Le “Meraviglie” di Angela?

Ho appena seguito la parte della puntata dedicata a Genova da parte di Alberto Angela. Pur comprendendo gli spazi e i tempi televisivi ridotti che imponevano scelte risicate, sono rimasto deluso.

A parte il discorso sui Celti e sull’origine del toponimo Ianua, ormai confutati da tempo e le imprecisioni sui Rolli e su Dragut, non mi è piaciuto l’aver tralasciato i caruggi, le chiese, i forti, le mura, insomma l’anima vera della città raccontando solo in modo riduttivo l’epopea del D’Oria.

Troppo spazio dedicato alla Lanterna raccontando il niente.

Genova 25 gennaio 2020

Atrio Palazzo Gio Carlo Brignole (Durazzo)

Al civ. n. 2 di Piazza della Meridiana si trova, progettato da Bartolomeo Bianco, il secentesco Palazzo Gio Carlo Brignole. La versione in cui ancora oggi lo possiamo ammirare è quella della ricostruzione ndel 1671 su pertinenze antecedenti. Ai Durazzo che a metà dell’Ottocento acquisirono dalla famiglia Brignole la proprietà dell’edificio si deve la stupefacente decorazione dell’atrio.

Nella parte superiore decorata da Federico Leonardi campeggia lo stemma del casato, in quella inferiore risaltano invece le gesta di illustri genovesi che fecero grande Genova: Guglielmo Embriaco, Simone Boccanegra e Andrea D’Oria le cui storie circondano l’ottocentesco affresco principale, opera di Giuseppe Isola che celebra Ottaviano Fregoso il distruttore della fortezza della Briglia occupata dalle truppe francesi di Luigi XII.

Il linguaggio prescelto che si sviluppa attraverso la postura del protagonista che regge fiero lo stendardo è quello risorgimentale con cui questi “viri” illustri assurgono a simbolo della lotta contro l’oppressione straniera.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

“L’oro a Genova viene sepolto”…

“Monete d’oro”.

A testimonianza del prestigio e delle ricchezze accumulate dalla Superba in seguito alla scoperta dell’America e, soprattutto, in virtù dell’alleanza stipulata con i reali di Spagna, in tutte le corti si diffuse questo assai pragmatico modo di dire:

“ (l’oro) nasce onorato nelle Indie (occidentali)
da dove la gente lo accompagna
viene a morir in Spagna
ed è seppellito a Genova.

Un’altra versione più sintetica rimanda allo stesso concetto:

“(l’oro) nasce in America, cresce a Valencia, viene sepolto a Genova”.

“Un’ immagine tardo cinquecentesca di Siviglia adagiata sul Guadalquivir”.

I Doria, gli Spinola e i Centurione furono fra i principali sostenitori finanziari dell’impero di Carlo V e delle sue relative campagne militari.

Nel “Secolo dei Genovesi” costoro per  fama, prestigio e potenza  si posero sullo stesso influente piano dei grandi banchieri sassoni, ebrei, nordici e tedeschi come i ricchissimi Fugger e Welser, tessendo le fila dell’economia mondiale del loro tempo.

Il nido delle Aquile… seconda parte…

Nel 1909 l’architetto Gaetano Poggi modificò le scale di accesso e sostituì con ringhiere in ferro, il muretto al quale venivano legati i cavalli. La sproporzionata scalinata al sagrato fu  invece l’ultimo, fallito tentativo, di Orlando Grosso di risistemazione degli spazi.

La piazza non ospita solo la chiesa e il chiostro ma, essendone la roccaforte, anche le principali dimore dei più importanti esponenti del casato:

Al civ. 16 Palazzo Domenicaccio Doria del XIV sec. con la loggia a tre arcate a sesto acuto, oggi tamponate. Alle originarie trifore del piano nobile sono state sostituite tre normali finestre con relativi balconetti del XVII sec.

palazzo-giorgio-doria
“Il superbo Portale di S. Giorgio che uccide il drago di Palazzo Giorgio Doria”.

