I Barbagiuai

I Barbagiuai sono degli appetitosi ravioli fritti tipici della Val Nervia nell’entroterra di Ventimiglia.

Di primo acchito sembrano molto simili ai Gattafin dai quali si differenziano però nel ripieno composto anziché da erbette, da zucca, riso e, ovviamente formaggio.

Quest’ultimo è il “Brussu”, la caratteristica ricotta fermentata della zona che, con il suo marcato sapore, si sposa a meraviglia con il gusto dolce e vellutato della zucca.

I Barbagiuai si possono consumare sia caldi che freddi, come sfizioso aperitivo, o goloso antipasto.

Io preferisco godermeli ancora cocenti quando la scioglievolezza del ripieno contenuta nel morbido involucro favorisce, con “sommo gaudio” del palato, il contrastato matrimonio “dolce/salato”.

Di certo sia i levantini Gattafin che i ponentini Barbagiuai trovano comune genesi nell’antenata, la nonna di tutte le torte di verdure liguri, la Gattafura.

Curiosa l’origine del nome che rimanda ad un’antica leggenda popolare che decreta come inventore del piatto un cuoco, tal Barba Giuà (Zio Giovanni in lingua ligure).

Da qui quindi i Barbagiuai che vengono così chiamati anche nel vicino Principato di Monaco.

A Camporosso in provincia di Imperia ogni autunno si svolge la sagra ad essi dedicata giunta quest’anno alla sessantesima edizione.

In realtà tale preparazione è diffusa un po’ in tutta l’area provenzale. Pare infatti che la paternità dei Barbagiuai appartenga al piccolo paese di Castellar, vicino a Mentone e che nell’area d’Oltralpe siano chiamati Tourtons.

Ingredienti
per la sfoglia: 600 grammi di farina, acqua, olio di oliva taggiasca, sale.
Per il ripieno: un chilo di zucca, 150 grammi di riso, un uovo, un cucchiaio di brusso, 100 grammi di parmigiano e sardo, maggiorana, mezzo spicchio d’aglio, pepe, sale, olio di oliva taggiasca, latte. A seconda dei paesi, il ripieno può variare: qualcuno aggiunge alla zucca i fagiolini o la bietola.

Preparazione:
Impastate la farina, l’acqua, l’olio e il sale. Possibilmente il giorno prima sbollentate la zucca tagliata a pezzetti e, una volta scolata e raffreddata, strizzatela ben bene per poi passarla al passaverdure grosso. Nella versione del ripieno con i fagiolini, farli bollire e passarli nel passaverdura insieme alla zucca. Cuocere il riso in latte e acqua.
In una terrina amalgamate il riso, i formaggi, la purea di zucca (e di fagiolini), il sale, il pepe, l’uovo e la maggiorana.
Stendete la pasta sottilissima e ritagliate dei quadrati di sei-otto centimetri circa. Disponete sulla metà della sfoglia tanti cucchiai di ripieno equidistanti tra loro, ricoprite con l’altra metà e premete per chiudere. Disponete i ravioli in una teglia e cuoceteli in forno o friggeteli in olio di oliva extravergine affinché diventino croccanti e dorati. Si dispongono su di un piatto e dopo una spruzzatina di sale, si servono ancora caldi.

Ricetta tratta dal sito lamialiguria.it

In Copertina: Foto di Maxchiaraleao Teo da Camporosso (Im).

Porta di San Pietro

Al di là del suggestivo scatto che inquadra l’accesso a Piazza Banchi visto da Piazza Cinque Lampadi si sta passando sotto l’arco della porta di ponente delle Mura del X secolo.

Tale varco detto porta di San Pietro restò in auge fino al 1155 quando vennero erette le Mura del Barbarossa.

Da qui anche l’invito l’intitolazione dell’attigua primitiva chiesa di S. Pietro della Porta, altrimenti nota come S. Pietro in Banchi.

Alzando gli occhi si può ancora intuire la conformazione a torre con i primi due piani in pietra del palazzo che l’ha inglobata di epoca romanica (XII-XIII sec.).

I piani superiori invece sono inficiati da modifiche effettuate nel XVII secolo e da sopraelevazioni successive.

