Il Presepe di Rio Torbido

In linea d’aria sotto il ponte dell’acquedotto storico di Genova si trova, vicino alla sede della Medical Systems, un presepe molto particolare.

Eh si, proprio particolare, perché si tratta di un presepe allestito nella veranda di un’abitazione privata.

Qui i padroni di casa ti accolgono con il sorriso e sono ben lieti ed orgogliosi di raccontarne la storia.

Ad ideare il presepe fu -racconta Anna – il papà Vito Lobosco.

L’appassionato cultore autodidatta infatti, nell’arco di 14 anni, ha realizzato a mano sia le statuine che gli sfondi pittorici di questo suggestivo presepe genovese.

In primo piano si vedono alcuni venditori e la pescheria. In alto si riconosce l’Abbazia di San Siro.
Scena con personaggi dei mestieri e di vita quotidiana completamente meccanizzati.

Così ai personaggi statici della tradizione si sono via via affiancati quelli meccanizzati legati agli antichi mestieri. Tutte le statuine e molti degli attrezzi e dei dettagli sono intagliati dal legno di tiglio.

Spettacolare il movimento meccanizzato della pigiatura dell’uva con il tino.

La scenografia di dipana attraverso due rappresentazioni principali realizzate in continuità cronologica: la prima, ambientata in un tradizionale contesto agreste della Val Bisagno, la seconda che racconta invece di panorami e luoghi cittadini.

Protagonista ovviamente la scena della Natività sul cui sfondo domina l’inconfondibile ponte sifone dell’antico condotto sul torrente Geirato, simbolo della Val Bisagno.

La parte tradizionale del presepe con le luci della sera.

A proposito di simboli e monumenti ecco la maestosa piazza De Ferrari, la cui celebre fontana realizzata riadattando un vecchio fornelletto, mentre in lontananza spuntano il campanile di San Lorenzo e le torri di Porta Soprana, vegliati a distanza dall’immancabile Lanterna.

La seconda parte del presepe con i monumenti cittadini e la Lanterna a vegliare sullo sfondo.

Ma i suggestivi scorci non finiscono qui: si riconoscono Piazza Dante, la casa di Colombo, la chiesa di San Matteo, una porzione del tracciato dell’acquedotto storico e l’abbazia di San Siro.

Ultima creazione in ordine temporale, prima della scomparsa dell’autore avvenuta nel 2019, un’accurata ricostruzione della Stazione Brignole.

La Stazione Brignole.

Gli edifici sono modellati anch’essi in legno di tiglio e compensato con l’innesto di polistirolo e materiale di riciclo.

Oggi per volere della figlia Anna il presepe di famiglia è entrato nel circuito dei presepi della Val Bisagno ed è fruibile da tutti.

Il presepe, proprio perché allestito in una casa privata non è permanente. Ad occuparsi quindi della sua impegnativa messa in opera che dura quasi un mese è il marito Maurizio Pasqua che vi accoglierà con la cordialità con cui si riceve la visita di un vecchio amico.

I padronoidi casa: Anna Lobosco e Maurizio Pasqua.

Il presepe del rio Torbido è visitabile tutti i giorni a partire dal 8 dicembre fino al 31 gennaio (tranne Natale e Santo Stefano) dalle 15 alle 19.

La casa che lo ospita si trova in Salita Massiglione 4, a due passi dal tracciato dell’Acquedotto Storico nel tratto compreso tra via Geirato e il cimitero di Molassana.

In Copertina: il Presepe di Rio Torbido. Tutte le foto sono dell’autore.

Natale 2022

La Mostardella

La Liguria -si sa- non gode di grande fama nell’ambito dell’arte della preparazione dei salumi.

A parte infatti i prodotti di Castiglione Chiavarese e di S. Olcese non abbiamo una grande tradizione in materia.

Proprio a S. Olcese, oltre al celebre salame di cui è un derivato, si prepara la mostardella un goloso insaccato realizzato con le parti di carne bovina più filacciose e meno pregiate.
Si consuma prevalentemente cruda oppure cotta e abbrustolita, tagliata a fette spesse, sulla piastra della stufa.

O almeno così lo cucinavano i nonni polceveraschi di mia moglie che me l’hanno fatta conoscere ed apprezzare.

Ricordo la soddisfazione di nonno Valle nell’offrirmi la mostardella accompagnata alle uova, appena colte dal pollaio, cotte al tegamino.

Uova al tegamino. Foto e maldestra preparazione dell’autore.

La mostardella è un prodotto di nicchia poco noto non facilmente reperibile se non nelle rivendite del territorio polceverasco.

Io, ad esempio, me la procuro presso la macelleria Martini località Santa Marta di Ceranesi.

