“… Questa è la città dei re”…

storia di un poeta innamorato…
“A quel tempo eravate il popolo più felice della terra.
Il vostro paese pareva un soggiorno celeste così son dipinti gli Elisi.
Quale spettacolo dalla parte del mare!
Torri che sembrano minacciare il firmamento, poggi coperti di ulivi e melaranci, case marmoree in su le rupi, e deliziosi recessi in tra gli scogli, ove l’arte vincea la natura, e alla cui vista... i naviganti sospendeano il movimento dei remi, tutti intenti a riguardare.
Ma chi veniva da terra, meravigliando, vedeva uomini e donne regalmente vestiti, e fino tra boschi e montagne delizie incognite nelle corti reali.
All’ingresso della città vostra, pareva mettere piede nel tempio della Felicità e di lei si preferiva ciò che fu detto anticamente di Roma:
questa è la città dei Re.”
Dichiarazione d’amore datata 1352 scritta da Francesco Petrarca ai genovesi per esortarli a riappacificarsi con i veneziani con i quali, ormai da tempo, erano ai ferri corti.
Epistola anteriore di sei anni rispetto alla celebre definizione di Superba (“Vedrai una città regale… Superba…) ma non meno pregna di rispetto e ammirazione.
Panorama di Genova. Foto di Agnese Barbara Cittadini.

Storia di Magistrature portuali…

… di quella di “Credenza”… e dello Stendardo.
Nel 1281, per la prima volta, negli Annali, si fa menzione dei “Salvatores portus et moduli”.
Genova si dota di un’apposita magistratura destinata ad occuparsi delle faccende portuali, a proposito delle quali, ha pieni poteri.
Per quanto concerne invece la navigazione e le navi, la competenza spetta all’Ufficio di Oltremare e, più tardi, a quello di Gazaria (Colonie).
Dal 1340, per volere del primo Doge Simone Boccanegra, la magistratura del Porto viene gestita dai Padri del Comune, dieci membri di provato prestigio, eletti ogni due anni dai Serenissimi Collegi e dal Minor Consiglio.
Costoro si dividono in due gruppi speculari:
Conservatori del Mare, il primo, esperti di navigazione e Conservatori del Patrimonio, il secondo, preposti a tutte le attività inerenti la manutenzione e il decoro della città (strade, acquedotto, fognature, arredi urbani).
Nonostante le specifiche aree di pertinenza, nelle cerimonie pubbliche, formano un corpo unico. Nel 1282, in vista degli scontri contro Pisa, la Dominante crea un’altra Magistratura, quella detta di “Credenza”, un vero e proprio Consiglio di Guerra.
Tra i vari provvedimenti presi, si delibera che, per issare il Vessillo di S. Giorgio, debba costituirsi una flotta di almeno dieci galee, armate in assetto da guerra, dotate di Balestrieri e comandate da un ammiraglio.
In assenza di tali requisiti, il comando spetta al capitano che però, per nessuna ragione, è autorizzato a portare lo stendardo a bordo.
In copertina: dettaglio della “Veduta di Genova” nel 1482 realizzata da Cristoforo Grassi nel 1597.

La tela appresenta l’imponente spiegamento navale in occasione del rientro l’anno successivo della spedizione di Otranto del 1481(occupata dai turchi) voluta da papa Sisto IV  e condotta dal cardinale genovese Paolo Fregoso. Museo Galata Genova.

Storia di coraggio e orgoglio…

Tratto dal libro “La Repubblica di Torriglia” di G.B Canepa, nome di battaglia Marzo, riporto questo passo da brividi.
È la cronaca del primo incontro in Liguria, fra un rappresentante dell’Alto Comando tedesco e quello di un Commissario Partigiano, Amino Pizzorno, Attilio sul fronte:
“L’incontro ebbe luogo nei pressi delle gole del Pertusio, a un tiro di schioppo dal posto di blocco di Cantalupo; e fu lì che all’ora fissata si presentò un maggiore delle SS accompagnato da un ufficiale dell’esercito italiano che fungeva da interprete.
“Il Signor maggiore”, cominciò a tradurre l’ufficiale, “vi fa sapere che proponendo questo incontro ha inteso riconoscere in voi dei veri soldati, coraggiosi e leali ma lealtà e coraggio non bastano per sostenere una lotta che è assai dura e col prossimo inverno diverrà ancora più dura… Vi rendete conto?
Scarseggeranno i viveri… mancheranno i medicinali… non potranno rifornirvi di munizioni: troppo impari è la vostra lotta…”
Il maggiore aveva parlato intercalando lunghe pause, con un tono di voce che voleva sembrare paterno, come se fosse preoccupato della nostra situazione; e ora, per riprendere il discorso, attendeva che Attilio dicesse qualcosa ma Attilio non levava lo sguardo severo dall’interprete; si stabilì così un lungo silenzio, finché il maggiore finì per impazientirsi e con un tono più deciso, senza interrompersi riprese:

