La Lapide di Antonio Gavotti

Sul fronte del civ. n. 19 in Via Chiabrera una lapide ricorda che qui, nell’abitazione di Antonio Gavotti, fra il 1830 e il 1832 si riunivano i cospiratori della Giovine Italia:

In Queste Mura / Nella Sala d’Armi / di Antonio Gavotti / Uniti nel Pensiero della redenzione Italica / Convennero dal 1830 al 1832 / Mazzini, Ruffini, Biglia, Miglio, Orsini / e altri Patrioti / che la Gloria della Fondata / Giovine Italia / Fecondarono col carcere coll’esiglio della Morte / Il Circolo Libero Pensiero 5 Maggio 1894.

Torre dei Leccavela

Al civ. n. 3 di Piazza Sauli si trova il cinquecentesco Palazzo Antonio Sauli. La lussuosa dimora patrizia fu edificata sul corpo di due precedenti proprietà della famiglia dei Leccavela, un casato dai gloriosi trascorsi marinari.

A testimonianza delle pertinenze dei primitivi titolari rimangono inglobati nella più recente struttura due piani ed il terrazzo dell’antica torre medievale.

La Grande Bellezza…

In copertina: Torre dei Leccavela. Foto di Laura Malfatto

Il Monumento del Diavolo

Finalmente è stata colmata la gravosa lacuna. Eh si perché, incredibile a dirsi, fino al 21 ottobre scorso, Genova non aveva mai dedicato un monumento ad uno dei suoi più illustri figli, Niccolò Paganini.

La statua realizzata dallo scultore bresciano Livio Scarpella è stata collocata davanti all’ingresso del Carlo Felice, il principale teatro cittadino.

Alla presenza delle autorità e del celebre critico d’arte Vittorio Sgarbi nonché presidente della Fondazione Pallavicino promotrice dell’iniziativa è stato così, all’imbocco della Galleria Giuseppe Siri, svelato il manufatto.

Scarpella, spiega Sgarbi, “ha stravolto la sua prima immagine statica di Paganini, che viene da una bellissima invenzione di Ingres. Poi ha capito che aveva sbagliato: aveva rappresentato il corpo ma non l’anima. Così è diventato scultore dell’anima di Paganini: lo ha fatto elettrico, dinamico, col suono che sembra uscire dal violino che si aggancia sotto il mento, con una forma del naso grifagna come per far diventare il violino una parte del suo corpo”.

La statua, in bronzo, alta 2 metri e 5 centimetri, è ricoperta da patina dorata «per impreziosirla e perché viva anche di luce propria, per caricarla di effetti – dice il cinquantenne artista bresciano, ieri protagonista con la sua creatività a Genova -. Ha tratti un po’ diabolici, questa statua. Come vuole l’immagine comune che ci è stata tramandata di lui, da divo attento alla sua immagine quale fu. E siccome il maestro era un virtuoso del violino anch’io mi sono espresso con virtuosismi dell’arte scultorea, curando particolari, ricorrendo a raffinatezze e ai cosiddetti capricci» che per una fascinosa simmetria. Scarpella richiama così i celebri «Capricci» del compositore.

Insomma un po’ luciferino, come vuole la tradizione ed un po’ rock star del primo ’800 come recentemente ripensato in chiave più moderna.

“Non ci sarà mai più un secondo Paganini”.

Franz Liszt. Compositore ungherese (1811-1886).

Genova. Novembre 2021.

In copertina: Il monumento a Paganini. Foto di Salvatore Camba.

Il Dito Medio

L’usanza del dito medio alzato come insulto risalirebbe alla Guerra dei Cent’anni tra inglesi e francesi: i figli di Albione stavano vincendo la guerra grazie a continue scorribande nel territorio francese.

I francesi si avevano una ben organizzata cavalleria, ma gli inglesi vantavano un altrettanto efficiente contingente di arcieri.

Ad esempio nel 1346 a Crecy l’esercito francese subì pesanti perdite di cavalieri sotto una copiosa grandinata di frecce inglesi. In quell’occasione i Balestrieri genovesi al soldo di Giovanni II re di Francia furono presi di sorpresa e, causa la velocità dell’azione nemica nello scagliare dardi con inimmaginabile frequenza, non riuscirono a proteggere la tanto temuta cavalleria transalpina.

