Alla fine di Via Balbi direzione Principe, sul civ n. 146r. è affisso un bassorilievo marmoreo dalla curiosa forma ottagonale.
L’edicola tardo secentesca è nota con il nome di Madonna del Rosario perché la Vergine, al centro della scena, tiene in braccio il bambino e in mano – appunto- il rosario.
“Finalmente avvistammo le coste dell’Italia e, mentre scrutavamo dal ponte nel primo splendido mattino d’estate, la maestosa città di Genova si levò dal mare, riflettendo, dai suoi cento palazzi, la luce del sole”.
Cit. di Mark Twain (1835 – 1910). Scrittore americano.
In quella che un tempo era la popolosa Via della Madre di Dio odierni giardini Baltimora, all’altezza dello svincolo sopraelevata e Corso Quadrio, si staglia un enorme edificio a specchi.
Nell’ammirare il verde paesaggio riflesso nelle sue finestre me lo sono immaginato come un gigantesco televisore a cristalli.
Allora ho fantasticato su come sarebbe stato bello premere un pulsante dell’ipotetico telecomando e d’incanto veder riapparire sullo schermo il grigio ardesia dei millenari quartieri demoliti.
In via delle Grazie al congiungimento con via delle Camelie si passa sotto un archivolto in pietra che un tempo era parte di una loggia.
Ne sono inconfutabile testimonianza, seppur in pessimo stato di conservazione, due colonne in conci bicromi con capitelli cubici intarsiati a grappoli d’uva e cordonati.
Era questa l’antica via – detta appunto delle Grazie – che, svoltando sotto l’archivolto, conduceva al santuario delle Grazie meta dei pellegrinaggi dei marinai che vi chiedevano protezione.
All’angolo si notano ancora i resti di un’edicola in pietra contenente un dipinto raffigurante la Madonna delle Grazie oggi ormai illeggibile.
A fianco dell’archivolto spicca l’insegna della Bottega del Conte un locale assai particolare, oggi quasi un caffè museo, che ospitava in passato una bottega di alimentari.
All’ingresso del piano strada c’è una vasca in marmo dove veniva conservato lo stoccafisso. Scendendo i due piani sotterranei attraverso ambienti i pietra e laterizio si accede infine alle cantine e alle antiche cisterne.
La Grande Bellezza…
In copertina: Via delle Grazie. Foto di Francesco Auteri.
All’inizio di Via Balbi, proprio sul retro del lato sinistro della chiesa dell’Annunziata, si trova una minuscola piazzetta con l’accesso al Convento Francescano.
L’imponente portone dell’edificio è sovrastato sul timpano spezzato da un’elegante edicola rettangolare.
La scena raffigurata è quella classica con la Vergine inginocchiata che riceve dell’arcangelo Gabriele la buona novella.
Sul trave del portale un cherubino alato con sotto un rilievo con due braccia incrociate.
Dietro la chiesa di San Giorgio la piazzetta dei Maruffo rivendica il suo spazio lottando per un briciolo di sole.
I Maruffo o Maruffi erano originari dello spezzino e avevano importanti possedimenti a Sestri Levante.
Dopo il 1100 si trasferirono nel ponente genovese (Voltri, Rivarolo, Coronata) e si distinsero nelle guerre contro Pisa e Venezia.
In virtù del prestigio conquistato, acquisirono proprietà anche nel centro storico. Ne sono ulteriore testimonianza il palazzo nobiliare in Canneto e, soprattutto, la poderosa torre eretta nel XIII sec. Persino l’Archivolto Baliano che comunica con Piazza Matteotti, un tempo era chiamato dei Maruffi.
La Grande Bellezza…
In copertina: Piazzetta dei Maruffo. Foto di Stefano Eloggi.
Anticamente via Galata, prima di essere intitolata in onore del quartiere genovese di Istanbul, era nota come “creuza magra” e collegava il convento di Nostra Donna del Rifugio (attuale piazza Brignole) con le pendici del colle di Carignano.
La direttrice inglobava a quel tempo anche l’odierna via Cesarea nel tratto dove sorgeva il grande edificio del manicomio costruito nel 1830 e demolito, a fine secolo, in occasione della costruzione di via XX Settembre.
Al civ. n. 25 di via Galata si trova uno splendido medaglione marmoreo settecentesco di autore ignoto.
Nel tondo è scolpita a rilievo una raffinata rappresentazione di Madonna col Bambino.
In copertina: medaglione di via Galata 25. Foto di Franco Risso.
È importante sottolineare il luogo natio, la propria terra, il proprio mare. E allora questa aspirazione ha lo stesso nome della città. Addirittura Janua, dicono gli studiosi, significa porta, e la città di Dio significa una porta aperta. Il porto stesso è fatto di due grandi braccia che si allargano. Il porto accoglie tutte le navi, tutte le culture, tutte le merci, scambio di merci e di persone. […] Io vedevo arrivare in porto, ancora prima della guerra mondiale, marittimi da tutto il mondo, e mi si apriva il cuore. I primi vu cumprà di Genova erano cinesi, e nessuno li osteggiava. Passavano sulla spiaggia con delle valigione e ripetevano solo «cravatte, cravatte». Erano famosi: «Una lila, due lile».
Cit. Don Andrea Gallo. Prete di strada (1928-2013).
In copertina: il Porto Antico e la Lanterna. Foto di Leti Gagge.