Salita dell’Oro

Tra Via Lomellini a Via Cairoli si trovavano gli antichi laboratori di oreficeria. Ne sono curiosa testimonianza ancora oggi i toponimi di salita dell’Oro e dell’adiacente vico dell’Argento. Prima dell’apertura della via Nuovissima, odierna via Cairoli, il ” Caroggio dell’Oro”, si congiungeva con una curva alla salita dei Molini e finiva in San Siro.

La Grande Bellezza…

In copertina: Foto di Giovanni Secchi

Il Britannia

Da Piazza De Ferrari percorrendo in discesa vico della Casana al civ. n. 76 si incontra il più vecchio pub di Genova, nato nel lontano 1974.

Il locale totalmente arredato in stile british dispone di tre sale. 

Le birre, in particolare quelle alla spina presenti in ben otto qualità diverse, insieme alla suggestiva atmosfera, rappresentano il punto forte.

La Grande Bellezza…

In Copertina: Il pub Britannia. Foto di Leti Gagge.

“Una città sepolta da scoprire e rivalutare”.

Negli ultimi mesi del 2021 durante i lavori di preparazione per i la sistemazione del Museo della Città di Genova nella cinquecentesca Loggia dei Mercanti in Piazza Banchi è emerso uno straordinario ritrovamento archeologico.

Reperti. Foto di Armando Pittaluga

“Ad oggi il cantiere di scavo condotto dalla Soprintendenza ha messo in evidenza due isolati della città medievale, sepolti al momento della costruzione della Loggia nel 1595, separati da vicoli e fiancheggiati da un’antica strada, corrispondente all’attuale via degli Orefici. L’eccezionalità del rinvenimento consiste nello straordinario stato di conservazione degli ambienti, sigillati al momento dell’abbandono: una bottega e un fondaco, conservato con elevati che superano i 3 m di altezza. Al loro interno le strutture di approvvigionamento idrico (condutture, canalizzazioni, pozzi e cisterne) e gli apprestamenti per le attività commerciali e artigianali (banconi che sostenevano tavolati di lavoro e di stoccaggio delle merci).

Scavi. Foto di Armando Pittaluga.

La lettura delle stratigrafie murarie consente di valutare come il primo impianto medievale possa risalire già alla metà del XII secolo, cui seguirono successive modifiche e ristrutturazioni fin quasi al momento della demolizione alla fine del ‘500. La ricerca d’archivio, ancora in corso, ha consentito di individuare la proprietà degli immobili appartenente ad antichi gruppi nobiliari (gli Usodimare, i De Nigro e gli Imperiale), e ricostruire la maglia insediativa di questo specifico settore della città, centro della vita economica e finanziaria, con le attività dei notai, dei cambi valuta e le vendite pubbliche all’asta, tra cui le famose compere del Banco di S. Giorgio.

Strade, porte, scale, muri. Foto di Armando Pittaluga.

Si tratta di un sito medievale di grande valore, collocato in un contesto urbano eccezionale, che lascia presagire ulteriori nuove e interessanti scoperte che permetteranno di arricchire la storia della città nelle epoche più remote: dagli scavi emergono infatti le prime strutture e i livelli di vita di epoca romana, ricchissimi di frammenti di anfore provenienti dalle navi che attraccavano in porto, testimonianza preziosa di come la zona di Banchi attraverso i secoli abbia svolto il fondamentale ruolo di crocevia strategico tra il porto e la città.”.

Il sito da un altro punto di vista. Foto di Armando Pittaluga.

La descrizione, nelle parti a mio parere più significative, è presa dal sito del Comune di Genova:

https://smart.comune.genova.it/comunicati-stampa-articoli/eccezionali-scoperte-archeologiche-alla-loggia-di-banchi

Per tre giorni, a partire dal 17 febbraio, il sito sarà aperto al pubblico. Grazie ad Armando Pittaluga e Lorenza Rossi per la loro preziosa testimonianza fotografica.

Proprio il 17 febbraio del 2017 se ne andò il Professore che per primo intuì le straordinarie potenzialità della nostra città.

