“Come fu giorno, feci una passeggiata sul colle e osservai la posizione di Genova: un incantevole teatro che ha spinto da sempre i suoi abitanti a dominare il mare e dal quale sono venuti i più grandi eroi. O divino Colombo e tu, Andrea Doria, che passeggiate ora in coppia con i Temistocli e gli Scipioni, io vi adoro nella polvere, semidei fra gli uomini! Se anche a me fosse concessa una simile sorte! Volgevo lo sguardo verso l’immensa sfera di acqua e la sua infinita maestà voleva spezzarmi il petto; il mio spirito si librava lontano, sopra il cuore degli abissi, e ne percepiva con indicibile delizia tutta la immensità”.
Cit. Wilhelm Heinse (1749-1803). Scrittore tedesco.
In Copertina: Panorama di Genova. Foto di Leti Gagge.
“Genova, come tutti sanno, e come i versificatori e i cantautori ci cantano e ricantano, è una città verticale, verticalissima. Dunque, salite al Castelletto, al Righi, infunicolatevi in alto, in alto, se non soffrite di allucinosi spaziali, o funzionali o psichiche. E se capitate qui per via aeroplanica, scrutate bene lo spettacolo che il finestrino vi propone, con questo ammasso di edifici che scappa su dalle acque, che in quelle si precipita, dipende dai gusti, dipende dalle fantasie. Anche l’accesso marittimo non è male. Venire in treno a Genova, invece, non sarà un delitto, ma certamente è un errore. In auto, varcate la mura, si raccomanda di percorrere, al minimo, avanti e indietro, indietro e avanti, la sopraelevata (prima che sia abbattuta, come molti suggeriscono e sperano) e, che forse è meglio ancora, la circonvallazione a monte. La superba Genova ama essere guardata con sguardi superbi, alti e altieri”.
“Genova è una sorta di città di frontiera, con il mare e quindi le culture mediterranee di fronte, e l’Europa continentale alle spalle. E la mia città mentale è così anche verticale, dai monti al mare con tutto quello che ci sta in mezzo”.
Cit. Max Manfredi cantautore (Genova 1956).
In Copertina: Panorama genovese. Foto di Anna Armenise.
“Genova è un atto di prepotenza dell’uomo sull’ambiente naturale e ancora oggi sconta le conseguenze di questo atto. Essa infatti si è sviluppata per un fatto di posizione nodale rispetto alle correnti di traffico. Ma alla posizione corrispondeva un sito impossibile per una città. Senza terreni pianeggianti, ma pendii precipitosi verso il mare, senza entroterra che la potesse sostenere, la sua condizione normale non era dissimile a quella di una nave e si capisce come il popolo che questo sito selezionò fosse una razza di marinai, di commercianti, di finanzieri cioè di gente abituata a ricavare altrove il proprio sostentamento e il proprio guadagno o di sfruttare il traffico che doveva passare per questo porto. Un sicuro approdo per le merci che dalle altre sponde del Mediterraneo per le vie di oltregiogo transitavano verso i mercati della Valle Padana e dell’Europa centro occidentale o riprendevano per mare la rotta del nord Europa. E ancora adesso le possibilità di vita della città non devono essere basate su una abbondante disponibilità di terreno, ma sulle risorse umane”.
Cit. Cesare Fera architetto (1922-1995).
In Copertina: Genova vista da ponente sul monte Reixa. Foto di Andrea Polidori.
“Il mare cambia colore, dopo essere scomparso per decine di chilometri in una enorme fuligginosa città di magazzini: ricompare dietro due spunzoni di roccia e una torre campanaria tra barbaresco e liberty, con una fila di grattacieli sopra un’altura color polvere, com’è polvere tutto.
Genova fuma, sfuma in un guazzabuglio supremo. L’attraversi, a metà Corso Italia, già verso Levante, ti volti, e alle tue spalle ecco la più bella visione di tutta la Liguria.
Il porto, con catene di navi, banchine battute da un mare color paglia, una frana di palazzi, impastati in un’unica polvere, e più vicino vecchie navi ruggini, moli di massi neri, il mare verde oliva, torbido come un fiume in piena, con un ghirigoro di scoglietti, isolotti, rotonde, tutto di ferro battuto, e orridi, qui sotto, con erbe, fichi d’India e spazzatura.
Nel limite di questi quadro, ai piedi di chi guarda, in fondo a un vertiginoso muraglione da città del futuro, sotto una rete di protezione, c’è una piccola spiaggia di ciottoli. Si intravede, nella luce del temporale, qualcuno che fa il bagno. Una ragazza bionda, nuda, di carne, di carne calda, in mezzo a tutto quel ferro”.
Pier Paolo Pasolini. “La lunga strada di sabbia” (1959).
Il 29 maggio del 1975, curioso aneddoto, il famoso poeta e regista bolognese e tifoso felsineo fu protagonista, in veste di capitano, in un derby infrasettimanale beneficenza tra vecchie glorie e personaggi dello spettacolo di Genoa e Sampdoria.