Al civ. 14 Palazzo Giorgio Doria, meglio noto come Doria Quartara, celebre per uno dei sovrapporta di S. Giorgio e il Drago più belli della città, frutto della maestria di Giovanni Gagini nel 1457.

palazzo-lamba-doria
“Palazzo Lamba Doria con il suo bel porticato aperto”.

received_1592718217412341
“Passeggiando sotto il porticato di Palazzo Lamba Doria”. Foto di Leti Gagge.

Al civ. 15 Palazzo Lamba Doria l’unico con il porticato aperto sulla piazza. Per un certo periodo le quadrifore vennero chiuse  perché gli spazi vennero destinati alle botteghe. In seguito ai bombardamenti del 1942 restò in piedi solo la facciata e venne recuperato e restaurato a partire dal 1950.

Al civ. 17 Palazzo Andrea Doria donato dalla Repubblica all’ammiraglio riconosciuto come “Padre della Patria” per averla liberata dall’occupazione francese. Il prestigioso portale di scuola toscana è per taluni opera di Niccolò da Corte e Gian Giacomo della Porta per altri, di Michele D’Aria e Giovanni da Campione. Ricco di animali esotici e fantastici quali pavoni, lucertole, teste di montoni e leoni, sirene danzanti, uccelli che beccano fiori, grifoni, pesci mostruosi e altri animaletti.

palazzo-doria-in-san-matteo
“Il Portale con relativa iscrizione della donazione all’ammiraglio Andrea Doria da parte della Repubblica in segno di riconoscenza per averle restituito la libertà”.

Sopra l’architrave è scolpita l’epigrafe relativa alla donazione: “Senat. Cons Andreae De Oria Patriae  Liberatori Munus Publicum”.

Il palazzo fu fatto costruire nel 1460 da Lazzaro Doria  fatto testimoniato dal sovrapporta  nell’atrio, in pietra di Promontorio del 1480  raffigurante, in omaggio al committente, la Resurrezione di Lazzaro. Al suo interno alcune parti sono ricoperte in azulejos, il rivestimento di stile moresco, molto in voga in quegli anni e molto apprezzato dal Signore del mare. In realtà il Principe non abitò mai in questa dimora perché preferì la strategica e scenografica Villa che si era fatto costruire, appena fuori dalle mura, in località Fassolo.

received_1592719737412189
“Il colonnato del chiostro”. Foto di Leti Gagge.

Al civ. 13 Palazzo Branca Doria da cui si accede al chiostro. Dante rese famoso Branca per averlo messo, ancora vivo, all’Inferno reo di aver ucciso il suocero Michele Zanchè che si era rifiutato di concedergli la cospicua dote della figlia Caterina. Secondo il Poeta gigliato il corpo del patrizio genovese sarà posseduto in terra da un diavolo e a lui è rivolta la celebre invettiva: “Ahi  Genovesi, d’ogni costume e pien  d’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?”. Versi 151-153 del XXXIII canto dell’Inferno.

portale-di-san-giorgio-palazzo-doria-danovaro
“La copia del Portale quattrocentesco di Palazzo Doria Danovaro”.

Al civ. 19 della Salita  ecco Palazzo Doria Danovaro con la copia dello splendido sovrapporta di S. Giorgio che uccide il Drago. L’originale è stato rubato.

Per chiudere in bellezza all civ. 1 di Via Chiossone si può ammirare il raffinato portale con il “Trionfo dei Doria” del XV sec., opera di Elia Gagini.

trionfo
“Il Portale di Via David Chiossone n. 1 che rappresenta il Trionfo dei Doria”.

Al centro un carro ornato di ghirlande con due guerrieri che reggono lo scudo araldico del casato. Il carro è trainato da centauri che impugnano l’insegna del comando. Dietro al centauro un putto alato e, sotto fra le zampe, un cagnolino. Sullo sfondo due soldati con angioletti alati spingono il barroccio. Al centro della cornice il trigramma di Cristo.