“Una città sepolta da riscoprire e rivalutare”

Cit. Ennio Poleggi professore, storico (Genova 1927-2017).

Una città impossibile…

“Genova è un atto di prepotenza dell’uomo sull’ambiente naturale e ancora oggi sconta le conseguenze di questo atto. Essa infatti si è sviluppata per un fatto di posizione nodale rispetto alle correnti di traffico. Ma alla posizione corrispondeva un sito impossibile per una città.
Senza terreni pianeggianti, ma pendii precipitosi verso il mare, senza entroterra che la potesse sostenere, la sua condizione normale non era dissimile a quella di una nave e si capisce come il popolo che questo sito selezionò fosse una razza di marinai, di commercianti, di finanzieri cioè di gente abituata a ricavare altrove il proprio sostentamento e il proprio guadagno o di sfruttare il traffico che doveva passare per questo porto. Un sicuro approdo per le merci che dalle altre sponde del Mediterraneo per le vie di oltregiogo transitavano verso i mercati della Valle Padana e dell’Europa centro occidentale o riprendevano per mare la rotta del nord Europa. E ancora adesso le possibilità di vita della città non devono essere basate su una abbondante disponibilità di terreno, ma sulle risorse umane”.

Cit. Cesare Fera architetto (1922-1995).

In Copertina: Genova vista da ponente sul monte Reixa. Foto di Andrea Polidori.

Il Battista dimenticato

E’ vero a Genova non ha lasciato traccia del suo multiforme ingegno ma ciò non giustifica il fatto che Leon Battista Alberti sia uno dei genovesi, fra quelli illustri, più dimenticati.

L’umanista per eccellenza nasce infatti a Genova nel febbraio del 1404 da Lorenzo Alberti membro di una ricca famiglia di banchieri fiorentini in esilio e da Bianca Fieschi appartenente invece ad uno dei più antichi e potenti casati della Superba.

Leon Battista fu un genio poliedrico, una delle personalità più affascinanti del Rinascimento: scrittore, architetto, crittografo, matematico, filosofo, musicista, linguista e persino archeologo.

I suoi trattati il “De pictura”, il “De statua” e il “De re aedificatoria” cambieranno i canoni precedenti ed amplieranno gli orizzonti delle rispettive discipline: nel primo definisce il concetto di prospettiva, nel secondo conferisce dignità come opera dell’ingegno e non solo manuale alla scultura e nel terzo stila un manuale per l’edilizia pubblica e privata, sia civile che militare.

Le sue opere architettoniche più celebri sono: le facciate del Palazzo Rucellai e della Basilica di Santa Maria Novella, la cappella del santo Sepolcro nella chiesa di San Pancrazio a Firenze, i rifacimenti delle chiese di San Sebastiano e di S. Andrea a Mantova, il tempio malatestiano a Rimini.

“Ieri passò, domani non ha certezza. Vivi tu adonque oggi”.

Cit da “Sentenze pitagoriche”. Leon Battista Alberti (Genova 14/18 febbraio 1404 – Roma 20/25 aprile 1472).

In Copertina: Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli Uffizi a Firenze.

Link utili:

Albèrti, Leon Battista nell’Enciclopedia Treccani

Leon Battista Alberti — Università di Bologna (unibo.it)

Leon Battista Alberti- Maietta (itgdellaporta.it)

Piazza Cernaia

Nel cuore della zona della Maddalena si trova Piazza Cernaia.

L’intitolazione del sito rimanda al fiume Cernaia in Crimea presso il quale nel 1855 si svolse l’omonima battaglia vinta dai piemontesi contro l’esercito russo.

La piazza, nonostante i suoi edifici nei secoli precedenti abbia subito diversi accorpamenti, mantiene inalterato il suo fascino.

Ai resti di quel che rimane di una piccola quanto trascurata edicola contenente un tempo la statua della Madonna della Provvidenza si deve il nome della sottostante farmacia ivi presente.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza Cernaia. Foto di Giovanni Cogorno.

Le Sciamadde

Le sciamadde, dal termine genovese sciamadda ovvero “fiammata”, costituiscono caratteristico patrimonio della gastronomia genovese.