In copertina: Pier Paolo Pasolini con sullo sfondo il quartiere della Foce prima della costruzione di Piazzale Jennedy e della zona. Immagine tratta dalla mostra sul regista a Palazzo Ducale di Genova (30/11/21 – 13/3/22).
“La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchesediNegro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.
Cit. Stendhal (1783 – 1842) scrittore francese.
In copertina: tramonto dal giardino di Villetta di Negro. Foto di Lino Cannizzaro.
“Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia!”
La strada è piena di chiari di luna / e le tue mani vele per il mare / in questa notte che ne vale la pena / l’ansimare delle ciminiere / Genova era una ragazza bruna / collezionista di stupore e noia / Genova apriva le sue labbra scure / al soffio caldo della macaia / e adesso se ti penso io muoio un pò / se penso a te che non ti arrendi / ragazza silenziosa dagli occhi duri / amica che mi perdi / adesso abbiamo fatto tardi / adesso forse è troppo tardi / Voci di un cielo freddo già lontano / le vele sanno di un addio taciuto / con una mano ti spiego la strada / con l’altra poi ti chiedo aiuto / Genova adesso ha chiuso in un bicchiere / le voci stanche le voci straniere / Genova hai chiuso tra le gelosie / le tue ultime fantasie / E adesso se ti penso io muoio un pò / se penso a te un pò mi arrendo / alle voci disfatte dei quartieri indolenti / alle ragazze dai lunghi fianchi / e a te che un po’ mi manchi / ed è la vita intera che grida dentro / o forse il fumo di Caricamento / c’erano bocche per bere tutto / per poi sputare tutto al cielo / erano notti alla deriva / notti di Genova che non ricordo e non ci credo / Genova rossa, rosa ventilata / di gerani ti facevi strada / Genova di arenaria e pietra / anima naufragata / Ti vedrò affondare in un mare nero / proprio dove va a finire l’occidente / ti vedrò rinascere incolore / e chiederai ancora amore / senza sapere quello che dai / perché è la vita intera che grida dentro / o forse il fumo di Caricamento / c’erano bocche per bere tutto / per poi sputare tutto al cielo / erano notti alla deriva / notti di Genova che regala / donne di madreperla / con la ruggine sulla voce / e ognuna porta in spalla la sua croce / tra le stelle a cielo aperto / mentre dentro ci passa il tempo / proprio adesso che ti respiro / adesso che mi sorprendi così / che se ti penso muoio un po’ / che se ti penso muoio un po’ / che se ti penso muoio un po’.
Cit.testo del brano Notti di Genova di Cristiano De Andre’.
In copertina: il Porto Antico di notte. Foto di Beatrice Bereggi.
“L’assenza solo apparente di architetture storicamente celebrate ha spesso allontanato la grande massa (formatasi attraverso la frusta retorica monumentalistica) da un’esatta percezione della segreta bellezza della superba, che crediamo risieda nella totalità del suo manufatto urbano, dove ciascun episodio architettonico, sacro o profano, è parte significativa di una lunga, lunghissima narrazione di secoli che è quindi una metafora della stessa idea di città. Genova, infatti, non può che apparire ai nostri occhi come città-paesaggio, laddove la stessa edilizia diviene paesaggio, adattandosi di volta in volta ai movimenti del terreno su cui è sorta, generando per effetto naturale sempre nuove e talora vertiginose prospettive. In altre parole, siamo immersi in una verticalità superba di fronte all’infinità orizzontalità del mare”.
Cit. Fausto Fantoni Minnella. Scrittore e saggista.
Questo incantevole scorcio che sembra quasi un quadro di in maestro impressionista ben rappresenta, a mio parere, i concetti di superba verticalità e sconosciuta bellezza illustrati dallo scrittore.
Qui alle spalle della frequentata Corso Magenta in circonvallazione a monte si scopre un angolo ovattato dove il tempo sembra essersi fermato. Magari giusto un momento per riprendere fiato prima di affrontare la salita di S. Anna che dal Poggio Bachernia si arrampica in Castelletto.
Genova da sempre sospesa tra l’infinito orizzonte marino e la verticale tensione verso il cielo.
La Grande Bellezza…
In copertina: Poggio Bachernia. Foto di Anna Armenise.
Genova. Che cosa significa, per me? Ho avuto la fortuna di nascere in questa etnia, in questo piccolo mondo dove si parla una lingua diversa, che faceva parte di uno stato molto più grande ma con un idioma, una cucina, una cultura autonomi. Questo ti fa sentire così vicino a queste persone che condividono la tua diversità, ti senti a tua volta differente dal resto del mondo, sei membro di una grande famiglia di settecentomila persone che ha usi e costumi tutti suoi. E se arrivi a Milano, ci arrivi come un immigrato dal Sud.
Cit. Fabrizio De André.
In copertina: Via Luccoli. Foto di Pippo Ingrassia.