La mostardella viene anche chiamata salame del contadino o dei poveri perché ottenuta con gli scarti dei tagli utili al confezionamento del più nobile S. Olcese e destinata quindi in origine ad un consumo più domestico che commerciale.

Eppure l’insaccato contenuto in un budello naturale di bovino, realizzato con le parti più filacciose e l’aggiunta di lardo di maiale, è davvero sapido e gustoso.

Ogni 25 aprile a S. Olcese oltre alla festa della Liberazione, si celebra la sagra del salame.

In occasione di tale evento è possibile anche gustare la mostardella alla quale è stata dedicata, al fine di valorizzarla e diffonderne la conoscenza, una manifestazione parallela.

Il consumo di questo salume in queste valli è radicato nei secoli e diventa tradizione: si tramanda infatti che, nei tempi passati, i giovani della Valpolcevera in cerca di moglie portassero l’insaccato a casa dei potenziali futuri suoceri come dono.

Se questi accettavano il presente e affettavano il salume stava a significare che il matrimonio era consentito.

Un’ultima curiosità racconta invece di tempi duri e di povertà in cui, durante l’inverno, i contadini si riciclavano, non potendo lavorare nei campi, come garzoni dei salumieri e venivano retribuiti con un chilo e mezzo di mostardella e una lira a settimana.

In Copertina: la Mostardella. Foto dell’autore.

Vico Malatti

Sito nel quartiere del Molo in origine vico Malatti era uno dei numerosi vico dell’Olio
presenti sparsi in città.

Cambiò denominazione in omaggio alla famiglia di artisti Malatti o Malatto, di cui il più insigne esponente fu Nicolò secentesco decoratore allievo di Domenico Parodi.

Sempre nel ‘600 il vico ospitò, prima di essere definitivamente trasferito in Piazza dei Tessitori (sopra piazza delle Erbe), il ghetto ebraico cittadino.


In Copertina: Vico Malatti. Foto di Giovanni Cogorno.

La volta dell’oratorio di San Filippo Neri.

Non solo negli sfarzosi palazzi nobiliari, nelle opulente chiese barocche, o in quelle misteriose medievali.

A Genova la grande bellezza si annida un po’ dappertutto ma è riservata e schiva come l’indole dei suoi stessi abitanti.

Va cercata dentro ai cortili, dietro ai portoni, negli angoli più impensabili sempre comunque con lo sguardo all’insù.

E’questo il caso ad esempio dell’oratorio di San Filippo Neri. Varcato il portone subito certo si rimane colpiti dalla Madonna del Puget, ma basta dare un’occhiata al soffitto per provare vertigine.

Ed eccoci rapiti nel vortice degli affreschi eseguiti da Giacomo Boni e dalla tela raffigurante San Filippo in estasi di Simon Duboi.

In Copertina: la volta dell’oratorio di San Filippo Neri. Foto di Stefano Eloggi.

Vico Boccadoro

Subito a sinistra di Porta Soprana si imbocca via Ravecca, la direttrice che collega il piano di S. Andrea con Sarzano.

Qui ogni traversa laterale su ambo i lati costituisce spunto per una storiella, un aneddoto, una curiosità.

È il caso ad esempio di Vico Boccadoro il caruggio che raccorda Ravecca con Vico del Fico.

Misteri della toponomastica il vico fino al 1868 si chiamava allo stesso modo del parallelo vico del Dragone.

L’intitolazione Boccadoro fu adottata in relazione al nome dell’omonima famiglia, estinta ad inizio secolo scorso, a cui lo storico Federico Donaver attribuì delle dimore in zona.

Molto più prosaicamente altri sostengono che l’origine del toponimo rimandi alle arti delle signorine che esercitavano la professione più antica del mondo in una qualche casa chiusa del caruggio.

“Narciso si chinò lentamente verso di lui e fece quello che in tanti anni della loro amicizia non aveva mai fatto, sfiorò con le sue labbra i capelli e la fronte di Boccadoro. Questi si accorse di ciò che accadeva, prima con stupore, poi con commozione “Boccadoro”, gli sussurrò all’orecchio, “perdonami di non averlo saputo dire prima”.

Cit . Da “Narciso e Boccadoro” (1930). Hermann Hesse (1877-1962). Poeta Premio Nobel svizzero/tedesco.

In Copertina: Vico Boccadoro. Foto di Stefano Eloggi.

Piazzetta dei Fregoso

Alle spalle di via del Campo, in quello che un tempo è stato il cuore del secentesco ghetto ebraico, si trovano vico e piazzetta dei Fregoso.

La zona, abbastanza abbandonata e degradata, è ricca di testimonianze del passato: edicole votive, portalini in pietra, archetti e vecchi portoni, sono visibili un pò dappertutto.

Il toponimo del sito trae origine dal nome della nobile famiglia polceverasca.