“L’Alto Comando mi ha incaricato di dirvi che se consegnerete le armi garantirà la vita per voi tutti, ufficiali e soldati: una garanzia scritta, con la firma dell’Alto Comando tedesco, in questo modo potrete rivedere le vostre famiglie, ritornarvene a casa.
Nessuno oserebbe più molestarvi con tale garanzia…”
Ma Attilio, scandendo ogni parola, l’interruppe e rivolgendosi all’ufficiale disse:
“Riferisca che le armi noi le abbiamo tolte a voi altri, fascisti e tedeschi e le abbiamo tolte per servircene: se le rivolete abbiate il coraggio di venirvele a prendere.”
Il maggiore allora rosso in volto, con rabbia si rivolse al traduttore, e quegli subito si accinse a tradurre:
“L’Alto Comando farà arrivare in Trebbia dei Mongoli, un’intera divisione di mongoli proveniente dall’Ossola.
In quelle valli non hanno risparmiato nessuno, neppure le donne, neppure i bambini, sono delle bestie, lo sapevate questo?
E dunque anche qui non risparmieranno nessuno, e la responsabilità di questi orrori….”
Ma Attilio già gli aveva voltato le spalle, e mentre quei due, interdetti, lo guardavano allontanarsi, senza affrettarsi, raggiunse il posto di blocco.
Mi disse poi che a interrompere così bruscamente il colloquio l’aveva spinto soprattutto il fatto che un italiano, senza vergognarsi, si prestasse a tradurre le ignobili minacce del tedesco.
Questo racconto, a mio parere, è di una potenza disarmante, come pochi altri, esprime l’orgoglio di quei ragazzi.
Inoltre, in questo frangente, per la prima volta l’Alto Comando riconosce ai Partigiani lo “status” di esercito regolare.


Circa un anno dopo sarà l’Alto Comando tedesco, nella persona del Generale Meinhold, a firmare, presso Villa Migone quella stessa resa che avrebbe voluto imporre ai genovesi in quella circostanza.
I Mongoli scateneranno si l’inferno e si macchieranno dei crimini promessi ma verranno sconfitti.
Infine quel “… abbiate il coraggio di venirvele a prendere”, volente o nolente rievoca in tutta la sua fierezza il ” Molon labe’” (venite a prenderle), di Leonida ai Persiani presso le Termopili.

“In località Fascia in provincia di Genova al confine tra la Val Trebbia e la Val Borbera si trova il monumento in foto dedicato ad Aldo Gastaldi (Bisagno) e Aurelio Ferrandi (Scrivia) e alle loro rispettive brigate”.

 

“Oh my God”…

storia di un amore a prima vista e di “Racconti” genovesi…
Charles arrivò a Genova con famiglia e servitù via mare nel luglio del 1844 e qui rimase per quasi un anno.
Le sue prime parole osservando la città dal mare furono di stupore “Oh my God!”
Il primo alloggio fu Villa Bagnarello, nota come “la prigione rosa” posta “in una delle località più splendide che si possano immaginare.
Lo stupendo golfo di Genova e del Mediterraneo turchino cupo si stendono vicinissimi…”.
Dopo tre mesi, trasferitosi nella centrale Villa delle Peschiere così ann
otava l’evento:
“Non c’è in Italia, dicono, e io confermo, un’abitazione più piacevole del Palazzo delle Peschiere… tutta Genova giace laggiù in bella confusione con le numerose chiese, monasteri, conventi che sembrano additare il cielo, glorioso di sole, con gli svelti campanili…
E potrò mai dimenticare le vie dei Palazzi, la Strada Nuova e la Strada Balbi!
O l’aspetto dell’una quando la vidi per la prima volta, sotto il più fulgido e il più intensamente turchino dei cieli estivi, che le sue due file raccostate di dimore immense, riducevano ad una striscia preziosissima di luce, restringendosi gradatamente, e contrastante con l’ombra grave di sotto…
Bottegucce d’ogni specie, come vermi parassiti di una grande carcassa, si stringono addosso al Palazzo del Governo, all’antico Palazzo del Senato e ad ogni altro grande edifizio…
In alcune delle vie più strette le botteghe sono tutte di negozianti dello stesso genere: c’è una Via di Orefici e un Borgo di Librai, ma anche là dove nessuno è mai potuto penetrare in carrozza, ci sono antichi palazzi imponenti, celati da mura tetre e quasi nascosti ai raggi del sole.”
A Genova Dickens completò “La vita di Martin Chuzzlewit”, scrisse i celebri Racconti di Natale e iniziò “Picture from Italy”.
Il racconto “The Chimes” sugli spiritelli delle campane è ispirato dal suono disarmonico e snervante dei campananili genovesi.
Terminato il soggiorno lo scrittore inglese partì a malincuore e promise che sarebbe, prima o poi, ritornato.
Dickens mantenne la parola e tornò altre volte, l’ultima delle quali, nel 1853, ospite a Palazzo Rosso, dove rimase per quasi un altro anno.
Innamorato perso della Superba così annotava:”… e io cominciavo di già a pensare che quando fosse giunto il momento di lì, ad un anno, di chiudere il lungo periodo di vacanze e ritornare in Inghilterra, mi sarei staccato da Genova tutt’altro che allegramente.
Sembra che vi sia sempre qualcosa da scoprirvi.”