In Copertina: Porta di San Pietro vista dal lato di Piazza Cinque Lampadi. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico dietro il Coro della Maddalena

Da via Garibaldi basta imboccare un qualsiasi vicolo per immergersi nel ventre oscuro dei caruggi dove le prostitute esercitano la professione più antica del mondo e gli extra comunitari offrono le loro merci nei bazar contrattando in idiomi sconosciuti.

L’Agnus Dei. Foto di Leti Gagge.

Uno di questi caruggi è vico Dietro il Coro della Maddalena dove a darci il benvenuto e a ricordarci che siamo a Genova e non nella casba araba sono un sovrapporta in pietra del XV secolo della Vergine e una tavella con l’Agnus Dei e uno stemma abraso del XIV sec.

La Vergine con Il Bambinello in piedi. Foto di Leti Gagge.

Se quest’ultimo risulta tutto sommato in buone condizioni, lo stesso non si può dire del sovrapporta in cui la Madonna e il Bambinello in piedi risultano mutili e abrasi in varie parti e soprattutto nei volti.

Ai lati due santi reggono uno un bastone, l’altro dei doni.

Qui al civ. n. 26 si trova anche il locale il Cadraio il cui nome legato all’antico mestiere di servire direttamente a bordo delle navi i pasti, rimanda alla più stretta e pragmatica tradizione culinaria genovese.

In Copertina: Vico dietro il Coro della Maddalena. Foto di Leti Gagge.

I Gattafin

A Levanto una cava di pietra raggiungibile dal mare chiamata “la gatta” simboleggia la secolare tenacia di un popolo e custodisce orgogliosamente una golosa tradizione culinaria.

Da questo sito infatti deriverebbe il curioso termine gattafin con il quale si identifica il piatto tipico della zona.

Gatta e fin ovvero le erbe fini che i mariti portavano al termine della loro faticosa giornata di lavoro alle mogli dopo averle raccolte nei pressi della cava.

Nascono così i gattafin golosi ravioli di pasta matta ottenuti con un ripieno di erbe aromatiche, formaggio, uova, noce moscata e pan grattato, fritti in olio d’oliva.

A questa che è la versione che piace più ai levantesi se ne affianca un’altra, più plausibile, che rimanda invece alla genesi del termine gattafura, la torta di verdure antenata della torta Pasqualina.

Il primo che ne fece menzione fu nel Quattrocento nel suo “Libro de arte coquinaria” il celebre Maestro Martino de Rubeis, padre della cucina rinascimentale.

Con la parola gattafure infatti, citata poi nel ‘500 sia da Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio V, che da Ortensio Lando nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano”, si indicavano e raggruppavano tutte le torte di verdure di origine ligure già nel XV sec.

Gattafin coscì piccini
Me pagêi di raviéulin
Ho capîo gh’é meno pín
E se mangiàn co o bóchin
Ma pe n’ommo c’o travàggia
Ghe ne voriêiva ‘n cavagnìn
Pe piaxéi fæli normali
Cómme all’ùzo Levantin
Belli gròsci, gónfi e pìn
e presentëli ciù a o mödin. . .

Versi di Gianfilippo Noceti.

  • Per il ripieno:
  • Bietole erbette o selvatiche,
  • erbette miste di campo,
  • cipollotti o cipolle dolci,
  • maggiorana fresca,
  • uova,
  • parmigiano grattugiato,
  • pecorino sardo stagionato,
  • olio extravergine d’oliva,
  • sale marino
  • (pepe o noce moscata)
  • facoltativa ricotta fresca
  • Per la pasta:
  • Farina tipo “O”,
  • olio extravergine d’oliva,
  • sale,
  • acqua
  • (vino bianco oppure un uovo)

In Copertina: i gattafin. Foto di Domenica Mafrica.

Vico dei Caprettari

Certo vedere le serrande abbassate nel caruggio fa un po’impressione.

In epoca medievale invece doveva essere un vico molto vivace e frequentato poiché qui avevano sede le macellerie ovine.

Oggi è un vicolo dimenticato che dai portici di Via Turati si inserisce nel budello di Canneto il Lungo e Canneto il Curto.