Franco Battiato ancora non era nato quando i Doria  avevano già fatto loro Il verso della “Cura” del cantautore catanese “Più veloci di aquile i miei sogni attraversano il mare”… Visto che i loro sogni di gloria le aquile genovesi li avevano già ottenuti dettando legge in tutti i mari!

In Copertina: Piazza e chiesa di San Matte. Foto di Stefano Eloggi.

Breve storia dei rapporti fra Genova e la Sardegna….

La storia della Sardegna affonda le proprie radici in tempi antichissimi, quando ancor prima dell’avvento dei Greci, era nota con il nome di Ichnusa. A me però interessa narrare delle sue vicende a partire dall’epoca medievale quando nel 534  l’isola fu conquistata dal generale bizantino Belisario.

Già dall’VIII sec. i coraggiosi guerrieri dell’impero d’Oriente, nonostante la strenua difesa, non poterono impedirne l’occupazione da parte araba. Soltanto nel 1022 grazie all’aiuto di genovesi e pisani i sardi riuscirono finalmente a liberare la loro terra costringendo gli invasori alla ritirata. Fu così che nel 1175 le due potenti repubbliche si spartirono l’isola: Genova a nord e Pisa a sud.

Per la Superba, se da un lato la Corsica rappresentava un imprescindibile baluardo difensivo, dall’altro la Sardegna significava un territorio da sfruttare. Quest’ultima infatti  era fonte di lana, formaggi, sale, grano, ferro e pellame tutti prodotti molto appetibili per gli interessi mercantili dei genovesi. Pisa e Genova non erano le sole a nutrire ambizioni sull’isola infatti, nel 1073 papa Gregorio ne rivendicò la sovranità, unitamente a quelle di Corsica, Spagna e Ungheria minacciando nel 1080 i sardi che, se non si fossero sottomessi alla sua volontà, sarebbero stati ceduti ad una di queste potenze straniere.

Nel XII sec. genovesi e pisani ottennero dalle rispettive Chiese (le arcidiocesi delle due Repubbliche erano potentissime), a parziale indennizzo dell’attività prestata durante le Crociate, importanti tenute agricole e corposi privilegi fiscali quali l’esenzione daziaria.

 A quest’epoca risale la ripartizione della Sardegna in quattro giudicati  (unità amministrative completamente autonome): Torres o Logudoro, Gallura, Cagliari e Arborea. I genovesi si insediarono a Cagliari e poi a Torres mentre i Pisani occuparono il Logudoro e la Gallura.  

"S. Giorgio e i quattro mori, la bandiera della Sardegna".
“S. Giorgio e i quattro mori, la bandiera della Sardegna”.

 

A metà del ‘200 anche l’imperatore Federico Barbarossa decise di intromettersi nella questione cercando, a seconda degli alleati del momento, di infeudare il Regno di Sardegna prima a Guelfo VI di Toscana, poi a Barisone d’Arborea e infine al comune di Pisa. Naturalmente i Genovesi non la presero bene e, una volta tramontata la stella degli Hohenstaufen, se ne rimpadronirono sconfiggendo alla Meloria nel 1284 l’eterna rivale.

Nel 1297 papa Bonifacio VIII pose fine alle diatribe attribuendo la sovranità della Sardegna all’Aragona. Le grandi famiglie genovesi, fra le quali gli Spinola e i Doria ne presero atto “obtorto collo” ma per conservare le loro signorie, misero in atto una intelligente strategia; prima che gli spagnoli si impossessassero realmente dell’isola nel 1325, organizzarono numerosi matrimoni misti con la nobiltà locale, tramandandosi così il titolo di Giudice nei vari territori e mantenendo così una certa autonomia.

