Sul campanile della Commenda di San Giovanni di Pre’ sono incastonate delle curiose decorazioni. Tali ornamenti sono composti da forme di ceramica invetrata smaltata e colorata.
Si tratta per lo più di piatti e catini che, come con suetudine nell’area mediterranea al tempo delle Crociate, stavano ad indicare che in quel luogo si poteva ricevere ristoro e ospitalità.
Secondo alcuni esperti i bacini ceramici -questo il loro nome in gergo tecnico – non erano altro che vasellami donati da pellegrini o crociati come ringraziamento al termine della propria degenzenza.
La maggior parte di questi manufatti era di fattura islamica e ciò – ad altri studiosi- ha fatto ipotizzare che fossero prede di guerra e avessero la funzione di bottino da ostentare.
Un’altra corrente di ricercatori invece sostiene che i catini costituissero solo elementi decorativi. Poco cambia poi che fossero previsti già in fase progettuale o aggiunti, in appositi spazi dedicati, in momenti succesivi.
Altri infine, molto più pragmaticamente, propendono per una versione di natura economica: tali elementi decorativi erano infatti meno costosi rispetto ad altri materiali quali marmi o pietre preziose e pertanto più accessibili durante gli scambi commerciali con i musulmani.
In copertina: le ceramiche del campanile della Commenda. Foto di Leti Gagge.
Ubi fenum ponderatur, ovvero dove veniva pesato il fieno.
Nasce così, in una contrada che, fin dal XII secolo ricca di scuderie, necessitava di continuo foraggio per gli animali, il toponimo di Vico del Fieno.
In epoca successiva il caruggio veniva popolarmente identificato come il caröggio di camalli.
Si tratta di un caruggio poco noto ma onusto di significative testimonianze del passato: portali, portalini, edicole votive, medaglioni e archetti sono presenti un po’ ovunque.
In particolare al civ. n. 9r, edificio del XVII appartenuto alla nobile famiglia De Fornari e demolito dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, nel 1751 venne istituita l’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Del palazzo originario resta visibile, affacciata su vico della Neve, la loggia.
In primo piano nella foto al civ 18 si trova, nei suggestivi locali liberty di un ex bordello, il ristorante I Cuochi uno dei più rinomati del centro storico.
La Grande Bellezza…
In copertina: Vico del Fieno. Foto di Maria De Mattia.
Da via della Maddalena si dipana una salita che, iniziando dal crocevia un tempo interamente porticato detto dei “Quattro Canti di S. Francesco, porta alla spianata di Castelletto, sede di un’antichissima roccaforte difensiva.
La Grande Bellezza…
In copertina: I Quattro Canti. Foto di Stefano Eloggi
La Fontana detta dei “Cannoni del Molo”, sovrastata dall’edicola di San Giovanni Battista, era una delle stazioni terminali dell’acquedotto storico.
A tale cisterna risalente al 1634 erano collegati i tubi, un tempo chiamati “cannoni” che distribuivano l’acqua alle fontane pubbliche.
I cannoni, a differenza dei più evoluti bronzini dotati di valvola, erano forniti solo di tappi costruiti in marmo o ceramica, o ferro.
Proprio accanto al piccolo tempio si notano due listelle di marmo incastinate nelle pietre con numerazione araba e romana. Sotto s’intuisce la bocca marmorea, oggi occlusa, di uno di questi cannoni.
In copertina: la fontana dei Cannoni. Foto di Leti Gagge.
“La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchese di Negro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.
Cit. Stendhal (1783 – 1842) scrittore francese.
In copertina: tramonto dal giardino di Villetta di Negro. Foto di Lino Cannizzaro.
“Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia!”
Cit. Gustave Flaubert (1821-1880). Scrittore francese.
In copertina: panorama della Superba.
Foto di Leti Gagge.
Nel dopoguerra il porto di Genova era un crocevia quasi obbligato per l’America.