Difficile raccontarle perché, un po’ friggitorie, un po’ rivendite di torte, un po’ forni, un po’ rosticcerie, vanno frequentate, vissute e annusate.

Eppure questi spartani locali con le pareti rivestite con le classiche piastrelle bianche, il bancone di marmo e i tavoli di legno tipo osteria, custodiscono i sapori più autentici della tradizione.

Interno dell’Antica Sciamadda di Via San Giorgio. 14r Foto di Maurizio Romeo.

La loro origine risale intorno al tardo ‘600 quando Genova aveva il monopolio del sale. Le sciamadde, fornite di forni dove si potevano anche cuocere torte e focacce, venivano infatti utilizzate come vendita al dettaglio del prezioso minerale.

La principale caratteristica della sciamadda è proprio la proposta delle: torta di bietole, di cipolla, di riso, di carciofi e Pasqualina non possono mancare.

Le torte sul bancone dell’Antica Sciamadda di Via San Giorgio 14r. Foto di Maurizio Romeo.

Così come non possono mancare il polpettone e le verdure ripiene, la farinata, la panissa sia fritta che condita con olio e aceto o limone, i friscioeu e i cuculli.

I friscioeu sono frittelle aromatizzate con salvia tritata e/o rosmarino, maggiorana ed erba cipollina. I cuculli sono identici ma preparati con la farina di ceci al posto di quella zero.

Antica Sciamadda di Via San Giorgio 14r.

Questi luoghi del gusto povero, popolare ma sincero, veri antesignani del moderno street food, vanno purtroppo scomparendo.

Le sciamadde raggiunsero infatti la massima diffusione a cavallo tra ‘800 e ‘900 quando nei caruggi si potevano trovare un po’ ovunque. Oggi, a presidiare il territorio e a preservare la tradizione -spero di non averne dimenticato qualcuna- ne rimangono circa una decina: Trattoria Sciamadda di Ravecca 19r, Antica Friggitoria Carega in Sottoripa 113r, Le Delizie dell’amico in Canneto il Lungo 31r, Antica Sciamadda in Via San Giorgio 14r, Sa Pesta in Via dei Giustiniani 16r, Farinata dei Teatri in Piazza Marsala 5r, Ostaja San Vincenzo nell’omonima via al 64r, da Domenico in Piazza Giusti 56r, Franz & Co in Via Struppa 81r e Ristorante Vexima a Voltri in Via Cerusa 1r.

Buon appetito!

In copertina: La Sciamadda di Ravecca. Foto di Stefano Eloggi.

Pasolini a Genova

Genova, giugno (1959)

“Il mare cambia colore, dopo essere scomparso per decine di chilometri in una enorme fuligginosa città di magazzini: ricompare dietro due spunzoni di roccia e una torre campanaria tra barbaresco e liberty, con una fila di grattacieli sopra un’altura color polvere, com’è polvere tutto.

Genova fuma, sfuma in un guazzabuglio supremo. L’attraversi, a metà Corso Italia, già verso Levante, ti volti, e alle tue spalle ecco la più bella visione di tutta la Liguria.

Il porto, con catene di navi, banchine battute da un mare color paglia, una frana di palazzi, impastati in un’unica polvere, e più vicino vecchie navi ruggini, moli di massi neri, il mare verde oliva, torbido come un fiume in piena, con un ghirigoro di scoglietti, isolotti, rotonde, tutto di ferro battuto, e orridi, qui sotto, con erbe, fichi d’India e spazzatura.

Nel limite di questi quadro, ai piedi di chi guarda, in fondo a un vertiginoso muraglione da città del futuro, sotto una rete di protezione, c’è una piccola spiaggia di ciottoli. Si intravede, nella luce del temporale, qualcuno che fa il bagno. Una ragazza bionda, nuda, di carne, di carne calda, in mezzo a tutto quel ferro”.

Pier Paolo Pasolini. “La lunga strada di sabbia” (1959).

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Pasolini con la maglia del Genoa. Foto dal web.

