Quando anche con un cielo terso vicino alla Lanterna i nembi volavano bassi. Ma non erano soffici nuvole bensì colonne di fumo prodotte dai colpi di cannone.
Quando intorno al Faro, a difesa del porto erano state predisposte e potenziate, a varie riprese, volute dai Savoia, le batterie di cannoni di San Benigno. Tale artiglieria, continuò ad essere presidiata e puntigliosamente mantenuta in funzione grazie a regolari esercitazioni fino al 1915, anno della sua definitiva dismissione.
Sul sovrastante colle di San Benigno, dove un tempo sorgeva l’omonimo secolare monastero (XII sec.) intitolato a San Paolo, d0po i moti del 1849 furono erette, per volere del generale La Marmora, anche due grandi Caserme adibite ad ospitare la truppa.
Vennero anch’esse dismesse nel 1920 e poi, nel 1925, definitivamente demolite.
Quando all’inizio di Corso Italia, all’angolo fra Via Casaregis e Via dei Fogliensi ancora negli anni ’30 c’erano sì dei parcheggi ma non per le macchine, bensì per i gozzi dei pescatori della Foce…
quando il traffico era costituito da tranvai e tombarelli e la strada era poco più che uno sterrato.
Dall’alto dell’omonimo palazzo di fattura razionalista l’angelo della Vittoria, oggi come allora, vegliava autorevole sull’incrocio.
La statua, di fatto una “Nike” scolpita da Guido Galletti, reggeva in pugno una ghirlanda, credo andata perduta durante la guerra.
Quando intorno alla millenaria Abbazia di San Bartolomeo c’era solo una verde e disabitata collina che precipitava nel Fossato; un fossato (ö fossôu) così ripido e scosceso, sino all’avvento dei mezzi a motore e all’apertura (nella seconda metà dell’800) dell’omonima via attuale, da essere difficilmente percorribile e, per questo, fuori dalla rete di strade e sentieri romani.
Per secoli quella di S. Bartolomeo, è rimasta una boscosa isolata valle ideale rifugio per custodire l’Abbazia, costruita “extra muros Ianuae” alla fine dell’ XI secolo (1064), in un anfratto solitario lontano dalla marina e sotto le falde del colle.
Progettata, come la cattedrale di San Lorenzo, in stile romanico-gotica ad imitazione delle forme, provenienti dalla Francia e da tempo in voga in Lombardia e Toscana ; aveva caratteristicamente i muri con in basso pietre scure di Promontorio ben squadrate, e in alto, dai due metri circa in su, con mattoni bene ordinati.
Quando ancora non era sorto il popolare quartiere, ad uso e consumo del porto e delle industrie sampierdarenesi, che avrebbe riempito il Fossato e cementificato la collina.
Quando al centro della Rotonda di Piazzale san Francesco d’Assisi venne eretta la colossale statua di Costanzo, padre di Galeazzo, Ciano.
Il 20 novembre 1941 il monumento venne inaugurato alla presenza delle maggiori autorità fasciste per omaggiare l’eroe, insieme a D’Annunzio, della celebre “Beffa di Buccari”e con esso tutti i combattenti del mare.
Posto a vegliare ed impreziosire l’imbocco del porto come una sorta di nostrana statua della libertà, perché fosse visibile ai naviganti…
una libertà, quella sì preziosa, che circa tre anni e mezzo dopo, Genova avrebbe riconquistato con il sangue dei suoi figli.
Quando sul camminamento delle secentesche mura dello Zerbino i signori già si sporgevano pericolosamente per spiare le sottostanti combattute partite di bocce. Un passatempo assai radicato nella tradizione genovese visto che già nel 1843 Charles Dickens ne raccontava ammirato nel suo soggiorno nella Superba. Riferendosi al quartiere di Albaro dove dimorava annotava infatti:
“Subito fuori della chiesa, gli uomini col berretto rosso in testa e la giacca sulle spalle (non se la mettono mai) giocavano alle bocce e compravano gli zuccherini. Quando cinque o sei di essi avevano finito una partita, entravano in chiesa, si segnavano con l’acqua santa, si inginocchiavano per un momento con una gamba, e poi uscivano di nuovo per fare un’altra partita a bocce. Sono abilissimi in questo passatempo, e sono usi giocare sulle vie e sulle straducole sassose e sul terreno meno adatto allo scopo, con la stessa precisione che se si trovassero davanti a una tavola da biliardo”.
Non doveva apparire molto diversa la scena girata proprio a Genova che ispirò addirittura uno dei primi cortometraggi in Italia, presente nel catalogo Lumière, intitolato “Partita di bocce allo Zerbino”.
Una tradizione quella genovese nata con la fondazione nel 1913 dell’Associazione Bocciofila Genovese che, dal primo dopoguerra in poi, raccolse allori sia in campo nazionale che internazionale:
“Nel 1914 l’Associazione bocciofila genovese, nata l’anno prima, organizzò una gara nazionale sul campo del Genoa cricket and football club. Campioni di quest’epoca pionieristica furono il genovese Federico Dondero, soprannominato ‘il Cicagnino’, Gio Batta Solari, detto ‘Baciccia’, e Francesco Edilio Canessa, chiamato ‘il Poeta’.