Migliaia di Balestrieri genovesi al diretto comando dei generali Doria e Grimaldi furono sconfitti – ad onor del vero – non solo dalla nefasta parabola delle frecce nemiche ma soprattutto dall’utilizzo, per la prima volta, delle rumorose e defragranti bombarde britanniche. Ripiegando in ritirata i Balestrieri furono travolti dalla cavalleria stessa mentre fuggiva spaventata per quegli spaventosi e sconosciuti boati.

E’ nella battaglia di Agincourt nel 1415 che apparve il saluto a “due dita”.
I francesi, con la loro superiorità numerica, prevedevano una facile vittoria.

Il consiglio di guerra emanò una direttiva in base alla quale ad ogni arciere inglese fatto prigioniero sarebbe stato tagliato il dito indice e medio poiché queste erano le dita necessarie per tirare indietro la corda.

Purtroppo per i Francesi ad Agincourt gli eventi non si svolsero come sperato ma ci fu invece una decisiva vittoria inglese.

Da qui deriva il gesto denigratorio, non a caso tipico dei paesi anglosassoni, del dito medio e indice alzati con il dorso della mano rivolto all’offeso. Era questo infatti il gesto (con due dita e non con una) che gli arcieri inglesi non catturati dai francesi, mostravano agli avversari prima di ogni battaglia, la classica “V” usata ancora oggi dagli inglesi a mo’ di offesa, da non confondersi con la “V” di “vittoria”, resa celebre da Winston Churchill, in cui a essere rivolto verso l’esterno è il palmo della mano e non il dorso.

Dopo la battaglia, e in quelle successive, gli arcieri inglesi con le loro dita intatte salutavano in questo modo i francesi.
Il gesto era sia un insulto che un monito. Si voleva così ricordare ai francesi che le due dita dell’arciere erano rimaste intatte e che era ancora un avversario da non sottovalutare.

In Copertina: Immagine tratta dal sito A.S.D Compagnia Arcieri Elimi.

Salita della Tosse

Nel quartiere di San Vincenzo si dipana una creuza tanto dimenticata quanto caratteristica denoninata Salita della Tosse.

In epoca romana costituiva un tratto della via Aemilia Scauri sulla quale transitò, alla volta della Tuscia (la VII Regio amministrativa che sotto Augusto comprendeva Gallia cisalpina, Toscana, Umbria, Lazio e mar Tirreno), Cesare con le sue legioni. Per questo motivo venne identificata come Montà (salita) della Tuscia.

Nel periodo imperiale sotto Augusto la VII Regio

Il toponimo della tosse compare solo nell’ottocento con la letterale traduzione dal genovese (Tuscia significa Tosse) in italiano dei topografi piemontesi.

Altri storici, in merito all’intitolazione della salita, rimandano invece alla presenza nel medioevo di un’edicola votiva della Madonna, chiamata della Tosse appunto, alla quale i genitori si affidavano per i bambini affetti da malattie respiratorie.

Nel 1975 nel caruggio ebbe sede l’omonimo Teatro della Tosse trasferitosi poi in S. Agostino nel 1986.

L’ultima palazzina sulla sinistra fu invece la dimora e il laboratorio del grande scultore genovese, celebre per i suoi monumenti funebri, Santo Varni.

Salita della Tosse | scandivano ragazze rosse. | Ragazze che in ciabatte | e senza calze […] | andavano, percorse | da un brivido, sulla salita | che anch’io facevo, solo, | già al canto d’un usignolo. || Genova di tutta la vita | nasceva in quella salita. 

Cit. Giorgio Caproni (1912-1990) poeta.

La Grande Bellezza…

In copertina: Salita della Tosse foto di @iperdrepi.

Vico della Scienza

Non si ha certa cognizione dell’origine del toponimo di Vico della Scienza. Si suppone però che qui avesse sede la corporazione della scienza che includeva sia medici e speziali, che filosofi, letterati e matematici.

Al civ. n. 11 si trova un antichissimo sovrapporta in pietra nera di promontorio con due scudi abrasi e il trigramma di Cristo IHS, introdotto a Genova da San Bernardino, in caratteri gotici.

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In copertina: Vico della Scienza. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico delle Compere

Quel breve caruggio di nome Vico delle Compere che da Sottoripa collega Piazza De Marini con Banchi non ha alcun nesso con lo shopping.

