Edicola della Madonna Assunta

In Largo Eros Lanfranco sull’angolo sud del Palazzo Antonio Doria (odierna Prefettura) si staglia una splendida settecentesca edicola marmorea bianca.

L’elegante tabernacolo accoglie la statua della Vergine che poggia su un basamento molto sporgente.

Dai riccioli della cornice spuntano ai lati due angeli in contemplazione, uno dei quali in posa da preghiera.

Al centro del fastigio a motivi curvilinei due teste di cherubini sottostanti il semi timpano che si slancia in cuspide.

In Copertina: La Madonna Assunta di Largo Lanfranco. Foto di Giovanni Caciagli.

Atrio di Palazzo Cosma Centurione

In via Lomellini n. 8 si trova il prestigioso palazzo Cosma Centurione, anche Durazzo Pallavicini dai suoi successivi proprietari.

Nell’atrio, adornato da colonne doriche, della settecentesca dimora si trova un ninfeo che, sormontato da una conchiglia sulla volta, rappresenta Diana cacciatrice.

In Copertina: atrio di Palazzo Centurione in via Lomellini n. 8. Foto di Stefano Eloggi.

Vico di Mezzagalera

Vico Mezzagalera fa parte di quel gruppo di caruggi in zona delle Erbe che ospitò l’ultimo ghetto ebraico cittadino (in precedenza al Molo e in zona di Porta dei Vacca).

La contrada fu quasi completamente distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e ricostruita, in maniera molto discutibile, in concomitanza delle Colombiadi.

In occasione degli scavi del 1992 furono ritrovate strutture murarie di epoca romana datate tra il I sec. a. C. e il I sec. d. C., una grande cisterna con relative condotte, un pozzo medievale, monete, ceramiche e soprattutto il famoso anfiteatro romano sottostante i Giardini Luzzati di Vico dei Tre Re Magi.

L’origine del toponimo rimanda alla presenza in loco di abitazioni che venivano ipotecate dalla Repubblica come garanzia per finanziare con denaro pubblico l’allestimento di navi di piccole dimensioni rispetto alle galee, dette appunto mezze galere.

In Copertina: Vico Mezzagalera. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.

Vico del Tempo Buono

Nel tratto da via della Maddalena a piazza S. Maria degli Angeli si incontra il vico del Tempo Buono, suggestivo scorcio di una Genova dimenticata.

L’origine del toponimo nulla ha a che vedere con questioni climatiche ma rimanda alla presenza in loco di un palazzo appartenente alla nobile famiglia dei Buontempo.


”Nebbia bassa, bon tempo a lascia”. Antico proverbio genovese.

In Copertina: Vico del Tempo Buono. Foto di Stefano Eloggi.

Genova città di frontiera

“Genova è una sorta di città di frontiera, con il mare e quindi le culture mediterranee di fronte, e l’Europa continentale alle spalle. E la mia città mentale è così anche verticale, dai monti al mare con tutto quello che ci sta in mezzo”.

Cit. Max Manfredi cantautore (Genova 1956).

In Copertina: Panorama genovese. Foto di Anna Armenise.

La lastra dei Malocello

Sul portale di San Gottardo della cattedrale di San Lorenzo è incastonata una lastra con iscrizioni celebrative e stemmi araldici della famiglia Malocello.

Una schiatta originaria di Varazze che ebbe fra i propri esponenti ammiragli, diplomatici, senatori ed esploratori.

Nel 1231 si segnala un tal Barbone capitano di ben 15 galee. Nel 1241 Giacomo è almirante del Papa.

Nel 1339 Pietro è l’artefice, presso la sua villa di Sturla, dell’avvelenamento di Simone Boccanegra, primo doge di Genova.

Furono a lungo signori di Varazze e Albissola prima di cederla dietro cospicuo compenso alla Repubblica.

Nel 1528 con la riforma degli Alberghi furono ascritti nei De Marini.

