Vico dietro il Coro della Maddalena

Da via Garibaldi basta imboccare un qualsiasi vicolo per immergersi nel ventre oscuro dei caruggi dove le prostitute esercitano la professione più antica del mondo e gli extra comunitari offrono le loro merci nei bazar contrattando in idiomi sconosciuti.

L’Agnus Dei. Foto di Leti Gagge.

Uno di questi caruggi è vico Dietro il Coro della Maddalena dove a darci il benvenuto e a ricordarci che siamo a Genova e non nella casba araba sono un sovrapporta in pietra del XV secolo della Vergine e una tavella con l’Agnus Dei e uno stemma abraso del XIV sec.

La Vergine con Il Bambinello in piedi. Foto di Leti Gagge.

Se quest’ultimo risulta tutto sommato in buone condizioni, lo stesso non si può dire del sovrapporta in cui la Madonna e il Bambinello in piedi risultano mutili e abrasi in varie parti e soprattutto nei volti.

Ai lati due santi reggono uno un bastone, l’altro dei doni.

Qui al civ. n. 26 si trova anche il locale il Cadraio il cui nome legato all’antico mestiere di servire direttamente a bordo delle navi i pasti, rimanda alla più stretta e pragmatica tradizione culinaria genovese.

In Copertina: Vico dietro il Coro della Maddalena. Foto di Leti Gagge.

I Gattafin

A Levanto una cava di pietra raggiungibile dal mare chiamata “la gatta” simboleggia la secolare tenacia di un popolo e custodisce orgogliosamente una golosa tradizione culinaria.

Da questo sito infatti deriverebbe il curioso termine gattafin con il quale si identifica il piatto tipico della zona.

Gatta e fin ovvero le erbe fini che i mariti portavano al termine della loro faticosa giornata di lavoro alle mogli dopo averle raccolte nei pressi della cava.

Nascono così i gattafin golosi ravioli di pasta matta ottenuti con un ripieno di erbe aromatiche, formaggio, uova, noce moscata e pan grattato, fritti in olio d’oliva.

A questa che è la versione che piace più ai levantesi se ne affianca un’altra, più plausibile, che rimanda invece alla genesi del termine gattafura, la torta di verdure antenata della torta Pasqualina.

Il primo che ne fece menzione fu nel Quattrocento nel suo “Libro de arte coquinaria” il celebre Maestro Martino de Rubeis, padre della cucina rinascimentale.

Con la parola gattafure infatti, citata poi nel ‘500 sia da Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio V, che da Ortensio Lando nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano”, si indicavano e raggruppavano tutte le torte di verdure di origine ligure già nel XV sec.

Gattafin coscì piccini
Me pagêi di raviéulin
Ho capîo gh’é meno pín
E se mangiàn co o bóchin
Ma pe n’ommo c’o travàggia
Ghe ne voriêiva ‘n cavagnìn
Pe piaxéi fæli normali
Cómme all’ùzo Levantin
Belli gròsci, gónfi e pìn
e presentëli ciù a o mödin. . .

Versi di Gianfilippo Noceti.

  • Per il ripieno:
  • Bietole erbette o selvatiche,
  • erbette miste di campo,
  • cipollotti o cipolle dolci,
  • maggiorana fresca,
  • uova,
  • parmigiano grattugiato,
  • pecorino sardo stagionato,
  • olio extravergine d’oliva,
  • sale marino
  • (pepe o noce moscata)
  • facoltativa ricotta fresca
  • Per la pasta:
  • Farina tipo “O”,
  • olio extravergine d’oliva,
  • sale,
  • acqua
  • (vino bianco oppure un uovo)

In Copertina: i gattafin. Foto di Domenica Mafrica.

Vico dei Caprettari

Certo vedere le serrande abbassate nel caruggio fa un po’impressione.

In epoca medievale invece doveva essere un vico molto vivace e frequentato poiché qui avevano sede le macellerie ovine.

Oggi è un vicolo dimenticato che dai portici di Via Turati si inserisce nel budello di Canneto il Lungo e Canneto il Curto.

Oltre alla rivendita vinicola dell’antica vineria, nel caruggio si trova la famosa Barberia Giacalone con il suo secolare inconfondibile stile liberty.

In Copertina: Vico dei Caprettari. Foto di Stefano Eloggi.

I Portici di via Turati

Ormai i portici di Via Filippo Turati fanno parte consolidata del nostro patrimonio affettivo ma c’è stato un tempo in cui al loro posto v’era un pezzo della vera Genova medievale.

Erano questi infatti i portici della Ripa Cultellinorum il tratto finale lato levante di Sottoripa.

Di quel passato resta sbiadita traccia nei retrostanti palazzi che da Canneto il Curto, Vico Caprettari, vico dei Luxoro e vico della Stampa sono stati inglobati nelle nuove costruzioni.

