Quando nell’ottobre del 1971 “The Greatest” partecipò ad un’esibizione al Palasport sponsorizzata da Zeffirino. In quell’occasione il clou della serata era il combattimento davanti a 15000 spettatori per la difesa del titolo mondiale dei welter junior di Bruno Arcari anche se tutta l’attenzione fu rivolta alla scenografica presenza di Alì.
Luciano Belloni, titolare dello storico locale, aveva conosciuto il grande pugile grazie all’amicizia con Frank Sinatra e lo aveva ospitato per alcuni giorni accompagnandolo in giro per la Superba. Durante una di queste serate Mohammed Alì fu protagonista di un singolare aneddoto secondo il quale sarebbe stato provocato e sfidato da un inglese brillo. Al suddito di Sua Maestà sarebbe stato consigliato, per non fare una brutta fine, di allontanarsi. Consiglio, per fortuna accettato, visto che i sorrisi di circostanza del Campione si stavano pericolosamente tramutando in smorfie di disappunto.
Narrano le cronache del tempo che Mohammed apprezzò sì il pesto di Zeffirino ma si fece una scorpacciata di 300 grammi di spaghetti conditi con quasi mezzo chilo di ragù arricchito da sei polpette formato “peso massimo”.
Questo pacioso signore con il gomito fuori dalla portiera, in dolce e sorridente compagnia, sorpreso a scorrazzare lungo l’Aurelia è nientepopodimeno che Juan Manuel Fangio, il più grande pilota automobilistico della storia. Il penta campione del mondo aveva partecipato a fine anni ’40, prima ancora che venisse organizzato il campionato di Formula Uno, a diverse gare a ruote scoperte compreso il Gran Premio di Sanremo. Fu così che il fuoriclasse argentino ebbe l’occasione di conoscere ed apprezzare le nostre riviere, in particolare Santa Margherita e Portofino a levante e Sanremo e Bordighera a ponente, luoghi che continuò a frequentare anche a carriera conclusa.
Quando Corso Gastaldi non era ancora stata intitolata al primo partigiano d’Italia, nome di battaglia Bisagno come il torrente che attraversa la città, e si chiamava Giulio Cesare in onore del celebre “Dictator” romano.
Quando l’arteria era stata progettata in funzione dell’importante scalo merci della vicina stazione ferroviaria di Terralba.
Quando l’architetto Braccialini non aveva ancora disegnato nè il tracciato con palazzi in stile razionalista né la Casa dello Studente che poi sarebbe diventata “Casa del Fascista Universitario” e teatro di macabre violenze.
Quando al molo Giano c’era la Torre dei Piloti dal 1937 vegliata dalla statua della Madonna della SS. Concezione che sovrintendeva a tutte le attività portuali. La Vergine scolpita nel 1638 da Bernardo Carlone era in origine collocata a ornamento della Porta della Lanterna e, quando questa nel 1877 fu demolita, venne temporaneamente trasferita nell’Oratorio di Sant’Antonio della Marina.
Poggiava su un basamento di teste di cherubini da cui spuntava una mezzaluna. Nella mano destra impugnava lo scettro mentre, nella mano sinistra reggeva il Bambinello con in mano il globo”.
Fra la metà degli anni Novanta e il 1997 la vecchia torre venne affiancata dalla nuova concepita sia come sede del corpo piloti che come centro di coordinamento di un’area ininterrotta di 22 chilometri di fascia costiera dedicata alla movimentazione di persone e merci dello scalo genovese.
La nuova torre alta 50 metri aveva una sala di controllo, di 165 metri quadri di superficie, che si stagliava, per meglio controllare l’arco portuale, a 40 metri dal suolo.
L’area portuale genovese è dotata di circa 20 terminal privati attrezzati per accogliere ogni tipo di nave per ogni tipo di merce: contenitori, merci varie, prodotti deperibili, metalli, forestali, rinfuse solide e liquide, prodotti petroliferi e passeggeri.
Il Corpo Piloti è attivo 24 ore al giorno, tutto l’anno ed è composto da 22 membri che hanno a disposizione 6 pilotine. La loro sede era la torre sulla testata del Molo Giano dotata di ogni moderna strumentazione possibile immaginabile. Si legge sul sito del Consorzio: «La sala controllo è provvista di impianti VHF per l’ascolto simultaneo dei canali di soccorso e di quelli di uso portuale, di impianti telex e fax, stazione meteo oceanografica automatica e di impianti AIS (Automatic Identification System) per la copertura dell’intera area portuale»
Il 7 maggio 2013 a causa di una manovra errata della la moto nave Jolly Nero che urtò la torre piloti, la loro sede crollò e alcuni di loro persero tragicamente la vita.
Quando a Sturla negli omonimi bagni gli avventori ad inizio secolo erano eleganti come in un salotto parigino: gli uomini con boater e impeccabile vestito, le donne avvolte in lunghi abiti bianchi. Gli uni e le altre discutono amabilmente. Due giovanotti in maglietta da bagno camminano e parlottano lungo la rena.