Storia di un cardinale… prima parte…

… molto… molto speciale…
Nel maggio 1938 Benito Mussolini, pochi giorni dopo aver ospitato in Italia Adolf Hitler transitato in treno anche da Genova, ritorna per la seconda volta (durante la prima nel 1926 aveva decretato la nascita della Grande Genova) in veste di Capo di Governo la nostra città.
Nello stesso periodo Papa Pio XI, al fine di rafforzare il presidio ecclesiastico cittadino, designa in qualità di arcivescovo di Genova, il cardinale Pietro Boetto, prelato gesuita apertamente antifascista.
Boetto mette piede, per la prima volta a Genova, scendendo alla stazione di Piazza Principe completamente imbandierata di svastiche e fasci littori.
Il cardinale non si intimorisce e, per tutto il corso della seconda guerra mondiale, si attiva a salvare migliaia di ebrei, aderendo all’associazione clandestina Delasem e finanziandola con rendite personali e della curia.
A capo di questa attività pone il suo segretario, il fido don Repetto.
Costui si occupa di dare asilo ai profughi nei conventi e nelle chiese cittadine e procura loro documenti falsi al fine di poter raggiungere o il Sudamerica via nave o, soprattutto, via treno, Svizzera e Nord Europa, Svezia in particolare.
A chi, all’interno della curia manifesta perplessità e paure per la pericolosa iniziativa risponde:”Non sono forse esseri umani come noi?… e Gesù non era forse un ebreo?
Questo è il primo motivo per cui l’umanità gli è debitrice e, per cui la Comunità ebraica, lo ha insignito, post mortem, del titolo “Giusto fra i Giusti”…. poi ce n’è un secondo, per cui, a essergli debitori, siamo noi genovesi, tutti ….ma questa è un’altra storia…

Fine prima parte… continua…

“… E mi chiedo perché non ci vivo…”

storia di uno scrittore ammaliato anch’egli contagiato da una strana malattia “Le mal de Genes”.

“Tutte le volte che vengo a Genova, mi dico che è la più bella città del mondo.
E mi chiedo perché non ci vivo, sebbene, dal primo momento, ormai lontanissimo, in cui l’ho vista, abbia mai desiderato altro. Un’altra domanda, rivolta non più a me stesso, ma ai miei amici.
Se un viaggiatore, mettiamo un giapponese, che fa il giro del mondo in pochi giorni, avesse a disposizione un solo giorno per vedere la Francia, e uno per l’Inghilterra e uno per l’Italia: se, quindi, non potesse visitare che una sola città per nazione, è chiaro che, per la Francia e l’Inghilterra, gli si mostrerebbe Parigi e Londra: certo non sono tutta la Francia e tutta l’Inghilterra, ma le rappresentano, o meglio, le presentano, rispettivamente, con assoluta fedeltà.
Ma, e per l’Italia? Né Roma, né Firenze, tantomeno Milano, Torino o Venezia, darebbero l’idea.
Forse Napoli? Non ci può essere dubbio.
La risposta non può che essere una: GENOVA.
Perché Genova, pur avendo una fisionomia così particolare, assomiglia un poco, pezzo per pezzo, a tutte le città italiane.
Ha vie colorate come Palermo, lungomare come Napoli e Bari, calli come Venezia, colline come Ancona, monumenti come Roma e Firenze, animazione come Bologna, industriale come Milano, quartieri ottocenteschi come Torino.
Tutta l’Italia, ormai, e tutte le epoche della storia italiana si sono riversate intorno al vecchio centro medievale di Genova.
L’antico e il nuovo, il sud e il nord: il mare e il monte: il clima, che è mediterraneo, e il gruppo etnico dominante, che è ligure.
Ed è Ligure, è genovese, perfino il senso più moderno e più vivo del nostro Risorgimento: l’idea Repubblicana.
“… Mi è di guida l’amico Remo Borzini, che della sua vecchia Genova sa tutto.
Guida del resto, indispensabile.
Chi, se no, potrebbe mettere piede in questa città fatta di macerie, di abbandono, di spavento, di sporcizia ma anche di meravigliosa bellezza, di sublime incanto scenografico e romantico?”
Brani tratti da “Liguria Regione Regina” del 1969.
di Mario Soldati, giornalista, scrittore e regista cinematografico.