Il 29 maggio del 1975, curioso aneddoto, il famoso poeta e regista bolognese e tifoso felsineo fu protagonista, in veste di capitano, in un derby infrasettimanale beneficenza tra vecchie glorie e personaggi dello spettacolo di Genoa e Sampdoria.

In copertina: Pier Paolo Pasolini con sullo sfondo il quartiere della Foce prima della costruzione di Piazzale Jennedy e della zona. Immagine tratta dalla mostra sul regista a Palazzo Ducale di Genova (30/11/21 – 13/3/22).

Il Mattatore genovese

A ricordare i natali genovesi di Vittorio Gassman rimane una targa affissa dal Comune di Genova nel 2005.

Il celebre attore italiano nacque infatti il primo settembre 1922 in Via Benedetto da Porto nel quartiere, a quel tempo comune autonomo, di san Siro di Struppa.

Foto di Nonno Aldo.

Accanto a questo gruppo di vecchie case dotate dei classici lavatoi Vittorio mosse i primi passi.

Qui, nel Porto Antico nel 1998 con la sua versione del Moby Dick di Melville, mosse gli ultimi da artista annunciando l’addio alle scene.

Si prestò volentieri a raccontare i molteplici aspetti e caratteri storici della sua città in un documentario Rai. Con consueta arguzia ed empatia comunicativa Gassman descrive la Superba:

“Genova Soltanto un anno dopo” di Carlo Posio e Francesco di Ciccio (allego il link di un piccolo brano del racconto riproposto da Techeteche).

https://fb.watch/aIQ8Qk74F-/

Genovese dunque, non romano e romanista come molti erroneamente credevano e, di conseguenza genoano (la Sampdoria a quel tempo, essendo fondata nel 1946, non esisteva ancora).

Vittorio riceve la spilla del Genoa direttamente appuntato da Riccardo Carapellese. Foto tratta da pianetagenoa 1893.net.

A un giornalista che gli chiedeva se fosse un romanista, il grande attore infatti rispose : «No, ahimè, sono Genoano. E pur con magre soddisfazioni» Tratto da “I Racconti del Grifo. Quando parlare del Genoa è come parlare di Genova”, Nuova Editrice Genovese, 2017 (breve estratto di un racconto, “Genoani Illustri”, in vista di una seconda edizione dei racconti).

Nel centenario della nascita del Mattatore.

Genova Gennaio 2022.

In copertina: la foto della casa natale di Gassman. Foto di Nonno Aldo.

Palazzo Cicala

Al civ. n. 6 di Piazza dell’Agnello si trova il Palazzo di Vincenzo e Carlo Pallavicino, l’edificio più importante della piazzetta, noto anche come Pallavicino Richeri o Palazzo Cicala.

Fu progettato da Bernardino Cantone nel 1542 su precedenti proprietà e, nella parte esterna, era decorato con sfarzosi affreschi di Lazzaro Calvi, lo stesso magnifico artista che ha realizzato le pitture del Palazzo Antonio D’Oria (Prefettura). Oggi di queste splendide opere rimane solo una traccia sbiadita che meriterebbe un adeguato restauro.

Il portone a colonne doriche che poggiano su basi decorate con fregi di teste di leone, meduse, trofei di guerra è attribuito ai grandi maestri antelami rinascimentali (provenienti dal comasco e dall’alta Lombardia) Giacomo della Porta e Nicolò da Corte.

Non mancano purtroppo le insensate scritte, firma indelebile dell’ignoranza di chi le ha prodotte, ad imbrattare i muri.

Sull’architrave risaltano due sinuose figure femminili adagiate su un letto di cornucopie ricche di fiori e frutti, che rappresentano le virtù. In origine le due statue reggevano lo stemma del Casato che è andato perduto.

Al primo piano le finestre con gli archi a tutto tondo sono nobilitate da tre sculture di Tritoni che sorreggono panoplie. Non si conosce con certezza l’autore di tali opere tuttavia secondo alcuni studiosi sarebbero addirittura riconducibili nientepopodimeno che al Montorsoli (chiesa di S. Matteo e relativa Criptagiardini Villa del Principe).

La Grande Bellezza…

In copertina: Palazzo Cicala. Foto di Stefano Eloggi.