La famiglia che ne trasse i maggiori vantaggi fu quella dei Doria che a partire da Andrea (solo un antenato omonimo del celebre ammiraglio) fu sempre presente nell’amministrazione dell’isola. All’inizio del XIV sec. addirittura Branca Doria, quel personaggio a cui si deve la celebre invettiva di Dante, prima provò ad ottenerne l’investitura da parte della Santa Sede, poi di farsi nominare re nel 1311 dall’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo.

"Castello Doria a Chiarimonti".
“Castello Doria a Chiaramonti”.

 

Oggetto delle questioni politiche erano il controllo delle saline di cui la Repubblica di Genova deteneva il monopolio e il possesso delle miniere di piombo argentifero di Villa Chiesa.

Nonostante la Sardegna sia rimasta nell’orbita spagnola fino al trattato di Utrecht del 1713, quando venne ceduta all’Austria, i Genovesi seppero tutelare con astuzia i propri interessi. Nel 1720 dopo tre anni di guerre la Quadruplice Alleanza (Francia, Inghilterra, Impero, Olanda) siglò la pace di L’Aia. In ottemperanza di questo trattato Filippo re di Spagna rinunciò alle sue pretese isolane in cambio della promessa austriaca della successione a Parma, Piacenza e Toscana del figlio Carlo. In questo contesto Vittorio Amedeo II di Savoia ricevette dall’Austria la Sardegna in cambio della Sicilia e ottenne di commutare il titolo di re di Sicilia che già deteneva, in quello di re di Sardegna. Con l’avvento dei Savoia Genova gradualmente andò a perdere i privilegi consolidati da secoli fino, con l’ignomignoso trattato di Versailles del 1814, a diventare essa stessa, acquistata dagli inglesi, parte del Regno di  Piemonte e Sardegna.

Storia… di un Abate… di maiali…

Nella zona di Prè, imboccando Vico Inferiore del Roso ci si imbatte in un curioso bassorilievo che rappresenta, fra due scudi abrasi, un monaco inginocchiato con al fianco un pugnale, di fronte a Sant’Antonio, raffigurato vicino ad un grufulante suino.

Il monaco armato simboleggia le lotte sostenute dall’Ordine per erigere e mantenere il loro monastero.

Da tempo immemore infatti, in loco esisteva una chiesa con annesso ospitale per i pellegrini in partenza o di ritorno dalla Terrasanta che aveva ottenuto un singolare privilegio, quello di possedere un branco di maiali.

I suini pascolavano liberamente per le strade del quartiere, cibandosi degli avanzi della popolazione e fu stabilito per decreto del Senato che fosse preservata la loro incolumità e, per distinguerli dagli altri, furono dotati di un rumoroso campanellino.

Il loro numero crebbe a dismisura così si decise che, a godere di tale immunità, fossero al massimo un verro, tre scrofe e venti porcellini; quelli in esubero avrebbero potuto essere catturati ed uccisi da chiunque. I monaci protestarono e ottennero che il Papa intercedesse in loro favore per far revocare tale provvedimento.

Un giorno però, i suini ormai padroni del Borgo, attaccarono un corteo di Senatori ferendone alcuni, decretando di fatto,con questa aggressione, la loro stessa fine.

Intervennero allora i Doria che lasciarono una consistente donazione ai frati in modo che potessero provvedere ai loro bisogni alimentari ed avviare gli ormai indispensabili lavori di ristrutturazione del complesso conventuale.

Inoltre, ogni 13 dicembre, le dame della famiglia patrizia provvedevano ad elargire ai monaci, a titolo personale, cinque scudi d’oro.

L’abate di Sant’Antonio, per sdebitarsi, iniziò la tradizione per cui, ad ogni Natale, un corteo in processione si recava a San Matteo, portando in dono un maiale dell’Abbazia alla nobile casata.

Da qui, forse, l’origine della “Porchetta arrosto” come una delle portate, ormai dimenticate, della tradizione gastronomica natalizia genovese.