Non era quindi raro incontrare stars hollywoodiane di passaggio in città in attesa di imbarcarsi.
Nel 1954 il celebre attore messicano ammira dalla Spianata di Castelletto insieme alla sua famiglia, il panorama della Superba.
In copertina: Anthony Quinn e famiglia a Ģenova. Foto Archivio Publifoto.
Il caruggio situato nel cuore del ghetto ebraico ha origine antichissime, addirittura antecedenti l’erezione delle Mura del Barbarossa nel 1155.
L’origine del toponimo rimanda alla presenza documentata di un’omonima locanda che vi aveva sede fin dal 1613.
Il locale era assai noto e frequentato in città a tal punto che nel 1746 era tappa fissa delle compagnie di giro.
A quel tempo il proprietario era tal Gian Giacomo Ghiglione, gestore anche di un’altra famosa locanda, quella del Falcone che darà origine all’omonimo teatro, oggi inglobato nel Palazzo Reale di Via Balbi.
Alla locanda di Vico della Croce Bianca è legato anche un curioso fatto storico con protagonista un suo garzone di nome Giovanni Carbone.
Questi prese parte alla sommossa del 6 dicembre 1746 che portò alla cacciata degli Austriaci.
Partecipò, agli ordini del Capitano T. Assereto, alla temeraria azione di riconquista di Porta S. Tommaso, occupata dai nemici.
Il Popolo insorse, uomini, donne e bambini si batterono per le strade per liberare la città dall’invasore straniero.
Il Carbone, con azione spregiudicata, recuperò le chiavi della Porta e, fra il tripudio della folla, le consegnò personalmente al Doge con l’ingenua raccomandazione “di stare più attento e di non smarrire più le chiavi della Città”.
L’episodio è narrato nella lapide posta al civico n.29 di Via Gramsci.
In copertina: Vico della Croce Bianca. Foto di Roberto Crisci.
E au postu do Pesciu palla, a moea l’è vegnoua a galla…
Intu mezu du mä
Gh’è ‘n pesciu tundu
Che quandu u vedde ë brûtte
U va ‘nsciù fundu
Intu mezu du mä
Gh’è ‘n pesciu palla
Che quandu u vedde ë belle
U vegne a galla.
Traduzione in italiano dal genovese.
In mezzo al mare c’e un pesce tondo
che quando vede le brutte va sul fondo
in mezzo al mare c’è un pesce palla
che quando vede le belle viene a galla
Cit. da Sinan Capudan Pascià (album Creuza de ma del 1984) di Fabrizio De André.
In copertina: pesce luna al largo del mare di Deiva Marina (SP). Foto di Mauro.
Tra Vico Doria e vico Falamonica affacciato proprio sulla Piazza di San Matteo si trova al civ. n. 1 il palazzo Doria Centurione.
L’edificio è appartenuto anche a quel Branca Doria inserito ancor vivo da Dante Alighieri nel penultimo canto dell’Inferno nella zona tolomea, quella dei traditori degli ospiti.
Branca aveva infatti ucciso il suocero Michele Zanchè che si era rifiutato di concedergli la cospicua dote della figlia Caterina.
Secondo il Poeta gigliato il corpo del patrizio genovese sarà posseduto in terra da un diavolo e a lui è rivolta la celebre invettiva: “Ahi Genovesi, d’ogni costume e pien d’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?”. Versi 151-153 del XXXIII canto dell’Inferno.
A metà del caruggio sulla destra del caruggio si nota l’insegna “Cook” del celebre cuoco stellato Ivano Ricchebono.
L’origine del toponimo di Vico Falamonica è ignota. Assolutamente fantasiosa e priva di fondamento è infatti la versione che racconterebbe di una giovane fanciulla della famiglia Doria costretta a prendere i voti e quindi da qui, l’intitolazione Falamonica.
In copertina: Vico Falamonica. Foto di Stefano Eloggi.