Costoro, chiamati anche Campofregoso, provenienti da Piacenza agli albori del 200 infatti si stabilirono nella valle lungo il torrente Polcevera (“il fiume che porta le trote”) da loro indicata come “Fregosia”.

Fu un casato molto potente che si suddivise in diversi rami e che diede origine ad un plurisecolare strategico dualismo, legato alle alleanze con Francia e Spagna, con gli Adorno.

I Fregoso raggiunsero il loro apogeo infatti con Domenico Campofregoso che nel 1378 si auto proclamò Doge dopo aver destituito dalla carica il rivale Gabriele Adorno.

Non pago il pugnace Tommaso tolse ai Fieschi il feudo di Roccatagliata e assicurò l’isola di Malta ai Genovesi.

Il fratello Piero non fu da meno poiché anch’egli, nominato poi Doge nel 1393, riprese Cipro agli infedeli restituendola, in cambio della signoria su Famagosta, al legittimo re.

Anche Giacomo, Tommaso, Spinetta, Giano, Ludovico, Pietro, Battista nei decenni successivi ottennero il dogato.

Paolo a metà ‘400 e Federico un secolo dopo furono cardinali e influenti arcivescovi di Genova.

“Il Doge Ottaviano Fregoso,  rappresentato da Lazzaro Tavarone a poppa di una scialuppa insieme al nocchiero Emanuele Cavallo seduto ai suoi piedi e a tre vogatori, prende possesso della Briglia”.

L’esponente più famoso fu senza dubbio Ottaviano che fu Doge dal 1513 al 1515 e poi, per conto della Francia di Francesco I, governatore fino al 1522 quando la città passò, con il famoso Sacco, in mano spagnola. Morì in carcere ad Ischia, probabilmente avvelenato.

A lui si devono i lavori di ampliamento portuali, la costruzione del campanile di San Lorenzo e l’abbattimento della fortezza della Briglia presso la Lanterna.

Fu una figura di grande rilievo nel suo tempo al punto che Baldassarre Castiglione nl suo “Il Cortigiano” lo celebra come modello illuminato per i governanti dell’epoca e persino il Guiccciardini nella sua “Storia d’Italia” ne tesse le lodi:

principe certamente di eccellentissima virtù, e per la giustizia sua e per altre parti notabili, amato tanto in quella Città, quanto può essere amato un principe nelle terre piene di fazioni, e nella quale non era del tutto spenta nella mente degli uomini, la memoria dell’antica libertà”

Caduti in disgrazia ai Fregoso fu impedito di formare un loro proprio albergo autonomo e nel 1528 furono ascritti in quello dei De Fornaro.

Continuarono a far fruttare il loro valore in armi in qualità di capitani e ammiragli prestando servizio per i veneziani, Papa Giulio II e Francia.

Per questo un ramo dei Fregoso fu fregiato della contea di Verona, un ramo si trasferì a Parigi mentre a Genova si estinsero già nel XIX secolo.

In Copertina: Scorcio di Piazza Fregoso con sullo sfondo via del Campo. Foto di Giovanni Cogorno.

Piazza dei Greci

Nelle immediate adiacenze di piazza delle Vigne si trova la piazzetta dei Greci.

Come l’omonimo vicino vico dei
Greci, il toponimo ricorda lo scomparso Oratorio di S. Maria dei
Greci, che era stato edificato dalla comunità greca ortodossa nella prima metà del ‘500.

L’edificio venne demolito nel 1810 in ottemperanza agli editti napoleonici che prevedevano la soppressione degli ordini religiosi.

L’immagine più famosa della piazzetta risale al 1909 e immortala due operai su lunghe scale intenti ad eseguire interventi di pulizia e restauro sul palazzo dove risaltano le insegne della Farmacia Inglese e della fabbrica di cappelli alla moda parigina di V. Moradei.

Foto di Gigi e Carlo Sciutto del 1909.

Particolare di una finestra con paratie lignee e fregio sul portalino usata come bacheca affissioni

La piazza non è né l’unica, né la più antica testimonianza della colonia greca in città:

infatti già nel ‘300 nel quartiere di S. Marco al Molo era registrata una forte presenza di mercanti greci che qui avevano le loro abitazioni e vi gestivano traffici e merci.

Piazza dei Greci. Lo stesso edificio sede della Farmacia Inglese e della Fabbrica di Cappelli Moradei.

Dal nome della zona a loro destinata si deve anche l’intitolazione della Torre dei Greci, il faro che per circa trecento anni ha coadiuvato la Lanterna nel difficile compito di proteggere il porto e difendere la città.

In Copertina: Piazza dei Greci. Foto di Stefano Eloggi.