Storia dei Liguri…

… e della loro reputazione nell’antichità…

Da Tacito a Svetonio, da Posidonio a Diodoro Siculo, da Livio a Sallustio, fino a Plutarco, sono tutti concordi nel descrivere i Liguri come una selvaggia e combattiva popolazione montana:
Racconta, ad esempio, Diodoro: “I Liguri che abitano questa regione coltivano una terra sassosa e del tutto sterile che, in cambio delle cure e degli sforzi sofferti dai nativi, offre pochi frutti utili alla sopravvivenza.
Perciò gli abitanti sono resistentissimi alle fatiche e, per il continuo esercizio fisico, vigorosi; giacché, ben lontani dall’indolenza generata dalle dissolutezze, sono sciolti nei movimenti ed eccellenti per vigore negli scontri di guerra”.
Anche il celebre tragico greco Eschilo, nel suo “Prometeo Liberato”, ne racconta le caratterische quando il protagonista, per ricompensare Ercole, il quale ha ucciso L’Aquila che lo tormentava, gli preannuncia il cammino che dovrà percorrere e le insidie che incontrerà nel sostenere le ultime fatiche:
“Incontrerai l’intrepido esercito dei Liguri, contro i quali, sappilo, per quanto tu sia forte, la lotta non ti sarà facile.
È destino che nel combattimento ti vengano a mancare i dardi, né sul terreno potrai trovare alcuna pietra con cui difenderti, poiché colà il suolo è tutto acquitrinoso.
Ma, vedendoti in difficoltà, Zeus avrà pietà di te: adunerà sotto il cielo cupi e pesanti nembi e coprirà il terreno con una grandine di pietre arrotondate con cui potrai respingere e inseguire l’esercito dei Liguri.”
Posidonio, invece, si sofferma sui Liguri marittimi, i genovesi, che: “… sono coraggiosi e nobili non solo in guerra ma anche in quelle circostanze della vita non scevre di pericolo.
Come mercanti solcano il mare di Sardegna e quello Libico, slanciandosi coraggiosamente in pericoli senza soccorso… sopportano le più paurose condizioni atmosferiche che l’inverno crea tremendamente”.
Per i Greci, i Liguri, degni di Ercole, per i Romani, signori del mare

Virgilio nelle “Georgiche” definisce il ligure “adsueto malo ligurem”, avvezzo alle difficoltà.
Non a caso, Asterix e Obelix, quelli veri, erano Liguri, ed hanno respinto Roma per oltre un secolo, risultando, fra tutte, la più ostica fra le conquiste imperiali…
Ma questa è un’altra storia…

Storia di un amore mendace…

… di un testimone altolocato, anzi… forse due..
In quel tempo un giovane gentiluomo faceva la corte ad una bella damigella.
Le sue intenzioni non erano serie, voleva solo godere delle sue grazie e, per questo, non mancò di ingannarla.
Nella pubblica piazza, sotto un Crocifisso, il giovane promise alla fanciulla che l’avrebbe sposata e così ottenne in anticipo quanto anelato.
Il Nobile si rifiutò di mantenere fede alla promessa fatta e venne quindi dalla damigella denunciato.
Non avendo ella testimoni dell’accaduto, il Giudice si era convinto di rigettarne la querela, quando questa si ricordò che i giuramenti erano stati fatti alla presenza del crocifisso.
Implorò che lo prendessero a testimone della verità e che fosse ascoltato dai giudici.
Il crocifisso, ovviamente, non rispose alle domande ma abbassò la testa in segno affermativo alle rimostranze della ragazza.
Per l’inesperto Don Giovanni non ci fu scampo, i giudici proclamarono le nozze per il giorno stesso e, forse, i novelli sposi vissero felici e contenti.
Il Crocifisso ligneo della leggenda si trova oggi vicino all’altare maggiore della Chiesa di S. Maria in Castello.