Il casato si è da secoli estinto ma la sua gloria si perpetua nel nome dell’isola canaria di Lanzarote intitolata a Lanzarotto (o Lanzerotto) l’esploratore che la scoprì nel 1312.

In Copertina: la lastra dei Malocello.

Vico delle Pietre Preziose

Nel quartiere del Molo tra via delle Grazie e Vico dietro il coro di San Cosimo si trova il vico delle Pietre Preziose.

Non si hanno certezze sull’origine del toponimo del caruggio anche se si ipotizza, in virtù dei floridi commerci noti già dal XII secolo, derivi dal lucroso mercato di gemme con l’Oriente.

Si suppone quindi che qui avessero sede i laboratori e le botteghe di pietre preziose importate in città dai nostri mercanti.

Alcune di queste attività artigiane erano specializzate nel confezionare dei contenitori detti “arche” per custodire i gioielli.

Tali arche erano realizzate in ferro, ottone e legno di noce e decorate con elaborate incisioni.

In Copertina: Vico delle Pietre Preziose. Foto di Leti Gagge.

Edicola in Sottoripa la Scura

Nella zona di Sottoripa la Scura allo sbocco dello strettissimo caruggio di vico della Madonna con via del Campo si trova un tabernacolo vuoto.

L’edicola conteneva un tempo una Madonna che dava il nome all’omonimo vicolo.

Il tempietto, decorato con riccioli a volute e sormontato da due teste di angeli con raggiera, versa nel più completo degrado.

In Copertina: Edicola in Sottoripa la Scura. Foto di Stefano Eloggi.

Edicola in Via San Luca angolo vico del Serriglio

In Via San Luca all’angolo con vico del Serriglio si incontra un grande medaglione ovale in marmo.

La cornice è scolpita con cherubini alati e sulla mensola all base è inciso il motto SINE LABE.

La sei/settecentesca edicola in origine conteneva un dipinto di Madonna col Bambino oggi scomparso recentemente sostituita con una moderna immagine di Gesù.

In Copertina: Edicola in San Luca. Foto di Raffaele Repetto.

Vico San Biagio

Vico San Biagio è un caruggio dimenticato e poco conosciuto che si trova nel quartiere del Molo tra via san Bernardo e Piazza Embriaci.

Prima della sua attribuzione al santo avvenuta nel 1868 il vicolo si chiamava vico dell’Amore ma già da tempo ospitava un oratorio a questi dedicato.

La modifica del toponimo è legata all’intitolazione da parte dei ragusei della cappella della chiesa di Santa Maria di Castello appunto a san Biagio nel 1581.

Costoro, visti i frequenti e proficui rapporti con la nostra città, avevano ottenuto di potervi erigere un altare per la propria comunità.

Biagio era infatti una figura molto amata e venerata dai marinai della Repubblica, odierna Dubrovnik in Croazia, di Ragusa.

Le navi dalmate che approdavano nel porto di Genova destinavano addirittura un obolo di quattro lire per il mantenimento della cappella.  

Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana. Avendo costui guarito miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato come protettore per i mali di quella parte del corpo. Da ciò risale il rito della “benedizione della gola”, compiuto con due candele incrociate. Nell’VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie a Maratea (Potenza), di cui è patrono e dove è sorta una basilica sul Monte San Biagio.

A proposito dell’associazione santo gola Milano con il panettone e Genova con il pandolce sono legate da un’antica tradizione popolare che prevedeva di tenere da parte il giorno di Natale una fetta del dolce da consumare proprio il 3 febbraio festa di San Biagio, protettore della gola.

Il caruggio, prima della sua intitolazione al vescovo armeno avvenuta nel 1868, si chiamava vico dell’Amore perché pullulava di case di piacere.

Tra la targa del nome del vicolo e la finestra inferriata nell’intonaco scrostato si intravedono brani di antiche pietre e una loggia murata.

La Grande Bellezza…

In Copertina: Vico San Biagio. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.