Edicola sotto archivolto di via dei Giustiniani 9

Sotto l’archivolto di via dei Giustiniani n. 9 si trova un imponente tabernacolo che originariamente conteneva una settecentesca Madonna con Bambino e Angeli.

Al posto della statua andata trafugata o persa è stato inserito un medaglione tondo con il volto di Gesù.

Purtroppo l’edicola, nonostante i brani colorati ne lascino intravedere l’antico splendore, versa nel più completo abbandono.

O Læte doçe. (Il Latte dolce).

Alzi la mano chi, quando arriva in tavola il fritto misto alla genovese, non va subito a cercare il latte dolce anticipando i commensali per paura che finisca?

Con il suo gusto inconfondibile il latte dolce ci riporta indietro nel tempo ad una cucina antica semplice e golosa.

Una coccola di cui noi genovesi non possiamo proprio fare a meno.

Le frittelle di crema come le chiama il Ratto nella sua “Cuciniera genovese” sono infatti per me un piacere irrinunciabile.

In realtà nel fritto misto di terra sopra citato preparato in tutta la Liguria andrebbe il latte brusco (il latte dolce sarebbe dunque eventualmente in aggiunta) che, pur essendo molto simile, differisce rispetto al latte dolce sia nella preparazione (dosaggio ingredienti più leggero) che nella sapidità, (essendo con prezzemolo e cipollina una portata salata).

“Ricetta tratta da La cuciniera genovese, con sottotitolo La Vera Maniera di cucinare alla genovese, di G.B Ratto del 1863”. L’immagine della foto è ovviamente una recente ristampa.

Palazzo del San Giorgio.

Anche se per la toponomastica di Sampierdarena risulta al civ. n. 14 di via Bottego il Palazzo detto del San Giorgio si trova in via Cantore.

L’edificio fu costruito nel 1926 con duplice ingresso: uno sul fianco a levante ed un altro speculare a ponente.

Quest’ultimo corrisponde al civ 3 di via Chiesa delle Grazie.

Qui sulla facciata, all’altezza del 5° piano, centrale, si nota una gigantesca statua di san Giorgio che uccide il drago.

Sotto la scultura in un imponente riquadro sono riportati i celebri versi di Giosuè Carducci: “Io vo vedere il cavalier de’ santi, il santo io vo veder de’ cavalieri“ (la stessa dedica è apposta sotto l’affresco del santo nel cortile di palazzo San Giorgio).

La citazione è tratta dal 7° ed 8° verso del sonetto XIV delle Rime Nuove  scritte nel 1886 col titolo originale di “Ripassando per Firenze” e poi pubblicato col titolo definitivo “San Giorgio di Donatello”.

Presente l’effigie di San Giorgio, a completare i simboli storici di Genova, non poteva mancare nel cartiglio sottostante l’immagine del Grifone.

Prima della costruzione di Via Cantore quel tratto di via era intitolato proprio al poeta toscano perché era stato fra gli intellettuali che nel 1889 si era battuto per la salvaguardia del Palazzo San Giorgio che rischiava invece di essere abbattuto in nome della modernità.

Per l’occasione Carducci scrisse una poesia intitolata appunto “Palazzo di san Giorgio” rimasta un frammento, pubblicato come “aggiunta” alle “Odi Barbare – Rime e ritmi”:

Palazzo san Giorgio – aggiunta di poesie – XVII – luglio 1889.

   «Stava su gli archi vigile vindice

   «il grifio: sotto l’artiglio ferreo

   «la lupa anelava, parea

   «l’aquila stridere, franta l’ale.

   «tale i nemici di Genova infrangere

   «usa: diceva la scritta…

Il futuro premio Nobel per la Letteratura – a spiegarlo è egli stesso in un appunto autografo – usa volutamente il termine “grifio” come simbolo di Genova che preme un’aquila stemma dell’imperatore Federico, ed una lupa stemma di Pisa.

Chiaro il riferimento al secolare e glorioso motto di guerra della Repubblica “Griphus ut has angit sic hostes Ianua frangit” secondo il quale il Grifone artiglia con una zampa l’aquila e con l’altra la volpe (l’illustre letterato si era dunque confuso scambiando la volpe con la lupa).

Per questo in suo onore, a tramandarne memoria, sul palazzo sono stati trascritti i suoi versi.

In Copertina: Palazzo del San Giorgio a Sampierdarena.

Vico del Cioccolatte

Nel quartiere del Carmine numerosi sono i toponimi che rimandano all’antica vocazione pasticcera della zona.

È questo ad esempio il caso del vico del Cioccolatte dove avevano sede nel ‘600 i laboratori dei maestri cioccolatai.

Nel caratteristico caruggio si incontrano i resti di una cornice che conteneva un monumentale dipinto. Osservando l’intonaco scrostato si possono notare ancora tracce del profilo di una Madonna con Bambino attorniata da altri non identificati personaggi.

In Copertina: Vico del Cioccolatte. Foto di Franco Risso

A Lanterna de Zena

A Lanterna de Zena  l’è fæta a trei canti, 
Maria co-i guanti lasciæla passà.
A tr’öue de nêutte e tutti l’han vista
a fava a fiorista vestîa da mainâ.
Cattæghe ‘na roba, cattæghe ûn frexetto
cattæghe ûn ometto, pe fâla ballâ.

La Lanterna di Genova è fatta a tre angoli,                                
Maria con i guanti lasciatela passare.
Lavora di notte e tutti l’han vista 
faceva la fiorista vestita da marinaio.
Compratele un vestito, compratele un nastro
trovatele un ometto, per farla ballare.

Questa antica filastrocca popolare del ‘700 testimonia come da qualunque punto la si guardasse, la Lanterna mostrasse sempre tre lati.