Oltre alla rivendita vinicola dell’antica vineria, nel caruggio si trova la famosa Barberia Giacalone con il suo secolare inconfondibile stile liberty.

In Copertina: Vico dei Caprettari. Foto di Stefano Eloggi.

I Portici di via Turati

Ormai i portici di Via Filippo Turati fanno parte consolidata del nostro patrimonio affettivo ma c’è stato un tempo in cui al loro posto v’era un pezzo della vera Genova medievale.

Erano questi infatti i portici della Ripa Cultellinorum il tratto finale lato levante di Sottoripa.

Di quel passato resta sbiadita traccia nei retrostanti palazzi che da Canneto il Curto, Vico Caprettari, vico dei Luxoro e vico della Stampa sono stati inglobati nelle nuove costruzioni.

I quattro palazzi ottocenteschi, ridondanti di stucchi, che sovrastano i portici che avrebbero dovuto ospitare eleganti esercizi commerciali legati al porto (Bollo Nautica resiste ancora), anche se ormai ci siamo abituati, sono fuori completamente avulsi dal contesto.

I lavori di abbattimento della Ripa (1835-1840) si resero necessari per l’apertura di via San Lorenzo e qualche anno più tardi nel 1861 con l’unità d’Italia si decise di allargare l’ex tracciato della Ripa intitolandolo al re Vittorio Emanuele II.

Lo scopo dichiarato era quello di migliorare la viabilità verso il levante cittadino e di aumentare gli antistanti spazi portuali destinati alle movimentazioni delle merci.

Nel 1946 il nome della strada cambierà in quello attuale intitolata a Filippo Turati uno dei fondatori a Genova nel 1892 del Partito dei Lavoratori italiani (il futuro Partito Socialista).

In Copertina: I portici di Via Turati. Foto di Giovanni Cogorno.

Portale Vico dei Ragazzi n.7

Al.n. 7 di Vico dei Ragazzi alzando lo sguardo sul palazzo a cui si accede dal civ. n. 3 si possono notare le tracce di un antico portale in pietra di Promontorio.

Del manufatto risalente al XIII sec. rimane il trave su cui si intuisce una Madonna col Bambino rappresentata in rilievo dentro una corona floreale sorretta da due angeli.

Lo storico ottocentesco Alizeri ci racconta che ai lati erano incisi candelabri, mostri alati, uccelli esotici ora indecifrabili.

All’angolo destro sullo stipite rimane un medaglione imperiale.

In Copertina: il Portale di Vico dei Ragazzi n. 7. Foto di Leti Gagge.

Fritto Misto alla Genovese

Il fritto misto alla genovese è una pietanza completa a base di ortaggi di stagione (patate, carciofi, carote, zucchini, fiori di zucca, cavolfiore, funghi, scorzena), frattaglie (fegato, cervello coratella), carne (fettine di vitello e costolette di agnello), frisceu (lattuga, cipolla e salvia), mele e latte brusco, oggi più frequentemente sostituito dal latte dolce, fritti rigorosamente in olio di oliva.  

Ricetta tratta da La cuciniera genovese, con sottotitolo La Vera Maniera di cucinare alla genovese, di G.B Ratto del 1863”. L’immagine della foto è ovviamente una recente ristampa.

Imperdibili con gli ingredienti sopra citati sono gli stecchi (spiedini) e le negie (ostie) le due preparazioni più caratterizzanti del piatto.

Una ricetta talmente consolidata nella nostra tradizione che il Ratto, raccomandandola a stomaci forti, ritiene opportuno descriverla in non più di tre righe.

In Copertina: Fritto Misto alla Genovese realizzato dalla Trattoria “Settembrin” di Carasco. Foto di Maurizio Romeo.

Archivolto di S. Giovanni il Vecchio

Ecco un classico esempio dei magici e suggestivi scorci che solo Genova sa regalare a chi ha voglia di esplorare la Superba al di fuori delle solite inflazionate direttrici.

Tra piazza San Giovanni il Vecchio e via Tomnaso Reggio l’archivolto funge da finestra su un mondo incantato dove sembra di essere ancora in pieno Medioevo.

In Copertina: Archivolto di San Giovanni il Vecchio. Foto di Giovanni Cogorno.