Piazza di Pellicceria

Protagonista assoluto della piazza è, con i suoi preziosi tesori, il Palazzo Spinola in Pellicceria, oggi Galleria Nazionale.

Nella zona si trovavano numerosi laboratori e botteghe di pellicciai.

Attività la cui presenza è attestata anche dalla toponomastica dei caruggi limitrofi:
Piazza di Pellicceria, Vico di Pellicceria, Vico Superiore di Pellicceria e Vico del Pelo ribadiscono infatti la vocazione artigiana della contrada.

Le pellicce erano un capo talmente pregiato da essere utilizzato anche come oggetto di risarcimento nelle cause perse o come bene testamentario.

In Copertina: Foto di Bruno Evrinetti.

Focaccette e focaccia di patate

Per me la focaccetta di patate è legata al ricordo dei nonni, polceveraschi doc, di mia moglie.

Circa trent’anni fa infatti quando eravamo ancora fidanzati rammento che alla domenica sera sovente mi fermavo ospite a cena nella loro casa sul rio Ciliegio di Trasta.

Indimenticabile il profumo delle focaccette impastate da nonna Luigina il cui invitante aroma si diffondeva nella stanza durante il pasto.

Perché si nelle casa dei nonni non c’erano “squesgi” o formalità si cenava insieme sullo stesso tavolo della cucina, dove poche ore prima si era impastato sulla madia i taglierini per pranzo, accanto alla stufa.

Ho detto focaccette e non focaccia perché a differenza di quest’ultima le prime erano lievitate e fritte singolarmente.

La focaccia invece era un grande impasto unico cotto nel forno dal quale ricavare le singole porzioni da servire al posto del pane. Soffici le focaccette, morbida e alta la focaccia.

Io preferivo, seppure il gusto fosse simile, quest’ultima versione più leggera perché facilitava la convivialità dello stare insieme e la condivisione.

E così nonno Valle mentre aspettava la sua fetta riempiva i bicchieri, quei gotti spessi da osteria, di croatina quel vino rosso rubino dal gusto sincero dal cui vitigno si ricava anche la più nobile bonarda.

Focaccia di patate. Foto e preparazione dell’autore.

Le focaccette e la focaccia di patate erano accompagnate a formaggi e affettati ma il modo in cui preferivo gustarle era con la mostardella, il salume tipico della zona.

Mostardella così cruda, tagliata come un qualsiasi salame o, più spesso cotta a fette spesse direttamente sulla ciappa della stufa a legna, da sola o in aggiunta alle uova appena colte dal pollaio.

Cibi semplici e rustici della tradizione che come les madeleines della zia di Proust nella sua “À la recherche du temps perdu”, si legano indissolubilmente ai ricordi più profondi ed hanno la capacità di suscitare le emozioni più intime.

Ricetta Focaccette:

  • 500 gr farina Manitoba
  • 200 gr patate
  • 1 cubetto di lievito di birra
  • 150 gr latte tiepido
  • 100 gr acqua tiepida
  • 3 cucchiai di olio evo
  • 2 cucchiaini di zucchero
  • 2 cucchiaini di sale fino
  • Olio per friggere mono seme

Ricetta Focaccia:

  • 300 gr. di farina di grano duro
  • 200 gr. di farina tipo 00
  • 200 gr. di patate
  • 300 ml. di acqua
  • 50 gr. di olio evo
  • 15 gr. di sale
  • 12 gr. di lievito di birra fresco o 3,5 gr. di lievito per preparazioni salate.

Vico Colalanza

Vico Colalanza è un antico caruggio che si trova nel cuore della città vecchia.

Il suggestivo vico deve l’origine del suo toponimo al nome dell’omonima famiglia legata agli Spinola che qui nel Medioevo aveva i propri possedimenti.

Situato tra le Vigne e San Luca a pochi metri della Galleria Nazionale, frequentata dai turisti, di Palazzo Spinola in Pellicceria, il vicolo versa nel totale degrado: spaccio, prostituzione e liti sono purtroppo all’ordine del giorno.

Recentemente infatti è balzato ai nefasti onori della cronaca proprio per via di un barbaro omicidio avvenuto la notte tra l’uno e il due novembre nei pressi dell’archivolto De Franchi all’incrocio con Vico Mele e Vico del Pomino.

Qui un cittadino di origine peruviana reo di aver alzato il tono alto della voce durante una discussione, è stato trafitto – come in pieno Medioevo – da una micidiale freccia di balestra scagliata dal suo assassino.

“Non te l’hanno insegnato
che le frecce dei vigliacchi son sempre spuntate?”
(Omero, Iliade)

Purtroppo l’eccezione conferma la regola si ma il grande cantore greco ha avuto torto.

Mala tempora currunt!

In Copertina: Vico Colalanza. Foto di Stefano Eloggi.