In Copertina: La Lanterna di Genova. Foto di Antonio Corrado.

Piazza Macelli di Soziglia

In questa piazza dove le palazzate colorate si arrampicano le une sulle altre alla ricerca di un posto al sole, non servono spiegazioni, bisogna solo ascoltare i suoni mediterranei delle parlate ed ammirare i vivaci colori che i besagnini dipingono sui loro banchi, mischiati a quelli argentei pennellati dai pescivendoli.

Infine occorre abbandonarsi, “In quell’aria carica di sale, gonfia di odori “ cantava Faber, agli invitanti aromi provenienti delle botteghe e respirare… Genova.

Genova febbraio 2016.

In Copertina: Piazza dei Macelli di Soziglia. Foto di Stefano Eloggi.

Mercanti

‘La città pullula di ricchi mercanti che viaggiano per terra e per mare e si avventurano in imprese facili e difficili.

I genovesi, dotati di un naviglio formidabile, sono esperti nelle insidie della guerra e nelle arti del governo; tra tutte le genti latine sono quelle che godono di maggior prestigio.

Cit Muhammad al-Idrisi (1099-1164) geografo e viaggiatore arabo.

In Copertina: il porto di Acri assediato nel 1291 dai Mamelucchi, miniatura dal trattato di Cocharelli “Sui Sette vizi capitali”. Genova 1330-1340.

Massacan

Intorno all’origine del termine genovese massacan che significa muratore in italiano, nel corso dei secoli sono fiorite diverse leggende.

Ad esempio quella legata al magico luogo di Campopisano che ha fornito spunto per una colorita spiegazione secondo la quale i Nobili genovesi portavano i loro figli a guardare i prigionieri ivi alloggiati mentre faticavano e, indicandoli dicevano con disprezzo:”Mia sta massa de can” (Guarda questa massa di cani).

D’altra parte che tra i due popoli non corresse buon sangue è testimoniato dal vecchio adagio che recita:

“Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”.

Altre fonti raccontano invece di un attacco turco alla città nel ‘500 sventato dalla prontezza e dal coraggio degli operai che stavano lavorando alla costruzione di porta Siberia, o meglio, del Molo.

Costoro avvistarono i saraceni all’orizzonte e al grido di “massa i can” (ammazza i cani) saltarono sulle galee e li respinsero.

Secondo i glottologi invece queste sono solo fantasiose ipotesi perché l’origine della parola, per la prima volta citata nel 1178 in relazione ad un tal Anrico Maçacano, magister antelamo savonese (cioè tagliapietre) che esercitava tale professione, risale all’etimo diffuso anche in altre lingue e dialetti con il significato di “ciottolo, pietra arrotondata” della quale ci si serviva per scacciare (ed eventualmente ammazzare) i cani molesti.

Da qui il passaggio a “sasso” in genere, poi a “pietra da costruzione” e infine, per estensione, nell’area ligure a “muratore”.

Se già in alcuni documenti savonesi nel 1272-1273 il termine significava “pietra da costruzione”, lo si trova per la prima volta in volgare genovese nel 1471 e poi nel 1475 legato ai magistri antelami che operavano a Caffa in Crimea.

(Piccolo dizionario etimologico ligure” del Prof Fiorenzo Toso ed. Zona 2015).

In Copertina: Cantiere medievale.
Bibbia Maciejowski. Immagine tratta da historiemedievali.blogspot.com

Vico Fumo

Ignota l’origine del toponimo di vico del Fumo, si sa soltanto che è molto antico. E’ un vicoletto di pochi metri situato tra il muro esterno della chiesa di S.Giorgio ed il palazzo di Grillo Cattaneo.

Quella che si intravede al centro dello scatto è un lato della chiesa, dedicata al martire Pisano, di San Torpete.

Sulla destra invece attraverso una porticina lungo il muro perimetrale della chiesa intitolata al protettore militare genovese si accede ad un singolare appartamento che, disposto su più livelli in un labirintico percorso, presenta dei vani completamente curvilinei a seguire il profilo della cupola.

In Copertina: Vico del Fumo. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico Squarciafico

Passando da vico Ragazzi a piazza delle Scuole Pie si incontra vico Squarciafico.

L’origine del toponimo rimanda alla nobile omonima famiglia proveniente attorno al 1100 dalla Germania che qui aveva le proprie dimore.

Se “questi muri potessero parlare” -come cantavano De André e Baccini- racconterebbero storie di ambasciatori, ammiragli e poeti:
il primo Squarciafico di cui si ha notizia fu Oberto che nel 1169 combattè fra le file dei lucchesi e nel 1188 fece parte della delegazione incaricata di trattare la pace con i pisani; sempre a proposito di pisani un tal Montanaro nel 1283 fu capitano di nove galee schierate contro i toscani; nel 1361 Oberto fu signore, prima di cederle alla Repubblica di Genova, di Ceriana e Sanremo; Antonio nel 1386 fu ambasciatore presso il re di Aragona e Clemente nel 1428 fu presente nelle trattative imbastite con il re Alfonso; nel 1459 all’ammiraglio Oberto venne affidato il compito di difendere la roccaforte di Bonifacio in Corsica; nel 1580 Oberto fu investito del titolo di Marchese di Galabarca nel Regno di Napoli; Gio Batta nel 1605 fu senatore della Repubblica e nel secolo XVII Vincenzo fu un letterato di discreto successo.

Dopo la riforma del 1528, gli Squarciafico chee nel 1414 formavano già un loro Albergo, confluirono in quello dei Cicala.

In Copertina: Vico Squarciafico. Foto di Giovanni Cogorno.