"Incisione ottocentesca che rappresenta la processione a San Matteo".
“Incisione ottocentesca che rappresenta la processione a San Matteo”.

Storia di un Generale…

figlio della Superba… condottiero di Spagna… terrore del Continente…
Ciò che rappresentò nel ‘500 l’Ammiraglio Andrea Doria per mare fu, per terra, nel ‘600 il Generale Ambrogio Spinola.

Il nobile genovese, entrato a servizio degli spagnoli, contribuì ad aumentarne la potenza e la gloria combattendo in tutta Europa, in particolare nei Paesi Bassi, dove le sue qualità di sublime stratega gli valsero unanimi riconoscimenti.
Molte furono le sue imprese, quella della presa di Breda, la più celebre.

“Quadro di Velasquez, museo del Prado, Madrid, che rappresenta la Resa di Breda.

Lo scrittore Don Pedro Calderon dedicò, infatti, a questo accadimento una commedia intitolata, appunto, “l’assedio di Breda” in cui il condottiero, al culmine del successo, rivolgeva il suo pensiero alla Superba in difficoltà… (lontana e assediata dai piemontesi)…
“Genova (timoroso leggo) è oppressa dal Duca di Savoia…
Mi perdoni il valore, l’invidia
mi perdoni, se m’intenerisce questa notizia, che a volte è valore la tenerezza;
e la mia patria, mi perdoni
se io vesto acciaio brunito
e non è per sua difesa.”

“Ritratto del condottiero opera di Pietro Paolo Rubens.”

Ancor più eloquente fu “il Dialogo Militar” rivolto ad Ambrogio e composto da Lope de Vega…”
… Quella città famosa,
la cui Repubblica eccelsa
simili eroi produce
nelle armi e nelle lettere;
quella che da tanti secoli
regia maestà conserva,
a nessuna corona
sua antica testa è serva;
Genova la bella, dico,
cui il mar i piedi bacia.
… lo trovaron sempre
l’aurora e le stelle
vestito d’acciaio il corpo
e la sua anima verso gloriose imprese;
esempio per i suoi soldati
rispettato in tutte le frontiere,
invidia delle età passate,
gloria del secol nostro
… (le imprese) di questo grande Capitano,
Ambrogio il Magno, saranno di Italia e Spagna la gloria.”

 

Storia di marinai… di Magistrati…

di diritti e di mugugni.

Fin dal Trecento la Magistratura dei Conservatori del mare (il più antico organismo preposto a tutte le attività concernenti le acque e la marineria) aveva regolamentato e sancito il diritto al mugugno.

Un privilegio accordato agli imbarcati camoglini, i più bravi su piazza, ai quali venne concesso, oltre ad una migliore paga, il diritto di lamentarsi.

I genovesi infatti, in ambito marinaro, non tolleravano ordini o ingerenze da chicchessia quindi presero a brontolare e borbottare.

Vennero quindi stabiliti due tipi di ingaggio. il primo prevedeva paga elevata e niente mugugno, il secondo paga decurtata e diritto a lamentarsi.

scontro genova venezia
“Scontro nell’Adriatico Genova Venezia, S. Giorgio contro S. Marco”.

Questa consuetudine venne interrotta e abolita nel ‘500, ai tempi dell’ammiraglio Andrea Doria quando questi propose ai suoi equipaggi migliori condizioni di lavoro (ad esempio riduzione dei turni di voga) e alimentari (carne essiccata a bordo al posto delle solite sbobe) nonché un salario più cospicuo in cambio della rinuncia.

Terminata l’epoca dell’ammiraglio i marinai della Superba continuarono a rinunciare a parte dell’ingaggio pur di mantenere il loro secolare diritto.

La quint’essenza dei genovesi deriva quindi dalla loro pretesa e manifesta superiorità marinara.

Il mugugno è catartico, basta a se stesso, non chiede, non pretende, proprio come l’indole dei zeneizi.

Storia di Paciugo e Paciuga…

e breve menzione del Santuario di Coronata.

