro. 

Il gonnellino insieme agli altri orpelli d’argento e i diamanti con cui era decorata la scritta “INRI” sono stati depredati dalle truppe napoleoniche.

Ironia della sorte ciò che è rimasto dell’antico oratorio è stato trasferito in parte in San Giacomo della Marina e in parte proprio presso i rivali di Sant’Antonio della Marina.

Proprio a questi ultimi appartengono i capolavori sopra citati anche se il Cristo Moro è visibile presso la chiesa di San Donato alla quale è stato recentemente prestato.