Canneto il Lungo civ. 14

In Canneto il Lungo nei pressi dell’archivolto Baliano si nota, incastonato in un intonaco rosso corallo, un pilastro tondo in conci bicromi.

Il capitello è cubico in pietra nera.

Ancora visibili sono i resti di due archi in laterizio del XV secolo. All’altezza del primo piano si nota un fregio di archetti in laterizio intonacati con peducci in pietra.

Sul portalino una nicchia vuota che conteneva una statua andata perduta.

In Copertina: Via di Canneto il Lungo. Foto dell’autore.

Vico degli Indoratori

Anticamente all’incirca dal 1200 vico Indoratori, conosciuto come Vico dei Camilla (dal nome dell’omonima nobile famiglia oggi estinta), era il principale collegamento fra la zona del Palazzo Ducale e il mare.

Al civ. n.2 noto come Palazzo Fieschi o Camilla, caratterizzato da un superbo portale quattrocentesco della bottega dei Gaggini, ebbe i natali Santa Caterina (Fieschi) da Genova.

A partire dal ‘500 vi si insediarono le botteghe dei doratori ovvero quegli artigiani che rivestivano le armi e decorazioni in legno con sottili e pregiate lamine d’oro.

Con le vicine Scurreria la zona degli scutai e Campetto il campo dei fabbri, la contrada era molto frequentata e di certo il lavoro non mancava.

In primo piano sulla all’angolo con Scurreria la Vecchia si trova la settecentesca edicola della Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Lorenzo.

In Copertina: Vico degli Indoratori. Foto di Anna Armenise.

Il marmo igienico

In Piazza Fontane Marose in un lato del Palazzo Interiano Pallavicino si trova una sporgenza di marmo dalla curiosa forma.

Tale manufatto aveva la duplice funzione di evitare che quell’angolo diventasse un orinatorio pubblico o un nascondiglio per malintenzionati.

Il riempire gli angoli con pietre, marmi e materiale vario, serviva a salvaguardare ambienti poco areati come quelli dei caruggi, dalla puzza e dal proliferare delle malattie.

Purtroppo infatti orinare sui muri e fare i propri bisogni all’aperto era un tempo usanza diffusa.

Di questa pratica deterrente esistono anche altre testimonianze. Ad esempio un’altra sporgenza con scanalature molto simili, in Via San Siro e altre due, invece lisce, in via Balbi all’ingresso della Facoltà di Giurisprudenza (ex convento dei Gesuiti).

In Copertina: Il marmo igienico di Palazzo Interiano Pallavicino. Foto di Stefano Eloggi.


Mercurio e Balilla

Da Piazza Dante scendendo il tratto finale di Via Fieschi si incrocia Via XX Settembre.

Attraversandola per salire verso Via V Dicembre si oltrepassa un monumentale arco con lo stemma di Genova sorretto da due personaggi opera dello scultore lucchese Arnaldo Fazzi

Il primo sulla destra è l’aitante Mercurio che impugna il bastone alato sul quale si attorcigliano due serpenti e rappresenta la prosperità.
Mercurio infatti è il dio del commercio e fu quindi scelto per vigilare sui negozi di questa importante e trafficata strada.

Il secondo a sinistra è Balilla il giovane eroe che diede il via all’insurrezione contro l’invasore austriaco.

Lo si riconosce dal fatto che la statua che raffigura Gian Battista Perasso stringe in mano il sasso, simbolo della rivolta, lanciato ad inizio della ribellione.

Da qui infatti inizia lo storico sestiere di Portoria dove il 5 dicembre 1746 il Balilla, secondo la tradizione, pronunziò il celebre che “l’inse” (che abbia inizio).

In Copertina: L’arco monumentale di Via V Dicembre. Foto dell’autore.

Vico delle Camelie

Singolare la disposizione delle targhe che segnano il confine tra via delle Grazie e via delle Camelie.

Un tempo quest’ultimo era noto come Vico Largo. Intitolazione che venne poi mutata nell’attuale nel 1868 per non confonderlo con il vico Largo del sestiere di Prè.

Il caruggio scendeva verso il molo vecchio e costituiva l’inizio del tragitto della ripa tangente alle case e ai magazzini che si affacciavano direttamente sui moli del porto medievale.

Si trattava di una sorta di primitiva circonvallazione a mare che comprendeva Vico Largo, Via delle Grazie, vico di Canneto il Curto, via San Luca e via del Campo fino a Porta dei Vacca.