Le notizie sulla chiesa di S. Michele Arcangelo e Santa Maria dell’Incoronata si perdono nella notte dei tempi allorquando, una misteriosa Madonna lignea comparve sulla spiaggia di Caput Arenae e, spostandosi continuamente, si lasciò cogliere solo sulla collina di Coronata.

Al suo interno, fra le tante opere d’arte, interessante come testimonianza dal punto di vista storico una tela ottocentesca raffigurante il Doge Tomaso di Campofregoso in pellegrinaggio al Santuario in segno di ringraziamento per una battaglia navale contro gli Aragonesi, avvenuta nel 1420."Santuario di S. MIchele e S. Maria Incoronata".

Nel 1887 padre Persoglio, rovistando negli archivi, ci trasmise in stretto genovese, una curiosa storiella accaduta, pare, in pieno Medioevo:

Paciuga, ogni sabato, dalla sua abitazione nel borgo di Prè si recava, dopo lungo scarpinare, al Santuario per pregare e chiedere il ritorno, sano e salvo, di Paciugo, il marito marinaio catturato dai Turchi.

I vicini, malelingue, pensarono subito ad una tresca e sparsero in giro tale menzogna.

Un bel giorno Paciugo, sfuggito ai Musulmani, riapparve in Darsena ma, prima che gli abbracci della moglie, lo accolsero le altrui calunnie.

Il marinaio, con il cuore gonfio d’odio, corse a casa e, per festeggiare il suo avventuroso rientro, invitò la sua bella ad una gita in barca. Giunto al largo, accusò la moglie e, nonostante le sue accorate smentite, la affogò.

Appurato, in seguito, che Paciuga era stata sincera, non sapeva darsi pace per l’orrendo assassinio.

Fu allora che la Madonna, colpita dal suo sincero pentimento, lo condusse al Santuario dove poté riabbracciare la sua fedele sposa.

Storia dei Rolli…

Molti pensano che i Rolli siano i Palazzi di Via Aurea (attuale Via Garibaldi) e pochi altri di nobili famiglie.
In realtà essi sono circa centocinquanta come codificato in cinque editti dal 1576 al 1664.
Fino a quel tempo infatti, non avendo Genova un palazzo pubblico ufficiale per accogliere le delegazioni foreste (il Palazzo Ducale ricoprirà in seguito anche questa funzione), gli ospiti di lustro erano quasi sempre a carico dei Doria e dei Fieschi.
Nel ‘500 fu così stabilito di censire gli edifici privati e di suddividerli in elenchi (“rollo” significa elenco) da tre categorie:

"Interni di Palazzo Agostino Spinola in Piazza De Ferrari".
“Interni di Palazzo Agostino Spinola in Piazza De Ferrari 3”.

alla prima appartenevano edifici degni di papi e re, alla seconda di legati pontifici e principi, alla terza di cardinali, ambasciatori, artisti e grandi mercanti.
Ad ogni edificio corrispondeva un bussolotto (di pergamena cartacea) arrotolato ed inserito in una delle tre apposite urne (come il giuoco del Lotto) pronto per essere sorteggiato.
Non tutti i Nobili genovesi erano contenti di questa iniziativa che comportava onori e oneri a loro carico.
Molti però ne intravvedevano i vantaggi derivanti dalla possibilità di stringere rapporti di amicizia e commerciali con le più importanti casate europee.
Dal 2006 quarantadue Palazzi dei Rolli, grazie all’impegno profuso dal compianto Prof. Ennio Poleggi, sono stati riconosciuti Patrimonio UNESCO dell’Umanità.

In Copertina Palazzo Nicolosio Lomellini, noto anche come Podestà (dal nome di Andrea barone e sindaco di Genova a fine ‘800 che ne fu uno degli ultimi proprietari).

Edificato tra il 1559 e il 1565 da Giovanni Battista Castello detto il “Bergamasco” e Bernardino Cantone.