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“Il Cristo Moro nella versione barocca”.

Nel ‘600 venne addobbato con decorazioni barocche e dotato di barba e capelli veri.
Nel 1974, in occasione di un restauro, la Sovrintendenza si è accorta che, sotto quegli orpelli, si nascondeva un Cristo Moro, databile al tempo della prima crociata, quindi ben più antico rispetto all’epoca fino ad allora creduta, il ‘600.
Probabilmente questo Crocifisso, in origine rivestito di argento e portato dai genovesi nel 1095 era custodito in una cappelletta sottostante il limitrofo complesso di San Silvestro. Ne è stata realizzata una fedele copia riaddobbata come nel ‘600 e custodita nella teca di una cappella poco distante dall’originale.

In questo modo ognuno, in particolare le donzelle in cerca di marito, può venerare il crocifisso che più gli aggrada.

All’interno della vicina chiesa oggi scomparsa di Santa Croce, fulcro della comunità lucchese in città, era invece venerato un simulacro di un altro crocifisso legato al culto del “Volto Santo”,  tanto caro ai toscani, oggi conservato nella cattedrale di San Martino di Lucca.

Link utili:

Santa Maria di Castello

“Durante il mio viaggio…

… ciò che ho visto di più bello è Genova.
Ti consiglio di andarci un giorno o l’altro.
Dopo aver visitato i suoi palazzi si ha un tale disprezzo per il lusso moderno che vien voglia di abitare in una scuderia e di vestirsi da operai.”
Lettera ad un amico di Gustave Flaubert immalinconito nella sua nuova residenza milanese.

Storia di un Imperatore ligure…

… antesignano del commercio e dell’avarizia genovese.
Publio Elvio “Pertinace” così chiamato per la sua tenacia nel continuare i commerci paterni, nacque ad Alba Pompeia (odierna Alba in Piemonte), secondo altri storici invece, probabilmente, a Vada Sabatia (Vado Ligure).
In ogni caso (Liguria o Piemonte che sia) nella Regio amministrativa IX Liguria.
Terminati gli studi classici si dedicò alla carriera militare prestando servizio prima in Siria, poi in Britannia, quindi in Germania, Dacia e Nord Europa.
Al seguito di Marco Aurelio (l’imperatore del film “il Gladiatore” si distinse come valente generale e venne nominato console, successivamente promosso a governatore della Siria e, infine, senatore.
Alla morte di Marco Aurelio continuò il suo operato, fedele al nuovo imperatore Commodo, il quale, prima lo inviò in Britannia a sedare rivolte, poi lo nominò proconsole d’Africa e, infine, lo proclamò prefetto.
A sessantasei anni, deceduto Commodo, assassinato dai congiurati, Pertinace venne acclamato imperatore.
Gli storici del tempo così lo descrivono:”… era un vecchio dall’aspetto venerando, con barba lunga e capelli crespi, un po’ panciuto, anche se la sua alta statura gli conferiva un aspetto veramente imperiale.”
Da buon ligure in soli tre mesi, tanto durò il suo regno (a sua volta assassinato dai militari), riorganizzò e risanò il pubblico erario.
Ancora raccontano di lui:”… Poteva sembrare cordiale, ma di fatto era tutt’altro che generoso, anzi era tanto spilorcio da offrire ai suoi commensali solo carciofi e mezze lattughe… era tanto sobrio nello spendere quanto avido di guadagno… anche da imperatore continuò, tramite i suoi incaricati, a commerciare lana e legname… come privato cittadino venne accusato di aver ampliato troppo i suoi possedimenti in Liguria, dopo aver oppresso e praticato l’usura sui piccoli proprietari.
Come console vendette cariche e congedi militari e trasse profitto da ogni sua attività divenendo, in pochissimo tempo, ricchissimo.
Insomma la nostra attitudine al commercio, “Genuensis ergo mercator” (genovese quindi mercante) diranno nel Medioevo e la nostra proverbiale parsimonia hanno radici molto lontane.