Quando in fondo a Via Corsica Piazzale San Francesco d’Assisi, la Rotonda – così da sempre la chiamano gli abitanti del quartiere – ormai da tempo era sgombera dal monumento a Costanzo Ciano.
Non c’erano ancora né chioschi di bibite né automobili parcheggiate. Le aiuole erano spoglie e gli alberi ancora da crescere. Non c’erano nemmeno bambini che scorazzavano in bicicletta e bimbe che giocavano al pampano o che saltellavano con la corda. E mancavano persino quei ragazzacci, accovacciati su quelle panchine, fra i quali il sottoscritto, che correvano dalla mattina alla sera dietro ad un pallone di calcio. La vista era oggi come allora impareggiabile. In certe limpide e terse giornate si poteva spaziare dal Promontorio di Portofino a levante fino a Capo Mele a ponente… e davanti… laggiù in lontananza la Corsica.
Quando le forme delle palazzate di Piazza Goffredo Villa, lo spiazzo dedicato al martire partigiano, richiamavano già nel loro squadrato profilo le sembianze del Castelletto, la fortezza antico simbolo della dominazione foresta, che ancor oggi è all’origine del nome del quartiere.
Quando nei pressi della spianata di Castelletto che già si chiamava Belvedere Montaldo c’era, e per fortuna c’è ancora, l’ascensore avrebbe ispirato i versi di Caproni.
In basso al centro, silente testimone, il campanile di N.S. del Carmine una parrocchia ricca d’opere d’arte fra le quali nessuno avrebbe mai immaginato esserci, il duecentesco ciclo d’affreschi di Manfredino da Pistoia.
Scoperto da circa un decennio dietro all’abside sotto diversi strati di calce e intonaco, le pitture dell’artista toscano, allievo di Cimabue e collega di Giotto, ritraggono l’Annunciazione, gli evangelisti e i membri di spicco dell’ordine dei carmelitani.
Quando la chiesa aveva già dispensato nel 1893 il battesimo a Palmiro Togliatti, futuro leader del Partito Comunista Italiano ma ancora non sapeva che avrebbe dovuto celebrare nel 2013 i funerali di Don Gallo.
Il tempo sembra essersi fermato in Via Jacopo Ruffini (un tempo Via Ginevrina) in Carignano, mancano solo le automobili parcheggiate ai lati della strada e, al centro della carreggiata, qualche scooter al posto dei cavalli.
Quando a metà strada sulla destra in onore di Don Piccardo, fondatore della Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata, era già stato intitolato l’omonimo istituto commerciale.
A sinistra invece oggi come allora gli alberi che dal muro perimetrale sconfinavano sulla strada appartenevano al giardino di Villa Croce, a quel tempo non ancora, come esplicito desiderio della famiglia, destinata a museo. In primo piano un tombarello trottava indisturbato fra gli alberi spogli mentre sul marciapiede camminava un passante.
Svoltata la curva, prima del tratto oggi regolato da un efficiente semaforo, la via si raccorda con la Circonvallazione a mare dove un altro carretto arrancava in direzione dell’attuale Corso Saffi; un uomo con appariscenti pantaloni bianchi passeggiava tenendo per mano una bambina mentre ne incrociava un altro proveniente dalla direzione opposta. Appoggiato al muretto un signore guardava verso il mare e si godeva il panorama.
Una ragazza cammina pensierosa mentre dietro due uomini discutono tra di loro. Sullo sfondo passeggiano altri passanti. In quel tratto la copertura di Sottoripa non c’è più, rimangono solo desolazione e macerie ma per lo meno il calpestio dei loro passi e il suono delle loro parole non è più cadenzato dal rumore delle sirene degli allarmi antiaerei.
Quando, a partire dal 1893, si procedette a rivoluzionare tutto l’antico assetto del fronte mare con i riempimenti per l’edificazione della Circonvallazione a mare (Corsi Quadrio e Saffi).
Sparirono all’altezza di Via Ponte Calvi fino a Vico Morchi, le costruzioni sopra il porticato e con esse le tracce dell’antico acquedotto medievale lungo il percorso dell’originale romano. Nel tratto compreso tra Vico del Serriglio e Via al Ponte Reale se ne possono ancora oggi ammirare brani superstiti.
Quando parte del millenario porticato venne cancellato dalle bombe e, soprattutto, dal colpo di grazia, ancora oggi un’offesa inaccettabile al nostro panorama, inflitto dal Ministero della Pubblica Istruzione quando nel 1950 innalzò, incastonato fra le torri medioevali, quell’indescrivibile mostro architettonico di cemento che si affaccia molesto ed estraneo in Piazza Caricamento.
Quando in Via Galeazzo Alessi i bambini erano indecisi se osservare meravigliati il tram sferragliare sulle rotaie o l’obiettivo del fotografo…
quando in cima alla salita della via intitolata al celebre architetto perugino non c’era ancora la premiata pasticceria San Sebastiano che con le sue golose ricette dal 1958 avrebbe deliziato il palato degli abitanti del quartiere.