Il toponimo delle Compere rimanda infatti all’ingegnoso sistema economico fondato sul concetto di prestito pubblico con il quale i genovesi finanziavano imprese militari e opere di interesse comune.

Qui, negli scagni del vicoletto, avvenivano dunque le transazioni finanziarie che a partire dal 1407, anno della sua fondazione, verranno poi accorpate sotto il nome di Compere del Banco di San Giorgio.

All’altezza del civ. n. 2 si notano ancora le tracce di un antico porticato in pietra decorato con archetti e sovrapporta in pietra nera con il trigramma di Cristo e due fregi e riccioli con iscritte le lettere B e P.

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In copertina: Vico delle Compere. Foto di Stefano Eloggi.

Il Pallio di San Lorenzo

Nell’aprile del 1204 durante la quarta crociata Bisanzio era stata conquistata dagli eserciti crociati con conseguente istituzione dell’Impero Latino d’Oriente, regno di fatto sotto l’influenza veneziana.

Tre piccoli stati bizantini Epiro, Trebisonda e Nicea non si rassegnarono al nuovo ordine costituito e continuarono a proclamarsi legittimi sudditi ed eredi dell’Impero Romano D’Oriente.

Fu così che Michele VIII Paleologo erede del trono di Nicea chiese aiuto ai genovesi per la riconquista di Costantinopoli.

Il 13 marzo del 1261 il futuro imperatore e la delegazione genovese inviata dal Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, per sancire la nuova alleanza stipularono dunque, dal nome della località vicina a Bisanzio sede dell’incontro, il trattato del Ninfeo.

In cambio della fornitura di 16 navi in assetto da guerra dotate di equipaggi, ammiragli, armamenti e soldati Michele Paleologo s’impegnava a cedere la signoria di Focea (strategica per il commercio di mastice e allume di rocca), il diritto di passaggio negli Stretti del Mar Nero e soprattutto la cacciata dei veneziani dalla Crimea.

Genova privilegiato interlocutore con l’Oriente si apprestava quindi a vivere il periodo del suo – come brillantemente definito dal Lopez -“massimo fiore” che la porterà nel 1284 ad annientare Pisa alla Meloria e a mettere in ginocchio a Curzola nel 1298 Venezia.

Il Pallio ripulito. Foto Museo di Sant’Agostino.

Le teste leonine ancora oggi visibili sulla parte più antica di Palazzo San Giorgio, l’antico palazzo del Capitano del Popolo, provengono dal distrutto palazzo veneziano del Pantocratore di Costantinopoli asportate a mo’di trofeo per celebrare la schiacciante vittoria commerciale e politica sui rivali di San Marco.

Oltre ai benefici sopra citati l’Imperatore, in segno di riconoscenza, fece recapitare a Genova il giorno di Natale del 1261 due preziosissimi palli esposti sopra l’altare maggiore della cattedrale di San Lorenzo.

Dettaglio scena n. 14 che raffigura San Lorenzo sulla graticola.

Purtroppo dei due drappi uno, del quale non si ha più traccia, è andato perduto.

Dalla cattedrale di San Lorenzo dove è rimasto fino al 1633, il regale tessuto è stato trasferito fino al 1842 presso il demolito Palazzo dei Padri del Comune a Caricamento.

Da qui in poi le peregrinazioni nei due secoli successivi a Palazzo Tursi prima e Palazzo Bianco poi.

Il drappo rimasto invece misura 377 cm di lunghezza e 132 di altezza ed è realizzato in sciàmito di seta rossa.

Lo sciàmito è un tessuto più unico che raro utilizzato per gli abiti imperiali e papali caratterizzato da ricami e filati ricoperti di lamina d’argento e d’argento dorata.

Nel Pallio di San Lorenzo sono raffigurati, distribuiti su due livelli orizzontali, venti episodi di vita di Sisto, Lorenzo e Ippolito.

Le scene sono accompagnate da una scritta in latino a caratteri gotici e vanno lette partendo dalla figura centrale di destra verso sinistra. Queste scene descrivono i momenti salienti della vita dei protagonisti fino alla morte. La parte centrale del drappo invece raffigura Michele VIII Paleologo che entra nella cattedrale di Genova.

Dettaglio della scena n. 1 che raffigura bl’ingresso dell’imperatore Michele VIII Paleologo in San Lorenzo.