I quattro palazzi ottocenteschi, ridondanti di stucchi, che sovrastano i portici che avrebbero dovuto ospitare eleganti esercizi commerciali legati al porto (Bollo Nautica resiste ancora), anche se ormai ci siamo abituati, sono fuori completamente avulsi dal contesto.

I lavori di abbattimento della Ripa (1835-1840) si resero necessari per l’apertura di via San Lorenzo e qualche anno più tardi nel 1861 con l’unità d’Italia si decise di allargare l’ex tracciato della Ripa intitolandolo al re Vittorio Emanuele II.

Lo scopo dichiarato era quello di migliorare la viabilità verso il levante cittadino e di aumentare gli antistanti spazi portuali destinati alle movimentazioni delle merci.

Nel 1946 il nome della strada cambierà in quello attuale intitolata a Filippo Turati uno dei fondatori a Genova nel 1892 del Partito dei Lavoratori italiani (il futuro Partito Socialista).

In Copertina: I portici di Via Turati. Foto di Giovanni Cogorno.

Portale Vico dei Ragazzi n.7

Al.n. 7 di Vico dei Ragazzi alzando lo sguardo sul palazzo a cui si accede dal civ. n. 3 si possono notare le tracce di un antico portale in pietra di Promontorio.

Del manufatto risalente al XIII sec. rimane il trave su cui si intuisce una Madonna col Bambino rappresentata in rilievo dentro una corona floreale sorretta da due angeli.

Lo storico ottocentesco Alizeri ci racconta che ai lati erano incisi candelabri, mostri alati, uccelli esotici ora indecifrabili.

All’angolo destro sullo stipite rimane un medaglione imperiale.

In Copertina: il Portale di Vico dei Ragazzi n. 7. Foto di Leti Gagge.

Fritto Misto alla Genovese

Il fritto misto alla genovese è una pietanza completa a base di ortaggi di stagione (patate, carciofi, carote, zucchini, fiori di zucca, cavolfiore, funghi, scorzena), frattaglie (fegato, cervello coratella), carne (fettine di vitello e costolette di agnello), frisceu (lattuga, cipolla e salvia), mele e latte brusco, oggi più frequentemente sostituito dal latte dolce, fritti rigorosamente in olio di oliva.  

Ricetta tratta da La cuciniera genovese, con sottotitolo La Vera Maniera di cucinare alla genovese, di G.B Ratto del 1863”. L’immagine della foto è ovviamente una recente ristampa.

Imperdibili con gli ingredienti sopra citati sono gli stecchi (spiedini) e le negie (ostie) le due preparazioni più caratterizzanti del piatto.

Una ricetta talmente consolidata nella nostra tradizione che il Ratto, raccomandandola a stomaci forti, ritiene opportuno descriverla in non più di tre righe.

In Copertina: Fritto Misto alla Genovese realizzato dalla Trattoria “Settembrin” di Carasco. Foto di Maurizio Romeo.

Archivolto di S. Giovanni il Vecchio

Ecco un classico esempio dei magici e suggestivi scorci che solo Genova sa regalare a chi ha voglia di esplorare la Superba al di fuori delle solite inflazionate direttrici.

Tra piazza San Giovanni il Vecchio e via Tomnaso Reggio l’archivolto funge da finestra su un mondo incantato dove sembra di essere ancora in pieno Medioevo.

In Copertina: Archivolto di San Giovanni il Vecchio. Foto di Giovanni Cogorno.

Edicola sotto archivolto di via dei Giustiniani 9

Sotto l’archivolto di via dei Giustiniani n. 9 si trova un imponente tabernacolo che originariamente conteneva una settecentesca Madonna con Bambino e Angeli.

Al posto della statua andata trafugata o persa è stato inserito un medaglione tondo con il volto di Gesù.

Purtroppo l’edicola, nonostante i brani colorati ne lascino intravedere l’antico splendore, versa nel più completo abbandono.

O Læte doçe. (Il Latte dolce).

Alzi la mano chi, quando arriva in tavola il fritto misto alla genovese, non va subito a cercare il latte dolce anticipando i commensali per paura che finisca?

Con il suo gusto inconfondibile il latte dolce ci riporta indietro nel tempo ad una cucina antica semplice e golosa.

Una coccola di cui noi genovesi non possiamo proprio fare a meno.

Le frittelle di crema come le chiama il Ratto nella sua “Cuciniera genovese” sono infatti per me un piacere irrinunciabile.

In realtà nel fritto misto di terra sopra citato preparato in tutta la Liguria andrebbe il latte brusco (il latte dolce sarebbe dunque eventualmente in aggiunta) che, pur essendo molto simile, differisce rispetto al latte dolce sia nella preparazione (dosaggio ingredienti più leggero) che nella sapidità, (essendo con prezzemolo e cipollina una portata salata).

“Ricetta tratta da La cuciniera genovese, con sottotitolo La Vera Maniera di cucinare alla genovese, di G.B Ratto del 1863”. L’immagine della foto è ovviamente una recente ristampa.