L’anello collegava i tre sestieri entro la cinta muraria con relativi scali dal Molo Vecchio alla Darsena.

In Copertina: Via delle Camelie incontra via delle Grazie. Foto di Stefano Eloggi.

Salita Inferiore di S. Anna

Salita Inferiore di S. Anna si trova nei pressi di Via Caffaro e conduce alla Circonvallazione a Monte e a Corso Magenta.

Qui, attraversata la strada, si salgono le scalette che portano al Poggio Bachernia che ospita la chiesa di S. Anna.

Usciti dal convento di S. Anna si incontra un cancelletto poco visibile al cui interno si nasconde il piccolo chiostro di un ex convento di monache la cui struttura è inglobata negli edifici confinanti.

All’altezza del civ. n. 26 si possono ammirare gli stucchi settecenteschi di un’edicola votiva che conteneva un dipinto di cui non sono riuscito a trovare informazioni.

Al civ. n 6 il dipinto sec. XVII-XVIII all’interno del medaglione barocco è andato invece perduto.

Nel cortile del civ. n. 22r si trova un’altra votiva che raffigura la Madonna della Misericordia che, contrariamente alla rappresentazione classica con il Beato Botta, stringe fra le braccia un bambino.

In Copertina: Salita Inferiore di S. Anna. Foto di Anna Armenise.

Vico del Duca

In Via Garibaldi davanti al Palazzo del Comune di Genova si trova il vico del Duca.

Il caruggio si chiama così proprio per via del nome del palazzo del Duca di Tursi sede del primo cittadino genovese.

Tursi è una località in Basilicata che venne concesso in feudo nel 1552 all’ammiraglio Andrea Doria come marchesato (poi ducato) dall’imperatore Carlo V.

Carlo I Doria del Carretto dal 1601 al 1649 fu il primo a ricoprirne il titolo di Duca.

Il vicolo unisce il sacro dell’elegante via Garibaldi con il profano della multietnica via della Maddalena.

Vico del Duca. Archivolto lato Palazzo Tursi.

Scomparsi nel tempo un bassorilievo con una crocifissione e una tavella con l’Agnus Dei, sotto l’archivolto rimangono, malinconiche testimoni di un antico passato, due nicchie vuote che ospitavano un tempo statue di santi e, al civ. n. 7, un piccolo rilievo con un Sant’Antonio da Padova col Bambino.

In Copertina: Vico del Duca. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico dietro il Coro delle Vigne

In Vico dietro il Coro delle Vigne può capitare al civ. n. 15r di cenare in un ristorante con al centro, su un grande basamento testimonianza di uno scomparso porticato, una marmorea colonna dorica.

Al civ. n. 13r invece si incontra la Bottega degli Incisori del maestro Luca Daum docente presso l’Accademia Ligustica delle Belle Arti.

Disegnatore, orafo e maestro incisore esperto nelle più antiche tecniche di lavorazione: sbalzo e cesello su lastre di metallo e argento. Ideatore di cornici, acquasantiere, reliquiari e arredi sacri.

Stampe alla puntasecca e all’acquaforte, acquatinta, alla cera molle che hanno come protagonisti immagini sacre e scorci dei caruggi.

Salendo da piazzetta Cambiaso verso via della Maddalena si nota, posto sopra una finestrella rossa in ferro battuto, un rilievo rettangolare in pietra che raffigura tre stemmi abrasi.

In Copertina: Vico dietro il Coro delle Vigne. Foto di Giovanni Cogorno.

Coniglio alla ligure

Lo so il coniglio alla ligure, piatto tipico del ponente della regione, andrebbe cotto in un classico tegame (tian) di coccio.

Purtroppo però i fornelli ad induzione della mia cucina non mi permettono di seguire tale sacrosanta disposizione e mi sono dovuto così adattare ad utilizzare un moderno tegame di acciaio.

Di questa ricetta non si hanno particolari riferimenti storici ma, essendo legata alla cultura contadina dell’entroterra, è cucinata un po’ ovunque, in paricolare tra le province ponentine di Imperia e Savona.

Oltre al coniglio, protagonista del piatto è la tipica oliva taggiasca il cui inconfondibile gusto amarognolo ben si sposa con gli altri aromi (timo, aglio, rosmarino e pinoli) conferendo alla vivanda il suo armonico gusto.

Ricetta e preparazione variano di famiglia in famiglia.