Il 28-29 settembre 1951 l’Italia ospitò per la prima volta i Campionati del Mondo. A Genova, sui campi di Marassi, sette nazioni si confrontarono usando le bocce sintetiche italiane, accanto a quelle metalliche francesi: i due tipi vennero uniformati nel diametro e nel peso. La Francia dettò legge fino al 1957, quando, a Béziers, una quadretta formata da Motto, Chiusano, Bauducco e Granaglia (quest’ultimo, soprannominato “il Maestro” in Italia e “Le Roi” in Francia fu 13 volte campione del mondo e ritenuto il più grande boccista di sempre) conquistò la prima vittoria azzurra ai Mondiali. Nelle successive edizioni e per tutti gli anni Sessanta l’Italia salì più volte sul gradino più alto del podio.
Probabilmente i due eleganti signori dell’immagine stavano assistendo dall’alto proprio ad una partita come quella descritta dall’apprezzato illustratore locale di inizio ‘900 G. Mazzoni.
Anche Gilberto Govi, il celebre interprete di commedie e alfiere della genovesità, fu un assiduo praticante degli improvvisati terreni dello Zerbino.
E’ passato oltre un secolo ma i campi di bocce dello Zerbino continuano ancora oggi ad essere fra i più frequentati dagli appassionati cultori di quest’antico e popolare sport.
Quando prima dell’edificazione di quello di Marassi avvenuta nel 1902, quello di S. Andrea, sito sull’omonimo piano nei pressi di Porta Soprana, è stato per tutto l’800 il principale carcere cittadino.
Fu edificato sui terreni di un Monastero benedettino risalente al XII sec. sopra la collina che poi, nel secolo successivo, sarà sbancata per far spazio all’attuale palazzo in stile liberty della Borsa.
A decretarne la trasformazione fu Napoleone nel 1810 che ritenne insufficienti e carenti le strutture del Palazzetto Criminale e della Torre Grimaldina, le storiche prigioni della Repubblica.
Quando alla Foce, nei pressi delle case dei pescatori c’era il ristorante San Pietro. Raffinato esempio di costruzione razionalista progettata fra il 1935 e il 1938 dall’architetto Mario Labò.
Davanti si erge la statua del Navigatore dello scultore Morera che, inaugurata anch’essa nel 1938, sembra scrutare l’orizzonte in attesa dell’arrivo degli avventori del locale.
Quando, per far spazio alla nascente sopraelevata con relativa rampa d’accesso, venne in parte demolito nel 1965.
In origine era infatti lungo circa il doppio della versione mutila e rimaneggiata di cui ancora oggi resta traccia. Terminata la sua funzione ristoratrice venne convertito negli anni ’90 in uffici e poi in un casotto per distributore di benzina.
Lontani i tempi in cui davanti erano parcheggiate le fuoriserie e le sue eleganti sale erano frequentate dalla ricca borghesia genovese.
Oggi, dopo un periodo di triste abbandono, per lo meno funge da centro di prima accoglienza per gli extracomunitari.
il bacino artificiale voluto dall’ammiraglio Andrea Doria intorno al 1540 per irrigare i giardini della sua prestigiosa villa
quando nel 1652, nelle sue vicinanze fu installata una fabbrica di polveri da sparo per rifornire le munizioni della Repubblica.
Il lago assunse il suo dispregiativo toponimo , “U Lagasso”, in genovese, già nel Seicento per via del suo torbido colore e dell’aspetto sinistro che assunse col tempo.
quando la polveriera, ampliata nel 1835, fu poi trasformata in caserma militare e sul lago ghiacciato d’inverno i bambini vi andavano a pattinare e d’estate a rinfrescarsi. Numerose, secondo le cronache, furono le vittime per annegamento.
quando diede il nome a partire dal 1593 anche al celebre omonimo biscotto che un piccolo forno produceva in loco e, più tardi, anche ad un intero quartiere.
quando negli anni ’70, dopo l’ennesima disgrazia, venne interrato e al suo posto edificato un campo da calcio intitolato a Felice Ceravolo l’ultima dodicenne vittima delle acque limacciose del lago.
Quando a Nervi in Via Donato Somma c’era lo stabilimento che confezionava le cartine Job particolarmente apprezzate dai fumatori per la loro caratteristica di bruciare più lentamente rispetto alle altre. Da qui la Job si trasferì sempre nel quartiere di Nervi in Piazza Duca degli Abruzzi nella struttura oggi riconvertita in stazione di polizia.
Al suo posto s’insediò prima la fabbrica di caramelle Galenia S. A che ebbe anche l’onore di ricevere il Duce durante una delle sue visite genovesi e, negli anni ’50/60, il premiato Pastificio Cassanello.
I solidi contorni del condominio che lo hanno sostituito ne custodiscono il labile ricordo.
Quando, di fronte allo stadio Luigi Ferraris, c’era la conceria di cuoi e pellami Bocciardo fondata nel 1861 da Sebastiano Bocciardo.
Ormai dismessa venne acquistata nel 1977 dal Comune di Genova che il 1/9/97, dopo un ventennio di dibattiti e incertezze sul futuro impiego dell’area, la fece demolire.
Furono necessarie 850 cariche per un totale di oltre 130 kg di esplosivo applicate alla base dei piloni e in punti strategici per far accartocciare l’imponente, circa 60000 metri quadri, la struttura su se stessa.
Quando alle 18 e 14 in punto gli artificieri la fecero implodere cancellando definitivamente un pezzo di storia dell’imprenditoria genovese.