Nel 2009 il prezioso manufatto, probabilmente il più importante reperto medievale nel suo genere, è stato oggetto di un complesso restauro durato fino al 2018 presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che lo ha così restituito alla città nel suo primitivo splendore.

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Schema di lettura del pallio. Foto tratta da Wikipedia.

  1. San Sisto vescovo di Roma ordina a San Lorenzo arcidiacono di vendere i vasi della chiesa
  2. San Lorenzo vende i vasi della chiesa
  3. San Lorenzo distribuisce ai poveri il ricavato della vendita dei vasi
  4. San Sisto disputa con l’imperatore Decio
  5. San Sisto viene decapitato
  6. La sepoltura di San Sisto
  7. San Lorenzo disputa con l’imperatore Decio circa i vasi dorati
  8. San Lorenzo presenta all’imperatore gli zoppi e i ciechi a cui diede il ricavato della vendita dei vasi
  9. San Lorenzo viene bastonato
  10. San Lorenzo in carcere
  11. In carcere San Lorenzo visita gli infermi che si presentano a lui
  12. San Lorenzo converte il custode del carcere Tiburzio Callinico
  13. San Lorenzo battezza Tiburzio Callinico
  14. San Lorenzo è martirizzato sulla graticola
  15. San Ippolito seppellisce San Lorenzo
  16. San Ippolito disputa con l’imperatore Decio
  17. San Ippolito è torturato con artigli di bronzo
  18. San Ippolito smembrato con i cavalli
  19. La sepoltura di San Ippolito
  20. San Lorenzo che introduce l’altissimo imperatore dei greci Michele Paleologo nella chiesa genovese (scena centrale del drappo).

Oggi il Pallio di San Lorenzo è custodito presso il Museo di Sant’Agostino di cui costituisce ineguagliabile fiore all’occhiello.

In Copertina: Il Pallio di San Lorenzo

Vico del Sale

All’angolo con Piazza Stella si trova il Vico del Sale. Qui e nel vicino quartiere del Molo e in Darsena davanti a Porta dei Vacca, la Repubblica aveva infatti i propri magazzini di stoccaggio e rivendita del sale.

Genova, in virtù della produzione autoctona e dei suoi possedimenti sardi, ne aveva praticamente il monopolio nel Tirreno. Monopolio rafforzato inoltre dai carichi provenienti dalla Provenza e dalle Baleari.

Fu questo uno dei motivi per cui nel 1684 re Sole, con l’obiettivo di favorire Savona in questo commercio, bombardò la Superba diventando protagonista di una delle pagine più tristi della nostra millenaria storia.

Il sale come elemento di conservazione degli alimenti e in cucina era infatti talmente importante che la Repubblica aveva istituito presso San Giorgio un’apposita magistratura di otto membri che si occupava di contrattare il costo delle partite acquistate, di stabilirne il prezzo di rivendita, di riscuotere le gabelle e in generale di legiferare in materia.

Magazzini del sale del XIII sec. in Vico Palla nel quartiere del Molo. Foto di Jolanda Giorgi.

Se da un lato era infatti obbligo dei consoli acquistare tutti i carichi degli importatori che facevano scalo a Genova, dall’altro le tasse sul minerale erano per le casse della Repubblica le più elevate e remunerative in assoluto.

Dal porto partivano così carovane di muli che da Voltri percorrendo la via – detta appunto del sale – rifornivano anche il Piemonte e la Lombardia del prezioso minerale.

In copertina: Magazzini del sale in Vico del Sale. Foto di Leti Gagge.

Piazza Cavour

In Piazza Cavour gli arredi in legno stile vecchia osteria della trattoria Cavour 21 sono collocati su un tratto di strada notevolmente rialzato rispetto al livello della piazza stessa.

Si tratta di quel che rimane dell’antico tracciato della ripa coltelleria, ovvero la naturale continuazione di Sottoripa, demolito nel 1865 per la costruzione di Via Turati.

Ripa coltelleria – si chiama così – perchè qui fin dal 1262 avevano sede le botteghe della corporazione dei coltellieri. Le attività e i commerci di tali artigiani raggiunsero tra sei e settecento il periodo di maggior splendore.

Proprio come in Sottoripa infatti gli edifici, caratterizzati da logge e coperti dai portici, presentano ancora brani originali dell’acquedotto medievale.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza Cavour. Foto di Leti Gagge.