L’importante comunque, prima di aggiungere il vino per la sfumatura, è farlo rosolare bene a fiamma vivace stando attenti che non si attacchi o bruci.

Dettaglio non da poco infine è la scelta del vino da utilizzare sia in cottura che come abbinamento durante il pasto:

Rossese di Dolceacqua all’estremo Ponente, Ormeasco in Alta Valle Arroscia, Rossese di Campochiesa o Pigato (seppur bianco) lad Albenga e nella sua Piana.

Io ho scelto in ricordo di Dolceacqua dove l’ho assaggiato la prima volta tanto tempo fa, l’omonimo Rossese.

Coniglio alla ligure

  • 1 coniglio (da circa 1,5 Kg)
  • 1 cipolla
  • 2 spicchi d’aglio
  • 1 bicchiere di vino rosso
  • 100 gr olive taggiasche o della Riviera
  • 6 rametti di timo
  • 2 rametti di rosmarino
  • 2 foglie di alloro
  • 20 gr pinoli
  • Olio di oliva evo ligure
  • Sale
  • Pepe Nero macinato

Vico dei Fregoso

Alle spalle di via del Campo, in quello che un tempo è stato il cuore del secentesco ghetto ebraico, si trovano vico e piazzetta dei Fregoso.

La zona, abbastanza abbandonata e degradata, è ricca di testimonianze del passato: edicole votive portalini in pietra, archetti e vecchi portoni, sono visibili un pò dappertutto.

Purtroppo anche questo caruggio non sfugge alla pratica di presunti artisti da strada, meglio qualificabili come ignoranti incivili, di imbrattare i muri con le loro abominevoli scritte.

Il toponimo del sito trae origine dal nome dell’omonima nobile famiglia polceverasca.

Costoro, chiamati anche Campofregoso, provenienti da Piacenza agli albori del 200 infatti si stabilirono nella valle lungo il torrente Polcevera (“il fiume che porta le trote”) da loro indicata come “Fregosia”.

Fu un casato molto potente che si suddivise in diversi rami e che diede origine ad un plurisecolare strategico dualismo, legato alle alleanze con Francia e Spagna, con gli Adorno.

I Fregoso raggiunsero il loro apogeo infatti con Domenico Campofregoso che nel 1378 si auto proclamò Doge dopo aver destituito dalla carica il rivale Gabriele Adorno

Non pago il pugnace Tommaso tolse ai Fieschi il feudo di Roccatagliata e assicurò l’isola di Malta ai Genovesi.

Il fratello Piero non fu da meno poiché anch’egli, nominato poi Doge nel 1393, riprese Cipro agli infedeli restituendola, in cambio della signoria su Famagosta, al legittimo re.

Anche Giacomo, Tommaso, Spinetta, Giano, Ludovico, Pietro, Battista nei decenni successivi ottennero il dogato.

Paolo a metà ‘400 e Federico un secolo dopo furono cardinali e influenti arcivescovi di Genova.

L’esponente più famoso fu senza dubbio Ottaviano che fu Doge dal 1513 al 1515 e poi, per conto della Francia di Francesco I, governatore fino al 1522 quando la città passò, con il famoso Sacco, in mano spagnola. Morì in carcere ad Ischia, probabilmente avvelenato.

A lui si devono i lavori di ampliamento portuali, la costruzione del campanile di San Lorenzo e l’abbattimento della Fortezza della Briglia presso la Lanterna

Fu una figura di grande rilievo nel suo tempo al punto che Baldassarre Castiglione nl suo “Il Cortigiano” lo celebrò come modello illuminato per i governanti dell’epoca e persino il Guiccciardini nella sua “Storia d’Italia” ne tessè le lodi:

Principe certamente di eccellentissima virtù, e per la giustizia sua e per altre parti notabili, amato tanto in quella Città, quanto può essere amato un Principe nelle terre piene di fazioni, e nella quale non era del tutto spenta nella mente degli uomini, la memoria dell’antica libertà”

Caduti in disgrazia ai Fregoso fu impedito di formare un loro proprio albergo autonomo e nel 1528 furono ascritti in quello dei De Fornaro.

Continuarono a far fruttare il loro valore in armi in qualità di capitani e ammiragli prestando servizio per i veneziani, Papa Giulio II e Francia.

Per questo un ramo dei Fregoso fu fregiato della contea di Verona, un ramo si trasferì a Parigi mentre a Genova si estinsero già nel XIX secolo.

In Copertina: Vico dei Fregoso. Foto di Anna Armenise.